Mons.Francesco Follo,Lectio "Il perdono non ha limiti"

Il perdono non ha limiti
Rito Romano
XXIV Domenica del Tempo Ordinario -  17 settembre 2017
Sir 27,33-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35

Rito Ambrosiano
Is 11, 10-16; Sal 131; 1 Tm 1, 12-17; Lc 9, 18-22
III Domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore.
1) Una misura smisurata.
Nel Vangelo di questa domenica si racconta di quando Pietro chiese a Cristo quante volte avrebbe dovuto perdonare al suo prossimo. Il Messia, il portatore del Vangelo della misericordia, rispose che doveva perdonare “ non sette volte, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,21s), cioè sempre. Infatti il numero “settanta” per “sette” è simbolico, e significa, più che una quantità determinata, una quantità infinita, smisurata.
Dicendo che occorre perdonare “settanta volte sette”, Gesù insegna che il perdono cristiano è senza limiti e che solamente il perdono senza limiti assomiglia al perdono di Dio.  Questo perdono divino è il motivo e la misura del perdono fraterno. Poiché Dio Padre ci ha già fatti oggetto di un perdono senza misura, noi  dobbiamo perdonare senza misura. Il perdono fraterno è conseguenza del perdono paterno di Dio da invocare su quanti ci offendono, pregando: “Padre nostro che sei nei cieli … Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo” a coloro che sono colpevoli nei nostri riguardi (= “ai nostri debitori”) e facendo nostra la preghiera di Cristo in Croce, quando, rivolgendosi al Padre, supplicò: “Perdonali”, “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
“Perdono” è la parola pronunciata da Cristo, al quale fu fatto del male in modo ingiustissimo e senza misura.  Il Messia morente perdona e apre lo spazio dell’amore infinito all’uomo che l’offende e lo sta uccidendo. Pronuncia questa parola del cuore che rivela un Dio infinitamente buono: il Dio del perdono e della misericordia.
Come possiamo, noi poveri esseri limitati, mettere in pratica questo amore illimitato?
In primo luogo, mendicando la misericordia di Dio, perché non possiamo dare ciò che non abbiamo.  Il Padrone, di cui Cristo parla nella parabola di oggi, si lascia impietosire dalla supplica del servitore e gli condona tutto il debito rivelando un amore non solo paziente ma sconfinato nella sua misericordia. L’errore da evitare dopo questo perdono è di non riconoscere che in quel perdono c’è il suo amore per noi e che questo amore cresce in noi, se le condividiamo.
In secondo luogo,  prendendo coscienza che l’accoglienza del perdono di Dio si concretizza nel saper perdonare gli altri e che perdonando chi ci ha offeso, amiamo il prossimo come noi stessi e realizziamo non solo il suo  ma anche il nostro bene, e la nostra felicità.
 In terzo luogo, prendendo coscienza che il perdono non è solamente un atto che siamo chiamati a fare infinite volte, ma è un modo di essere che deve coinvolgere tutta la vita quotidiana per tutto l’arco della nostra esistenza. È una dimensione “religiosa”, nel senso pieno del termine perché esprime la nostra comunione con Dio, il cui amore trasforma: “Perdonare non é ignorare ma trasformare: cioè Dio deve entrare in questo mondo e opporre all’oceano dell’ingiustizia un oceano più grande del bene e dell’amore”. (Benedetto XVI, 24 luglio 2005)
  Un esempio alto e umano di questo perdono ci viene dalla Madonna, che spesso è invocata come Madre di misericordia. Ai piedi del Figlio suo crocifisso, Maria ci perdonò accettando come figli gli uomini, per quali Cristo era stato messo in Croce e per i quali moriva. Con questo sì (fiat) divenne per sempre, senza limiti, nostra  Madre, Madre del perdono, come pochi decenni prima si mise pienamente a disposizione di Dio e divenne la madre di Gesù, il Volto umano della divina Misericordia. Maria è diventata così e rimane per sempre la “Madre della Misericordia”, modello ed esempio di perdono.

2) Perdono e gratuità
La parabola di oggi ci da anche un altro insegnamento circa il perdono, che non deve essere “solamente” per sempre ma gratuito e che non si deve separare il rapporto con Dio da quello con il prossimo. In effetti, il servo della parabole è condannato perché tiene il perdono per sé, e non permette che il perdono ricevuto diventi gioia e perdono anche per gli altri. L'errore di questo servo è quello di separare il rapporto con Dio dal rapporto col prossimo. E invece è un rapporto unico: come fra Dio e l’uomo c’è un rapporto di gratuità, di amore accogliente, così deve essere fra l'uomo e i suoi fratelli.
Penso che  la parabola voglia sottolineare che l'amore di Dio non è anzitutto circolare, reciproco, ma espansivo, oblativo. È nella linea della gratuità, non della stretta reciprocità. Dio non si lascia rinchiudere nella stretta reciprocità. E, dunque, chi crede in Dio e parla di Dio, deve allargare lo spazio del perdono, che realizza la giustizia vera.
L’importante è capire e vivere il fatto che “la giustizia di Dio è il suo perdono”(Misericordiae Vultus, 20). Scrive papa Francesco: “La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità di ravvedersi, convertirsi e credere” (Id.  21). Dobbiamo essere Chiesa in uscita  guardando gli altri con gli occhi di Gesù: occhi di amore e non di esclusione, certi che Dio è tutto e solo Amore, e proprio essendo Amore è apertura, accoglienza, dialogo, che nella sua relazione con noi, uomini peccatori,  si fa  compassione, grazia, perdono: misericordia.
Le Vergini consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale siamo tutti salvati.
L’esistenza di queste donne tiene viva l’esperienza del perdono di Dio, perché vivono nella consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato.
Dunque, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della «compunzione del cuore», del riconoscimento umile della propria miseria, ma è anche una scuola della fiducia nella misericordia di Dio, nel suo amore che mai abbandona. In effetti, più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri.
Con il dono totale di se stesse, le vergini consacrate sperimentano la grazia, la misericordia e il perdono di Dio non solo per sé, ma anche per i fratelli, perché la loro vocazione è di portare nel cuore e nella preghiera le angosce e le attese degli uomini, specie di quelli che sono lontani da Dio.
La verginità è frutto di una prolungata amicizia con Gesù maturata nell’ascolto costante della sua Parola, nel dialogo della preghiera, nell’incontro eucaristico. Per questo le vergini consacrate sono testimoni credibili della fede e devono essere persone che vivono per Cristo, con Cristo e in Cristo, trasformando la propria vita secondo le esigenze più alte della gratuità.
La gratuità è uno dei fulcri del vangelo. Tutto è Grazia. “Nessuno” può pretendere niente, tutto fluisce, perché tutto viene donato. Come direbbe Paolo, “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7). La gratuità non è fare le cose senza motivo, ma farle con il massimo dei motivi, che è la fede che si rende operosa mediante la carità (cfr Gal 5,6).




Lettura patristica
San Giovanni Crisostomo (344/354  - 407)
In Matth. 61, 5


Questa parabola cerca di ottenere due cose: che noi riconosciamo e condanniamo i nostri peccati, e che perdoniamo quelli degli altri. E il condannare è in funzione del perdonare, affinché cioè il perdonare diventi più facile. Colui infatti che riconosce i propri peccati, sarà più disposto a perdonare al proprio fratello. E non solo a perdonare con la bocca, ma di cuore. Altrimenti noi rivolgeremo la spada contro noi stessi. Che male può farti il tuo nemico che possa essere paragonato a quello che tu fai a te stesso, accendendo la tua ira e attirando contro di te la sentenza di condanna da parte di Dio? Se infatti tu sei vigilante e vivi filosoficamente, tutto il male ricadrà sulla testa di chi ti offende e sarà lui a pagare il malfatto; ma se ti ostini nella tua indignazione e nel risentimento, allora sarai tu stesso a riportare il danno: non quello che ti procurerà l’offesa del nemico, ma quello che ti deriverà dal tuo rancore. Non dire che t’insultò e che ti calunniò e ti fece mille mali, quanti più oltraggi tu enumeri, tanto più dimostri che egli è tuo benefattore. Egli infatti ti ha dato modo di espiare i tuoi peccati. Quanto più infatti egli ti ha offeso tanto più è diventato per te causa di perdono. Infatti se noi vogliamo, nessuno potrà danneggiarci; anzi i nostri stessi nemici saranno per noi causa di bene immenso. Ma perché parlo soltanto degli uomini? C’è qualcosa di più perverso del demonio? Eppure anche lui può essere per noi occasione di grande gloria, come lo dimostra Giobbe. Se dunque il diavolo può essere per te occasione di ricompensa, perché temi un uomo, tuo nemico? Considera infatti quanto tu guadagni sopportando con mansuetudine gli attacchi dei tuoi nemici. Il primo e più grande vantaggio è il perdono dei tuoi peccati. In secondo luogo tu acquisti costanza e pazienza e inoltre mitezza e misericordia: infatti chi non sa adirarsi contro coloro che l’offendono, tanto più sarà mite verso gli amici. Infine, sradicheremo per sempre da noi l’ira: e non vi è bene pari a questo. Chi infatti è libero dall’ira, evidentemente sarà libero dalla tristezza di cui l’ira è fonte e non consumerà la sua vita in vani affanni e dolori. Chi non s’adira né odia, non sa neppure essere triste, ma godrà di gioia e di beni infiniti. Odiando infatti gli altri, noi puniamo noi stessi; e, al contrario, benefichiamo noi stessi, amando. Oltre a tutto questo, tu sarai rispettato persino dai tuoi nemici, anche se essi sono demoni; anzi, con questo tuo atteggiamento non avrai più neppure un nemico. Infine, ciò che vale più di tutto ed è prima di tutto: tu ti guadagnerai la benevolenza di Dio; se hai peccato, otterrai il perdono; e se hai praticato il bene, aggiungerai nuovi motivi di fiducia e di speranza.
       Sforziamoci dunque di non odiare nessuno, affinché Dio ci ami. Anche se noi siamo debitori di mille talenti, egli avrà misericordia di noi e ci perdonerà. Ma tu dici che sei stato offeso dal tuo nemico . Ebbene, abbi compassione di lui e non odiarlo; compiangilo vivamente, non disprezzarlo. Infatti, non sei stato tu ad offendere Dio, ma lui; tu, invece, hai acquistato gloria se hai sopportato con pazienza il suo odio. Ricorda che Cristo, quando stava per essere crocifisso, si rallegrò per sè e pianse per i suoi crocifissori. Tale deve essere la nostra disposizione d’animo; e quanto più noi siamo offesi, tanto più dobbiamo piangere per coloro che ci offendono. A noi provengono molti beni da questo fatto mentre a loro accade tutto il contrario. Costui - tu replichi - mi ha oltraggiato e schiaffeggiato dinanzi a tutti. E io ti dico che egli si è disonorato davanti a tutti ed ha aperto la bocca di mille accusatori; per te invece ha intrecciato più grandi e splendide corone e ha aumentato il numero degli araldi della tua pazienza. Ma egli mi ha insultato davanti agli altri - tu obietti ancora. E che è questo, quando Dio solo sarà il tuo giudice e non coloro che hanno inteso quelle calunnie? Per sé, infatti, ha aggiunto nuovo motivo di castigo, cosicché egli dovrà render conto non solo dei propri atti, ma anche delle parole che pronunciò contro di te. Se ti ha accusato presso gli uomini, egli però si è screditato davanti a Dio. Se poi queste considerazioni non ti bastano, pensa che anche il tuo Dio è stato calunniato non solo da Satana, ma anche dagli uomini e da quelli che amava sopra tutti.

Fonte:http://francescofolloit.blogspot.it/

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