FIGLIE DELLA CHIESA,Lectio "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,21-35)

XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Antifona d'ingresso
Da’, o Signore, la pace a coloro che sperano in te;

i tuoi profeti siano trovati degni di fede;
ascolta la preghiera dei tuoi fedeli
e del tuo popolo, Israele. (cf. Sir 36,15-16)

Colletta
O Dio, che hai creato e governi l’universo,
fa’ che sperimentiamo la potenza della tua misericordia,
per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio.

Oppure:
O Dio di giustizia e di amore,
che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli,
crea in noi un cuore nuovo
a immagine del tuo Figlio,
un cuore sempre più grande di ogni offesa,
per ricordare al mondo come tu ci ami.

PRIMA LETTURA (Sir 27,33-28,9)
Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Dal libro del Siràcide

Rancore e ira sono cose orribili,
e il peccatore le porta dentro.
Chi si vendica subirà la vendetta del Signore,
il quale tiene sempre presenti i suoi peccati.
Perdona l’offesa al tuo prossimo
e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Un uomo che resta in collera verso un altro uomo,
come può chiedere la guarigione al Signore?
Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,
come può supplicare per i propri peccati?
Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore,
come può ottenere il perdono di Dio?
Chi espierà per i suoi peccati?
Ricòrdati della fine e smetti di odiare,
della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti.
Ricorda i precetti e non odiare il prossimo,
l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 102)
Rit: Il Signore è buono e grande nell’amore.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. Rit:

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. Rit:

Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Rit:

Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe. Rit:

SECONDA LETTURA (Rm 14,7-9)
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

Canto al Vangelo (Gv 13,34)
Alleluia, alleluia.
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Alleluia.

VANGELO (Mt 18,21-35)
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Preghiera sulle offerte
Accogli con bontà, Signore,
i doni e le preghiere del tuo popolo,
e ciò che ognuno offre in tuo onore
giovi alla salvezza di tutti.

Antifona di comunione
Quanto è preziosa la tua misericordia, o Dio!
Gli uomini si rifugiano all’ombra delle tue ali. (Sal 36,8)

Oppure:
Il calice della benedizione che noi benediciamo
è comunione con il sangue di Cristo;
e il pane che spezziamo è comunione
con il corpo di Cristo. (cf. 1Cor 10,16)

Oppure:
“Il Padre mio non perdonerà a voi,
se non perdonerete di cuore al vostro fratello”. (cf. Mt 18,35)

Preghiera dopo la comunione
La potenza di questo sacramento, o Padre,
ci pervada corpo e anima,
perché non prevalga in noi il nostro sentimento,
ma l’azione del tuo Santo Spirito.

Lectio
La liturgia di questa domenica ci parla del dono della riconciliazione, dono che viene da Dio attraverso il perdono chiesto e donato. E noi, cristiani, siamo chiamati ad essere segno visibile di questo amore che va oltre ogni cosa ed è capace di spezzare ogni sorta di catena.
Matteo è l’evangelista che, più degli altri, dedica attenzione al tema del perdono. Nel capitolo 18 infatti, Gesù dà alla comunità dei discepoli il potere e l’ordine di perdonare. Ma Pietro, in questi versetti, interrompe Gesù con una domanda che introduce una nuova problematica: fino a dove arriva l’obbligo di perdonare? Bisogna perdonare … bene! Ma quante volte?
Gesù, ancora una volta, partendo dalla domanda concreta del suo interlocutore, ci conduce al piano superiore, quello dell’esperienza di Dio. La sua risposta si articola in due momenti:
- Gesù stabilisce un perdono senza limiti (Mt 18, 21-22)
- Motiva il perdono senza limiti con la parabola del debitore (Mt 18, 25-35)
Il cristiano è sempre in debito di perdono! È ciò che ha bisogno da Dio e che deve dare al suo prossimo.

vv. 21-22 «quante volte dovrò perdonare?»: Pietro chiede al Signore quante volte si debba esercitare il perdono. I vv. 21-22 fanno parte della struttura del testo di Domenica scorsa essendo la conclusione logica e naturale in quanto si occupa del perdono fraterno. Correzione e perdono sono atteggiamenti che non si contraddicono, anzi se il perdono non esclude la correzione, questa esige sempre e comunque il perdono. Gesù sa bene quel che dice [lo abbiamo ascoltato parlare di amore verso i nemici (Mt 5,38-48) che supera la «legge del taglione»] e già l’A.T. è pieno della legge del perdono:
Mose che perdona il popolo ribelle e mormoratore (Es 16; 32,11-14; ecc.);
Davide che perdona Saul che lo perseguita (1 Sam 24 e 26);
il salmista perseguitato e percosso che si rimette alla divina misericordia (Sal 7; 16 (17); ecc.);
il servo sofferente (Is 53,7-8);
la dottrina sapienziale (cf I lettura)
«sette volte»: i rabbini insegnavano che Dio perdona solo due volte, alla terza punisce. Pietro va ben oltre l'insegnamento ufficiale ma Gesù sorpassa ogni pur ottimistica prospettiva umana; il canto della spada di Lamech è rovesciato (Gen 4,24). Il simbolismo dei numeri è da intendere che il perdono è per ogni mancanza e qualunque ne sia il numero.
Il sette indica la pienezza e i suoi multipli indicano la pienezza di pienezza: non sono più i numeri (77 o 70x7=490 che sia) che pur grandi sono sempre limitati ma sempre e per sempre! Come potremmo altrimenti pregare il Padre: «Tu rimetti a noi ì debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» ogni giorno della nostra esistenza?

v.23 - «A proposito»: in greco dia toùto = per questo. Come in cielo così in terra (sia fatta la tua volontà). «fare i conti»: lett. in gr. “portare a galla insieme”, i conti, come dice il verbo synáirô, che noi traduciamo con “regolare i conti”. Il re dunque regola i suoi conti, il senso è come in 25,19, la parabola dei talenti; in Lc 16,6 la parabola del fattore disonesto; Lc 19,15, la parabola delle mine, Mt 24,46-47, la parabola del servo fedele e sapiente. Il rendiconto finale è conosciuto ed è per tutti; ciascuno è chiamato ad assumersi personalmente le sue responsabilità.

v.24 - «debitore di 10.000 talenti: ecco un servo (doùlos = schiavo) che ha un debito immenso: 10.000 talenti. Il testo non precisa di che materia, essendo il talento una misura di peso di circa 40 Kg. Se fosse oro fino avremmo oggi circa 400.000 Kg per un valore (1 g = 38,33 euro1) di circa 15.332 miliardi di euro. Il «talento» era un taglio di denaro molto grosso, tra seimila e diecimila denari, quando un denaro rappresentava il salario di una giornata lavorativa (vedi 20,2). Perciò migliaia o diecimila talenti rappresentava una somma astronomica, un debito che il servo non avrebbe mai potuto ripagare. Una somma favolosa non solo ai tempi di Gesù ma notevole anche oggi.

v.25 - «ordinò che fosse venduto...»: Anche se alcuni testi biblici ammettono che i figli potevano essere venduti come schiavi per saldare i debiti del padre (2 Re 4,1; Is 50,1; Ne 5,5), ai tempi di Gesù questo non era ammesso. Secondo la legge ebraica, la moglie non poteva essere venduta per nessun motivo. Dobbiamo quindi supporre che il re fosse un pagano. Poiché il ricavo dalla vendita non bastava a ripagare il debito, l'azione del re doveva essere intesa più che altro come una punizione. Le leggi antiche in materia di debiti erano dunque terribilmente dure: il creditore insoddisfatto poteva ''colpire" non solo la persona fisica del debitore, ma anche la moglie e i figli, vendendoli come schiavi oltre al sequestro dei beni qualora vi fossero. Inutile scandalizzarsi, perché se appena verso la metà del 1800 i cosiddetti stati "civili" hanno abolito la prigione per debiti, la schiavitù è invece rimasta anche se sotto forme diverse e meno appariscenti.

v.27 - «Impietositosi»: in gr. splanchnìzomai = ebbe viscere di misericordia, un verbo proprio di Dio (cf Mt 9,35-38 Dom. XI). Splànchna sono le viscere materne, modo figurato per indicare la divina Misericordia. Come una madre è intimamente legata al figlio che le sue viscere hanno generato così Dio è legato all'uomo anzi «egli ti amerà più di tua madre» (cfr. Sir 4,10); «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (cfr. Is 49,15).
Nel N.T. il verbo si trova solo nei sinottici, quasi sempre riferito a Gesù, per indicare il moto divino di pietà per i sofferenti.
Usato per sottolineare una caratteristica saliente della personalità di Gesù è interessante esaminare come Gesù reagisce al sentimento di compassione che prova. Possiamo distinguere i brani dove Gesù ha compassione delle folle e quelli dove ha compassione di un singolo: alla compassione per le folle «disperse e senza pastore», nel brano di Matteo lega la missione dei dodici, che, come quella di Gesù non si limita a predicare, ma a guarire e scacciare i demòni; in Mc 6,34 (vedi sinossi) alla compassione per la stessa motivazione Gesù risponde «insegnando» e moltiplicando i pani e i pesci per dare loro da mangiare, quando sono sfinite; la moltiplicazione dei pani è la risposta anche di Mt 15,32; Mc 8,2; in Mt 14,14 Gesù guarisce i loro malati. Quando Gesù ha compassione per un singolo opera un miracolo di guarigione (cfr. Mt 20,34 e Mc 1,41) o di risurrezione (cfr. Lc 7,13). Gesù è sempre attento al dolore, alla sofferenza, allo smarrimento dei singoli e delle folle con le quali viene a contatto e si prende cura concretamente di loro.
«gli condonò il debito»: Il Signore del servo è «longanime e misericordioso (cf Sal 7,11; 85,15; 102,8; 144,8; Es 34,6) compie il giubileo biblico della totale remissione dei debiti (Lv 25,8-22). Il verbo aphìemi = rimettere, lasciare con l'indicativo all'aoristo dice che l’azione si compie una volta per tutte. E' un abbuono di grazia, non meritato e non meritabile dal servo. L'Alto ha compassione della pochezza del basso, lo restituisce alla sua dignità e lo reintegra alla sua famiglia. Un gesto regale, munifico e magnifico. «il debito»: Il greco, unico caso nel NT, usa il termine daneion, che trasforma il «debito» in un «prestito». In risposta alla supplica del servo di avere pazienza (18,26) il padrone non solo gli condona il debito ma mostra anche una squisita sensibilità e generosità chiamandolo eufemisticamente un «prestito».

v.28 - «uscito trovò un altro servo»: la legge del giubileo biblico (Lv 25,8-22) chiede, pena il decadimento, che esso sia applicato in modo interreciproco tra i fratelli. Il servo beneficato trova un collega, «syn-doulos» =un con-servo del re debitore nei suoi riguardi di appena 100 denari. La somma era l'equivalente di circa 100 giornate lavorative di un operaio (cf Mt 20,2 parabola degli operai mandati nella vigna); una somma irrisoria se confrontata con il debito precedente.

vv.29-30 - «gettatosi a terra, lo supplicava»: Il parallelismo tra le due scene è interrotto sol perché il servo a cui era stato condonato il debito non accoglie la supplica, ma fa gettare il debitore in carcere finché non avesse pagato il dovuto. Alla pazienza del re segue la cattiveria del primo servo che non ha imparato l'umiltà e la misericordia da quello che gli era accaduto.
«cento denari»: In confronto al debito di diecimila talenti questa era una somma irrisoria (il salario di 100 giorni) che avrebbe potuto facilmente essere restituita se il creditore avesse avuto un po' di pazienza. Il modo in cui tratta il suo debitore («presolo per la gola quasi lo strozzava») è in stridente contrasto con il trattamento avuto dal re.

v.31 - «altri con-servi furono dispiaciuti»: dobbiamo correggere la traduzione CEI con afflitti con veemenza, indignati molto e tristi per l’episodio squallido a cui hanno assistito. Questi servi sono in linea con il loro Re, hanno un cuore e per questo gli raccontano l'accaduto.

v.32 - «servo malvagio»: (cf. Lc 19,22 parabola delle mine) il Re esigendo che la sua longanimità sia attuata anche dai suoi sudditi, rinfaccia al servo di avergli «condonato» (aphìemi) tutto intero il debito solo perché era stato «invocato» (parakaléo).

v.33 - «non dovevi»: (èdei) era necessario, bisognava, è il Disegno divino che doveva essere attuato (cf Mt 23,23; Lc 11,42; 15,32; 24,7.26; vedi anche Lc 13,16 guarigione della donna curva, in giorno di sabato).
«aver pietà»: in gr. eleéo (da cui l'invocazione Kyrie eleison) un verbo usato per lo più in riferimento alla misericordia di Dio verso l'uomo e nelle beatitudini (Mt 5,7). Il verbo eleèin sottolinea un perdono che supera le leggi della giustizia rigida, degli interessi e del rigore inflessibile. Tra il Re e i suoi servi deve regnare il medesimo atteggiamento: Dio è l'Archetipo divino unico dell'uomo e l'uomo è a sua «immagine e somiglianza».

v.34 - «sdegnato lo diede ai torturatori»: al condono munifico segue l’ira e la condanna durissima per il servo spietato; consegnato agli esecutori di giustizia che usano anche pene corporali, i torturatori (solo qui in Mt e in tutto il N. T.), affinché sia punito poiché la restituzione del debito è impossibile!

v.35 - «Così anche...»: il Padre celeste agirà così anche verso tutti quei suoi servi iniqui che non lo imitano. L'Evangelo diventa interprete della tradizione biblica che descrive il perdono umano come conseguenza di quello di Dio (cf I Lett. Sir 28,1-7). Cristo chiede di applicare quel giubileo biblico che Lui è venuto a portare con lo Spirito Santo (cf Lc 4,18- 19; Is 61,1-2) e che insegnò con la preghiera «del Padre nostro», con quell'autentico e terribile «rimetti a noi - come noi già rimettemmo» (Mt 6,12). E' qui presente anche l'altro movimento, quello che a partire dal perdono degli uomini chiede il perdono di Dio.
«di cuore»: è il Cuore divino, cioè sincero, illimitato, che non cerca strategie di interesse o di buona educazione. La capacità di perdonare è ben oltre le forze dell'uomo, infatti se si possono dimenticare le disattenzioni nei nostri confronti, non siamo capaci di non tener conto del male che ci è stato fatto. Il chiedere perdono è il primo passo di Dio nei nostri confronti, il dono che riceviamo quando entra per la porta del nostro cuore (Ap 3,20). E' Lui, dopo che abbiamo toccato il fondo, che ci sollecita a chiedergli perdono; è l'intervento misericordioso del Padre celeste che attiva in noi la richiesta di pietà (eleéo). Si entra in paradiso se si è perdonati –perdonanti!
Come ci ricorda anche la seconda lettura (Rm 14,7-9) “Siamo del Signore”, apparteniamo a lui. Non dobbiamo vivere avendo come fine noi stessi. Lo Spirito di Dio che è in noi è Spirito di grande giustizia e carità che tiene conto degli altri. Per questo Cristo è morto ed è ritornato in vita.

Appendice
I vantaggi del perdono ai nemici
Questa parabola cerca di ottenere due cose: che noi riconosciamo e condanniamo i nostri peccati, e che perdoniamo quelli degli altri. E il condannare è in funzione del perdonare, affinché cioè il perdonare diventi più facile. Colui infatti che riconosce i propri peccati, sarà più disposto a perdonare al proprio fratello. E non solo a perdonare con la bocca, ma di cuore. Altrimenti noi rivolgeremo la spada contro noi stessi. Che male può farti il tuo nemico che possa essere paragonato a quello che tu fai a te stesso, accendendo la tua ira e attirando contro di te la sentenza di condanna da parte di Dio? Se infatti tu sei vigilante e vivi filosoficamente, tutto il male ricadrà sulla testa di chi ti offende e sarà lui a pagare il malfatto; ma se ti ostini nella tua indignazione e nel risentimento, allora sarai tu stesso a riportare il danno: non quello che ti procurerà l`offesa del nemico, ma quello che ti deriverà dal tuo rancore. Non dire che t`insultò e che ti calunniò e ti fece mille mali, quanti più oltraggi tu enumeri, tanto più dimostri che egli è tuo benefattore. Egli infatti ti ha dato modo di espiare i tuoi peccati. Quanto più infatti egli ti ha offeso tanto più è diventato per te causa di perdono. Infatti se noi vogliamo, nessuno potrà danneggiarci; anzi i nostri stessi nemici saranno per noi causa di bene immenso. Ma perché parlo soltanto degli uomini? C`è qualcosa di più perverso del demonio? Eppure anche lui può essere per noi occasione di grande gloria, come lo dimostra Giobbe. Se dunque il diavolo può essere per te occasione di ricompensa, perché temi un uomo, tuo nemico? Considera infatti quanto tu guadagni sopportando con mansuetudine gli attacchi dei tuoi nemici. Il primo e più grande vantaggio è il perdono dei tuoi peccati. In secondo luogo tu acquisti costanza e pazienza e inoltre mitezza e misericordia: infatti chi non sa adirarsi contro coloro che l`offendono, tanto più sarà mite verso gli amici. Infine, sradicheremo per sempre da noi l`ira: e non vi è bene pari a questo. Chi infatti è libero dall`ira, evidentemente sarà libero dalla tristezza di cui l`ira è fonte e non consumerà la sua vita in vani affanni e dolori. Chi non s`adira né odia, non sa neppure essere triste, ma godrà di gioia e di beni infiniti. Odiando infatti gli altri, noi puniamo noi stessi; e, al contrario, benefichiamo noi stessi, amando. Oltre a tutto questo, tu sarai rispettato persino dai tuoi nemici, anche se essi sono demoni; anzi, con questo tuo atteggiamento non avrai più neppure un nemico. Infine, ciò che vale più di tutto ed è prima di tutto: tu ti guadagnerai la benevolenza di Dio; se hai peccato, otterrai il perdono; e se hai praticato il bene, aggiungerai nuovi motivi di fiducia e di speranza.
Sforziamoci dunque di non odiare nessuno, affinché Dio ci ami. Anche se noi siamo debitori di mille talenti, egli avrà misericordia di noi e ci perdonerà. Ma tu dici che sei stato offeso dal tuo nemico. Ebbene, abbi compassione di lui e non odiarlo; compiangilo vivamente, non disprezzarlo. Infatti, non sei stato tu ad offendere Dio, ma lui; tu, invece, hai acquistato gloria se hai sopportato con pazienza il suo odio. Ricorda che Cristo, quando stava per essere crocifisso, si rallegrò per sé e pianse per i suoi crocifissori. Tale deve essere la nostra disposizione d`animo; e quanto più noi siamo offesi, tanto più dobbiamo piangere per coloro che ci offendono. A noi provengono molti beni da questo fatto mentre a loro accade tutto il contrario. Costui - tu replichi - mi ha oltraggiato e schiaffeggiato dinanzi a tutti. E io ti dico che egli si è disonorato davanti a tutti ed ha aperto la bocca di mille accusatori; per te invece ha intrecciato più grandi e splendide corone e ha aumentato il numero degli araldi della tua pazienza. Ma egli mi ha insultato davanti agli altri - tu obietti ancora. E che è questo, quando Dio solo sarà il tuo giudice e non coloro che hanno inteso quelle calunnie? Per sé, infatti, ha aggiunto nuovo motivo di castigo, cosicché egli dovrà render conto non solo dei propri atti, ma anche delle parole che pronunciò contro di te. Se ti ha accusato presso gli uomini, egli però si è screditato davanti a Dio. Se poi queste considerazioni non ti bastano, pensa che anche il tuo Dio è stato calunniato non solo da Satana, ma anche dagli uomini e da quelli che amava sopra tutti. (Giovanni Crisostomo, In Matth. 61, 5)

Il perdono dato è misura della misericordia che otterremo
"E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). O ineffabile clemenza di Dio! Non solo ci ha dato un modello di preghiera e ha stabilito una regola di vita che ci rende a lui accetti, non solo - attraverso la formula insegnataci con la quale ci prescrive di pregarlo sempre - strappa via le radici dell`ira e della tristezza, ma offre a chi prega un`occasione e apre una via a fare su di noi un giudizio indulgente e misericordioso; egli ci dà in certo modo la possibilità di addolcire noi stessi la nostra sentenza, di forzarlo al perdono delle nostre colpe con l`esempio della nostra indulgenza, poiché gli diciamo: "Perdona a noi, come noi perdoniamo agli altri".
Pertanto, fidando in questa preghiera, domanderà perdono con certezza di essere esaudito chiunque si sarà dimostrato remissivo verso i suoi debitori. Verso i suoi debitori, non verso quelli del Signore. Si nota infatti in molti una cosa ancora peggiore: le ingiurie fatte a Dio, per quanto gravissime, ci trovano dolci e pieni di clemenza; ma quando si tratta di offese anche minime fatte a noi, esigiamo una riparazione con severità inesorabile. E` certo però che chiunque non avrà perdonato di cuore i torti ricevuti dal fratello, con questa preghiera otterrà per sé non l`indulgenza ma la condanna poiché chiederà lui stesso un giudizio più severo dicendo: "Perdonami come io ho perdonato". Se sarà trattato secondo la sua domanda, che altro gli potrà toccare se non di venir punito, a suo esempio, con una collera implacabile e una sentenza senza remissione? Se dunque vogliamo essere giudicati benignamente, anche noi dobbiamo mostrarci benigni verso coloro che ci hanno arrecato qualche offesa. Infatti ci sarà perdonato nella misura in cui avremo perdonato loro, qualunque cattiveria ci abbiano fatto.
Molti tremano a questo pensiero, e quando in chiesa questa preghiera è cantata in coro da tutto il popolo lasciano passare queste parole senza dirle, per paura di condannarsi con la loro stessa bocca, invece di giustificarsi; e non s`accorgono che queste sono sottigliezze vane, con cui cercano invano di coprirsi agli occhi del Giudice di tutti, il quale ha voluto mostrare in anticipo, a coloro che lo pregano, in che modo li giudicherà. E` perché non vuole che lo troviamo severo e inesorabile, lui che ci ha rivelato la regola dei suoi giudizi, affinché noi così giudichiamo i nostri fratelli, qualora abbiano commesso qualcosa contro di noi "poiché il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha usato misericordia" (Gc 2,13). (Giovanni Cassiano, Collationes, 9, 22)

Nell’orazione stringiamo un patto con Dio
"Perdono da dare al fratello per poterlo ricevere da Dio". Se dunque, chiunque tu sia, rivolgi il tuo pensiero a Cristo, e desideri ricevere quello che egli ti ha promesso, non essere pigro nel fare quel che egli ha ordinato. Cosa infatti ha promesso? La vita eterna. E cosa ha ordinato? Di perdonare il fratello. Come se ti dicesse: Tu, uomo, dà il perdono all`uomo affinché io, Dio, ti possa perdonare... Intendo dire, non vuoi tu dunque ricevere dal tuo Signore quanto ti è ordinato di dare al tuo fratello? Dimmi se non vuoi, e non vuoi dare. Cos`è questo, se non che tu disconosci chi lo domanda, mentre chiedi di essere ignorato? Oppure se non hai di che essere ignorato, oso dire, non voler essere ignorato. Per quanto non avrei dovuto dire una cosa simile, anche se non hai di che essere ignorato, ignora.
"Sull`esempio di Dio, si devono condonare i debiti". Forse sei sul punto di dirmi: Ma io non sono Dio, sono un uomo peccatore. Grazie a Dio, poiché ti è dato di confessare la tua realtà di peccato. Perciò ignora affinché ti sia rimessa. Peraltro siamo esortati ad imitare lo stesso Signore nostro Dio. Anzitutto, lo stesso Dio Cristo, del quale l`apostolo Pietro ha detto: "Cristo ha patito per noi, lasciandovi l`esempio, perché ne seguiate le orme; egli che non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca" (1Pt 2,21-22). E in ogni caso, egli che non aveva peccato è morto per i nostri peccati ed ha effuso il suo sangue per la remissione dei peccati. Accettò per noi ciò che non doveva, perché fossimo liberati dal delitto. Egli non doveva morire e noi non dovevamo vivere. Perché? Perché eravamo peccatori. Né a lui era dovuta la morte, né a noi la vita: ciò che non gli era dovuto, egli lo accettò; ciò che a noi non era dovuto, egli lo dette. Ma poiché si tratta della remissione dei peccati, affinché non pensiate di imitare Cristo da voi, ascoltate l`Apostolo che dice: "Donando voi stessi, così come Dio si dette a voi in Cristo" (Col 3,13). "Siate dunque imitatori di Dio" (Ef 5,1). Sono parole dell`Apostolo, non mie. E` certamente presuntuoso imitare Dio? Ascolta l`Apostolo: "Siate imitatori di Dio, come figli carissimi (ibid.)". Sei detto figlio: se respingi l`imitazione, perché cerchi l`eredità?
"Il peccatore compatisca chi pecca". Questo potrei dire se tu non avessi in te ombra di peccato, qualora tu desideri essere confortato. Ma, in ogni caso, chiunque tu sia, sei un uomo; anche se giusto, sei un uomo; anche se laico, monaco chierico, vescovo o apostolo, sei sempre un uomo. Ascolta la voce dell`apostolo: Se dicessimo di non avere peccato, inganneremmo noi stessi. Egli, l`evangelista Giovanni, colui che Cristo Signore prediligeva fra gli altri, che riposava sul suo petto, proprio lui dice: "Se dicessimo": non ha detto: Se diceste di non aver peccato, bensì: "Se dicessimo di non aver peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non è in noi" (1Gv 1,8). Si congiunse alla colpa, per esser congiunto anche al perdono. "Se dicessimo": osservate chi dice: "Se dicessimo di non avere peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non è in noi. Se invece avremo confessato i nostri peccati, colui che è fedele e giusto, rimetterà i nostri peccati e ci purificherà da ogni iniquità (1Gv 1,8.9).
Come ci purificherà? Ignorando, non quasi non trovando di che punire, bensì trovando di che perdonare. Perciò, se abbiamo peccato, fratelli, comprendiamo chi chiede venia. Non coviamo nel nostro cuore inimicizia verso gli altri. Infatti, le inimicizie covate dentro viziano ancor più il nostro cuore.
"Nell`orazione si chiede a Dio il perdono con il patto di donarlo agli altri". Voglio quindi che tu sia comprensivo, perché ti so alla ricerca di perdono. Ti si prega, disconosci; ti si prega e pregherai a tua volta; ti si prega, disconosci; pregherai per essere disconosciuto. (Agostino, Sermo 114, 2-5)

Fonte:http://www.figliedellachiesa.org

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