FRA.Andrea Vaona,"Uno per tutti, tutti per Uno"

 
Domenica XXV del tempo ordinario – anno A
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.
Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più.
Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)

Domenica XXV del tempo ordinario – anno A – Ma che modo è mai di ragionare e comportarsi questo? Perché tanta ingiustizia nella retribuzione? Lasciato lo sconcerto (che indigna, ma che incuriosisce…), procediamo con calma…

Questo brano ci pone all’interno della sezione del Vangelo di Matteo, che precede direttamente i racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questa sezione inizia in 19,1, dove si dice che Gesù lascia definitivamente il territorio della Galilea per recarsi nella Giudea, dando inizio al suo cammino di avvicinamento a Gerusalemme e si conclude in 25,46, col quadro sulla venuta e il giudizio del Figlio di Dio.

La parabola della discordia segue le rassicurazioni che Gesù aveva dato alla richiesta di Pietro: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?» (Mt 19, 27). Il maestro aveva proposto scenari inattesi: «…quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele» (19,28). E ancora aveva parlato del ‘centuplo’ e della ‘vita eterna’. Il passo si concludeva però con una affermazione un po’ strana rispetto al discorso precedente: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (19,30). Si tratta di una frase quasi identica a quella che conclude questa parabola degli operai nella vigna: «Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi». Anzi, speculare! Rovesciamenti di prospettiva in vista, dunque!

Chiarito che il contesto non fa di questa parabola un testo di diritto del lavoro, si entra nello stupore di almeno tre dimensioni.

La prima, un padrone di una vigna così desideroso che essa dia frutto che non si stanca lungo il giorno a cercare operai per lei. Lo fa a ora diverse incontrando umanità diverse, tutte però in attesa di una chiamata che dia “senso” al loro giorno.

La seconda, un padrone che mantiene la promessa: il denaro pattuito con gli operai della prima ora è davvero consegnato.

La terza, un padrone che sorprende per la sua generosità anche con chi per meno tempo ha potuto lavorare.

La gioia è nell’essere chiamati; la gioia (non senza fatiche) è nel collaborare insieme perché la vigna dia il meglio di sé; la gioia è nel percepire la gratitudine del padrone che nell’unicità al servizio all’unica vigna non può fare “frazioni” di gratitudine.

Ci insegnarono: “tutti per uno, uno per tutti” nella logica della collaborazione e solidarietà negli intenti, anche i più avventurosi e spericolati. Qui la parabola ci suggerisce: “uno per tutti, tutti per Uno”, “un denaro ciascuno per tutti, tutti a servizio dell’Unico”. Perché l’Unico e Trino Signore si dona tutto a tutti, senza differenze, per chi lo sappia e lo voglia accogliere.

Una suggestione che viene anche nella vita liturgica: in fila ordinata, davanti ad un presbitero, un’umanità così diversa e variopinta in ogni angolo del mondo, una comunità diffusa nella vigna del mondo, una comunità di chiamati e convocati… tende una mano: “Il corpo di Cristo!”, “Amen!”. In quell’unica particola tutto il nostro Dio che si consegna (Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, n. 282).

Francesco aveva più volte intuito questa unità/unicità/interezza di bene che è Dio:

«Nient’altro dunque dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono, pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero e retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e i giusti, di tutti i beati che godono insieme nei cieli» (Regola non bollata, XXIII: FF 70).

«Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Iddio, ogni bene, sommo bene, tutto il bene, che solo sei buono, fa’ che noi ti rendiamo ogni lode, ogni gloria, ogni grazia, ogni onore, ogni benedizione e tutti i beni. Fiat! Fiat! Amen». (Lodi per ogni ora: FF 265)

«…Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio vivo e vero…» (Lodi di Dio altissimo: FF 261)

Altrove, misticamente, l’insegnamento (e l’ammonimento ai “frati mormoranti”…) viene da Cristo a frate Leone:

“Disse una volta il Signore Gesù Cristo a frate Leone, compagno del beato Francesco: «Io ho di che lamentarmi, riguardo ai frati». Gli rispose frate Leone: «Di che cosa, Signore?». E il Signore disse: «Di tre cose. Primo, perché non sono riconoscenti per i benefici che, come tu sai, ogni giorno io largisco loro generosamente, dando ad essi il necessario, sebbene non seminino e non mietano. Secondo, perché passano tutta la giornata in ozio a mormorare. Terzo, perché spesso si adirano vicendevolmente e non tornano a volersi bene, perdonando l’ingiuria ricevuta»” (Compilazione di Assisi ,21 : FF 1566)

Fonte:http://bibbiafrancescana.org

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