ORDINE DEI CARMELITANI, Lectio "Parabola degli operai mandati nella vigna"
Lectio: Domenica, 24 Settembre, 2017
Parabola degli operai mandati nella vigna
La gratuità assoluta dell’amore di Dio
Matteo 20, 1-16
1. Orazione iniziale
O Padre, il tuo Figlio Gesù, che tu hai donato a noi, è il nostro regno, la nostra ricchezza, il nostro
cielo; Lui è il padrone della casa e della terra in cui noi viviamo ed esce continuamente a cercarci, perché desidera chiamarci, pronunciare il nostro nome, offrirci il suo amore infinito. Non potremo mai ripagarlo, mai ricambiare la sovrabbondanza della sua compassione e misericordia per noi; possiamo solo dirgli il nostro sì, il nostro: “Eccomi, io vengo”, o ripetergli con Isaia: “Signore, eccomi, manda me!”. Fa’, ti prego che questa parola entri nel mio cuore, nei miei occhi, nelle mie orecchie e mi cambi, mi trasformi, secondo questo amore sorprendente, incomprensibile che Gesù mi sta offrendo, anche oggi, anche in questo momento. Conducimi all’ultimo posto, al mio, quello che Lui ha preparato per me, là dove io posso essere veramente e pienamente me stesso. Amen.
2. Lettura
a) Per inserire il brano nel suo contesto:
Questo brano ci pone all’interno della sezione del Vangelo di Matteo, che precede direttamente i racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questa sezione inizia in 19, 1, dove si dice che Gesù lascia definitivamente il territorio della Galilea per recarsi nella Giudea, dando inizio al suo cammino di avvicinamento a Gerusalemme e si conclude in 25, 46, col quadro sulla venuta e il giudizio del Figlio di Dio. Più in particolare, il capitolo 20 ci colloca ancora lungo il percorso di Gesù verso la città santa e il suo tempio, in un contesto di ammaestramento e di polemica con i sapienti e i potenti del tempo, che egli realizza attraverso parabole e incontri.
b) Per aiutare nella lettura del brano:
20, 1a: Con le prime parole della parabola, che sono una formula di introduzione, Gesù vuole accompagnarci dentro il tema più profondo di cui intende parlare, vuole aprire davanti a noi le porte del regno, che è Lui stesso e si presenta quale padrone della vigna, che ha bisogno di essere lavorata.
20, 1b-7: Questi versetti costituiscono la prima parte della parabola; in essa Gesù racconta dell’iniziativa del padrone della vigna per assumere gli operai, descrivendo le sue quattro uscite, nelle quali ingaggia gli operai stabilendo un contratto e l’ultima uscita, ormai alla fine della giornata.
20, 8-15: Questa seconda parte comprende, invece, la descrizione del pagamento agli operai, con la protesta dei primi e la risposta del padrone.
20, 16: Infine viene riportata la sentenza conclusiva, che fa inclusione con 19, 30 e che rivela la chiave del brano e l’applicazione: quelli che nella comunità sono considerati ultimi, nella prospettiva del regno e del giudizio di Dio, saranno i primi.
Matteo 20, 1-16c) Il testo:
20, 1a: Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa…
20, 1b-7: …che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
20, 8-15: 8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dá loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?
20, 16: Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi.
3. Un momento di silenzio orante
Signore, ho ascoltato la tua voce, la tua parola; ora voglio tacere, con il cuore e con la mente, perché solo nel silenzio si realizza il vero ascolto, che cambia la mia vita, dal di dentro, dalle profondità. Aiutami, o Dio nascosto, Dio silenzioso e amoroso. Questo silenzio mi conduca nel tuo regno, nella tua casa, nella tua vigna, là dove l’unica ricompensa desiderata e bramata lungo tutta la giornata, tutta la vita, sei Tu stesso.
4. Alcune domande
Voglio di nuovo pormi in un contatto intenso e forte con la tua Parola, Signore; rileggo il brano, più lentamente, soffermandomi sulle parole, le espressioni, i versetti. Cerco di porre i miei pensieri, i miei sentimenti, il mio modo di comportarmi, di vivere in un confronto sincero e aperto con quanto tu mi dici, oggi; interrogo la mia vita, rispondo, getto ponti verso una vita nuova, fondata sul tuo modo di pensare e di amare.
a) Questo brano si apre con una particella connessiva, “infatti”, che è molto importante, perché mi rimanda al versetto che precede (Mt 19,30), dove Gesù afferma che “i primi saranno ultimi e gli ultimi primi”, con le stesse parole che ripeterà alla fine di questa parabola. Parole, dunque, importantissime, fondamentali, che vogliono indicarmi la direzione da prendere. Gesù è il regno di Dio, il regno dei cieli; Lui è il mondo nuovo, nel quale sono invitato ad entrare. Ma il suo è un mondo rovesciato, dove la nostra logica di potenza, guadagno, ricompense, abilità, sforzo, è sconfitta e sostituita da un’altra logica, quella della gratuità assoluta, dell’amore misericordioso e sovrabbondante. Se io credo di essere primo, di essere forte e capace; se mi sono già messo al primo posto alla tavola del Signore, è meglio che adesso mi alzi e vada ad occupare l’ultimo posto. Lì il Signore verrà a cercarmi e, chiamandomi, mi solleverà, mi trarrà in alto, verso di sé.
b) Gesù si paragona, qui, a un padrone di casa, utilizzando una figura particolare, che ritorna più volte nei vangeli. Provo a seguirla, facendomi attento alle caratteristiche che essa presenta e cercando di verificare qual è il mio rapporto con Lui. Il padrone di casa è il padrone della vigna, che si prende cura di essa, circondandola con un muro, scavando in essa un frantoio, coltivandola con amore e fatica (Mt 21, 33ss.), perché possa dare i migliori frutti. E’ il padrone di casa che offre una grande cena, facendo molti inviti, chiamando alla sua tavola i più derelitti, gli storpi, gli zoppi, i ciechi (Lc 14, 21ss.). E’ colui che torna dalle nozze e che noi dobbiamo aspettare vegliando, perché non sappiamo l’ora (Lc 12, 36); è il padrone di casa partito per un viaggio, che ci ha ordinato di vigilare, per essere pronti ad aprirgli, non appena torna e bussa, alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino (Mc 13, 35). Comprendo, dunque, che il Signore aspetta da me il frutto buono; che mi ha scelto come invitato alla sua mensa; che tornerà e verrà a cercarmi e busserà alla mia porta… Sono pronto a rispondergli? Ad aprirgli? A offrirgli il frutto dell’amore che Lui attende da me? Oppure sto dormendo, appesantito da mille altri interessi, schiavizzato da altri padroni di casa, diversi e lontani da Lui?
c) Il Signore Gesù, padrone della casa e della vigna, esce ripetutamente per chiamare e inviare; all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre del pomeriggio, alle cinque, quando ormai la giornata è alla fine. Lui non si stanca: viene a cercarmi, per offrirmi il suo amore, la sua presenza, per stringere un patto con me. Lui desidera offrirmi la sua vigna, la sua bellezza. Quando ci incontreremo, quando lui fissandomi, mi amerà (Mc 10, 21), io cosa gli risponderò? Mi rattristerò, perché ho molti altri beni (Lc 18, 23)? Gli chiederò di considerarmi giustificato, perché ho già preso altri impegni (Lc 14, 18)? Fuggirò via nudo, perdendo anche quello straccio di felicità che mi è rimasto per coprirmi (Mc 14, 52)? Oppure gli dirò: “Sì sì” e poi non andrò (Mt 21, 29)? Sento che questa parola mi mette in crisi, mi scruta fino in fondo, mi rivela a me stesso… rimango sgomento, impaurito della mia libertà, ma decido, davanti al Signore che mi sta parlando, di fare come Maria e dire anch’io: “Signore, avvenga di me quello che tu hai detto” con umile disponibilità e abbandono.
d) Adesso il vangelo mi pone davanti alla mia relazione con gli altri, i fratelli e le sorelle che condividono con me il cammino di sequela di Gesù. Siamo tutti convocati presso di Lui, alla sera, dopo il lavoro della giornata: Lui apre il suo tesoro d’amore e comincia a distribuire, a consegnare grazia, misericordia, compassione, amicizia, tutto se stesso. Non si ferma, il Signore, continua solo a traboccare, a effondersi, a consegnarsi a noi, a ciascuno. Matteo fa notare, a questo punto, che qualcuno mormora contro il padrone della vigna, contro il Signore. Nasce l’indignazione, perché Lui tratta tutti ugualmente, con la stessa intensità di amore, con la stessa sovrabbondanza. Forse è scritto anche di me in queste righe: il vangelo sa mettere a nudo il mio cuore, la parte più nascosta di me stesso. Forse il Signore dice proprio a me quelle parole cariche di tristezza: “Forse tu sei invidioso?” Mi devo lasciare interrogare, devo permettere a Lui di entrare dentro di me e di guardarmi con quei suoi occhi penetranti, perché solo se mi guarda Lui, io potrò essere guarito. Allora prego così: “Signore, ti prego, vieni in me, getta la tua parola nel mio cuore e germogli vita nuova, germogli l’amore”.
5. Una chiave di lettura
Bisogna che io apra ancora di più questa pagina di vangelo, questa parabola, se voglio davvero essere illuminato e cambiato. Apro la parola, ma in realtà sono io che vengo aperto, spalancato sempre di più all’amore del Signore, a ricevere la grazia che Lui continuamente prepara per me. Allora prendo la chiave costituita da alcuni termini o tematiche, che mi sembra di scorgere nel brano: la vigna; la promessa: un danaro; l’invio; la mormorazione, il brontolio.
La vigna
Nella figura della vigna, apparentemente semplice e quotidiana, la Scrittura condensa una realtà molto ricca e profonda, sempre più densa di significato, mano a mano che i testi si avvicinano alla rivelazione piena in Gesù. Nel primo libro dei re, al cap. 21, è narrata la vicenda violenta che investe Nabot, un semplice suddito del corrotto re Acab, il quale possedeva una vigna, piantata, per sua sventura, proprio vicino al palazzo del re. Il racconto ci fa comprendere quanto la vigna fosse importante, una proprietà inviolabile: per niente al mondo Nabot l’avrebbe ceduta, come disse: “Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri!” (1 Re 21, 3). Per amore di essa, egli perse la vita. Dunque la vigna rappresenta il bene più prezioso, l’eredità della famiglia, per certa parte, l’identità stessa della persona; non la si può svendere, cedere ad altri, barattare con altri beni, che non riuscirebbero a eguagliarla. Essa nasconde una forza vitale, spirituale.
Isaia 5 ci dice chiaramente che sotto la figura della vigna è significato il popolo di Israele, come sta scritto: “La vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita” (Is 5, 7). Questo popolo il Signore ha amato di amore infinito ed eterno, sigillato da un’alleanza inviolabile; Lui se ne prende cura, proprio come farebbe un vignaiolo con la sua vigna, facendo di tutto perché essa possa dare i frutti più belli. Israele siamo ognuno di noi, tutta la Chiesa: il Padre ci ha trovato come terra desolata, riarsa, devastata, ingombrata dai sassi e ci ha coltivati, ci ha vangati, concimati, irrigati ad ogni istante; ci ha piantati come vigna scelta, tutta di vitigni genuini (Ger 2, 21). Che cosa ancora avrebbe potuto fare per noi, che già non abbia fatto? (Is 5, 4) Nel suo abbassamento infinito, il Signore si è fatto vigna Egli stesso; è diventato la vite vera (Gv 15, 1ss.), di cui noi siamo i tralci; si è unito a noi, così come la vite è unita ai suoi tralci. Il Padre, che è il vignaiolo, continua la sua opera d’amore in noi, perché portiamo frutto e pazientemente aspetta; Lui pota, Lui coltiva, ma poi invia noi a lavorare, a raccogliere i frutti da offrirgli. Siamo inviati al suo popolo, ai suoi figli, quali figli noi stessi, quali suoi discepoli; non possiamo tirarci indietro, rifiutare, perché siamo stati fatti per questo: perché andiamo e portiamo frutto e il nostro frutto rimanga (Gv 15, 16). Signore, volgiti; guarda dal cielo e vedi e visita la tua vigna (Sal 79, 15)
La promessa: un danaro
Il padrone della vigna stabilisce come ricompensa del lavoro della giornata un denaro; una somma buona, che permetteva di vivere degnamente. Pressappoco corrisponde alla dramma pattuita dal vecchio Tobi con l’accompagnatore del figlio Tobia verso la Media (Tb 5, 15).
Me nel racconto evangelico questo denaro viene subito chiamato con un altro nome dal padrone; dice infatti: “quello che è giusto vi darò” (v. 4). Nostra eredità, nostro salario è il giusto, il buono: il Signore Gesù. Egli, infatti, non dona, non promette altro che se stesso. La nostra ricompensa è nei cieli (Mt 5, 12), presso il Padre nostro (Mt 6, 1). Non è il denaro che veniva utilizzato per il pagamento della tassa pro-capite ai romani, su cui c’era l’immagine e l’iscrizione del re Tiberio Cesare (Mt 22, 20), ma qui c’è il volto di Gesù, il suo nome, la sua presenza. Egli ci dice: “Io sono con voi non solo per oggi, ma tutti i giorni, fino alla fine del mondo; Io stesso sarò la tua ricompensa”.
L’invio
Il testo offre alla nostra vita un’energia molto forte, che scaturisce dai verbi “inviare, mandare” e “andare”, ripetuto due volte; entrambi riguardano noi, ci toccano nel profondo, ci chiamano e ci mettono in movimento. E’ il Signore Gesù che ci invia, facendo di noi degli apostoli: “Ecco, io vi mando” (Mt 10, 16). Ogni giorno egli ci chiama per la sua missione e ripete su di noi quel: “Andate!”e la nostra felicità è nascosta proprio qui, nella realizzazione di questa sua parola. Andare dove Lui ci manda, nel modo che Lui ci indica, verso le realtà e le persone che Lui ci pone davanti.
La mormorazione, il brontolio
Parole importantissime, vere e tanto presenti nella nostra esperienza di vita quotidiana; non possiamo negarlo: esse abitano anche il nostro cuore, i nostri pensieri, a volte ci tormentano, ci sfigurano, ci stancano profondamente, ci allontanano da noi stessi, dagli altri, dal Signore. Sì, in mezzo a quegli operai che si lamentano e brontolano, mormorando contro il padrone, ci siamo anche noi. Il rumore della mormorazione viene da molto lontano, ma ugualmente riesce a raggiungerci e si insinua nel nostro cuore; Israele nel deserto ha mormorato pesantemente contro il suo Signore e noi abbiamo ricevuto in eredità quei pensieri, quelle parole: “Il Signore ci odia, per questo ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto per darci in mano agli Amorrei e per distruggerci” (Dt 1, 27) e dubitiamo sulla sua capacità di nutrirci, di condurci avanti, di proteggerci: “Potrà forse Dio preparare una mensa nel deserto?” (Sal 77, 19). Mormorare significa non ascoltare la voce del Signore, non credere più al suo amore per noi. Allora ci scandalizziamo, ci irritiamo fortemente contro il Signore misericordioso e ci indigniamo contro il suo modo di agire e vorremmo cambiarlo, rimpicciolirlo secondo i nostri schemi: “E’ andato ad alloggiare da un peccatore! Mangia e beve con i peccatori!” (Lc 5, 30; 15, 2; 19, 7). Se ascoltiamo bene, queste sono le mormorazioni segrete del nostro cuore. Come guarire? San Pietro suggerisce questa via: “Praticate l'ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare” (1 Pt 4, 9); solo l’ospitalità, cioè l’accoglienza possono, piano piano, cambiare il nostro cuore e renderlo ricettivo, capace di portare dentro di sé le persone, le situazioni, le realtà che incontriamo nella vita. “Accoglietevi”, dice la Scrittura. E’ proprio così: dobbiamo imparare ad accogliere, prima di tutto, il Signore Gesù, così com’è, col suo modo di amare e di rimanere, di parlarci e cambiarci, di aspettarci e attirarci. Accogliere Lui e accogliere chi ci sta accanto, chi ci viene incontro; solo questo movimento può sconfiggere l’indurimento della mormorazione.
La mormorazione nasce dalla gelosia, dall’invidia, dal nostro occhio cattivo, come dice il padrone della vigna, Gesù stesso. Lui sa guardarci dentro, sa penetrare il nostro sguardo e raggiungerci nel cuore, nell’anima. Lui sa come siamo, ci conosce, ci ama; ed è per amore che Lui tira fuori da noi il nostro male, toglie il velo dal nostro occhio cattivo, ci aiuta a prendere coscienza di come siamo, di ciò che ci vive dentro. Nel momento in cui dice: “Forse il tuo occhio è cattivo?”, come sta facendo oggi, in questo vangelo, Lui ci guarisce, prende l’unguento e lo spalma, prende il fango fatto con la sua saliva e unge i nostri occhi, fino all’intimo.
Signore, ti prego: fa che io veda. Con occhi buoni, senza gelosia; con l’accoglienza, senza mormorare.
6. Un momento di preghiera: Salmo 135
Ho incontrato e assaporato l’amore gratuito del Signore, la sua misericordia senza limiti; ho ricevuto la ricompensa, il salario che non avevo meritato; sono stato riempito di grazia. Ora esulto di gioia indicibile e gloriosa; ora ci vedo! Canto, con il cuore rinnovato, la lode per questo Amore sorprendente, che il Signore regala senza risparmio, senza calcolo, senza nulla trattenere. Alleluia!
Rit. Infinito è il tuo amore per noi!
Alleluia. Lodate il Signore perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio degli dei:
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Signore dei signori:
perché eterna è la sua misericordia.
Egli solo ha compiuto meraviglie:
perché eterna è la sua misericordia.
Percosse l'Egitto nei suoi primogeniti:
perché eterna è la sua misericordia.
Da loro liberò Israele:
perché eterna è la sua misericordia;
con mano potente e braccio teso:
perché eterna è la sua misericordia.
Divise il mar Rosso in due parti:
perché eterna è la sua misericordia.
In mezzo fece passare Israele:
perché eterna è la sua misericordia.
Travolse il faraone e il suo esercito nel mar Rosso:
perché eterna è la sua misericordia.
Guidò il suo popolo nel deserto:
perché eterna è la sua misericordia.
Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi:
perché eterna è la sua misericordia;
ci ha liberati dai nostri nemici:
perché eterna è la sua misericordia.
Egli dà il cibo ad ogni vivente:
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio del cielo:
perché eterna è la sua misericordia.
7. Orazione finale
Grazie, o Padre, per avermi rivelato il tuo Figlio e avermi fatto entrare nella sua eredità, nella sua vigna. Tu mi hai reso tralcio, mi hai reso uva: ora non mi resta che rimanere, rimanere in Lui, in te e lasciarmi prendere, quale frutto buono, maturo, per essere posto nel torchio. Sì, Signore, lo so: è questa la via. Io non ho paura, perché tu sei con me. Io so che l’unica via alla felicità è il dono a te, il dono ai fratelli. Che io sia tralcio, io sia uva buona, per essere spremuto, come tu vorrai. Amen.
Fonte:http://ocarm.org/it
Parabola degli operai mandati nella vigna
La gratuità assoluta dell’amore di Dio
Matteo 20, 1-16
1. Orazione iniziale
O Padre, il tuo Figlio Gesù, che tu hai donato a noi, è il nostro regno, la nostra ricchezza, il nostro
cielo; Lui è il padrone della casa e della terra in cui noi viviamo ed esce continuamente a cercarci, perché desidera chiamarci, pronunciare il nostro nome, offrirci il suo amore infinito. Non potremo mai ripagarlo, mai ricambiare la sovrabbondanza della sua compassione e misericordia per noi; possiamo solo dirgli il nostro sì, il nostro: “Eccomi, io vengo”, o ripetergli con Isaia: “Signore, eccomi, manda me!”. Fa’, ti prego che questa parola entri nel mio cuore, nei miei occhi, nelle mie orecchie e mi cambi, mi trasformi, secondo questo amore sorprendente, incomprensibile che Gesù mi sta offrendo, anche oggi, anche in questo momento. Conducimi all’ultimo posto, al mio, quello che Lui ha preparato per me, là dove io posso essere veramente e pienamente me stesso. Amen.
2. Lettura
a) Per inserire il brano nel suo contesto:
Questo brano ci pone all’interno della sezione del Vangelo di Matteo, che precede direttamente i racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questa sezione inizia in 19, 1, dove si dice che Gesù lascia definitivamente il territorio della Galilea per recarsi nella Giudea, dando inizio al suo cammino di avvicinamento a Gerusalemme e si conclude in 25, 46, col quadro sulla venuta e il giudizio del Figlio di Dio. Più in particolare, il capitolo 20 ci colloca ancora lungo il percorso di Gesù verso la città santa e il suo tempio, in un contesto di ammaestramento e di polemica con i sapienti e i potenti del tempo, che egli realizza attraverso parabole e incontri.
b) Per aiutare nella lettura del brano:
20, 1a: Con le prime parole della parabola, che sono una formula di introduzione, Gesù vuole accompagnarci dentro il tema più profondo di cui intende parlare, vuole aprire davanti a noi le porte del regno, che è Lui stesso e si presenta quale padrone della vigna, che ha bisogno di essere lavorata.
20, 1b-7: Questi versetti costituiscono la prima parte della parabola; in essa Gesù racconta dell’iniziativa del padrone della vigna per assumere gli operai, descrivendo le sue quattro uscite, nelle quali ingaggia gli operai stabilendo un contratto e l’ultima uscita, ormai alla fine della giornata.
20, 8-15: Questa seconda parte comprende, invece, la descrizione del pagamento agli operai, con la protesta dei primi e la risposta del padrone.
20, 16: Infine viene riportata la sentenza conclusiva, che fa inclusione con 19, 30 e che rivela la chiave del brano e l’applicazione: quelli che nella comunità sono considerati ultimi, nella prospettiva del regno e del giudizio di Dio, saranno i primi.
Matteo 20, 1-16c) Il testo:
20, 1a: Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa…
20, 1b-7: …che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
20, 8-15: 8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dá loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?
20, 16: Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi.
3. Un momento di silenzio orante
Signore, ho ascoltato la tua voce, la tua parola; ora voglio tacere, con il cuore e con la mente, perché solo nel silenzio si realizza il vero ascolto, che cambia la mia vita, dal di dentro, dalle profondità. Aiutami, o Dio nascosto, Dio silenzioso e amoroso. Questo silenzio mi conduca nel tuo regno, nella tua casa, nella tua vigna, là dove l’unica ricompensa desiderata e bramata lungo tutta la giornata, tutta la vita, sei Tu stesso.
4. Alcune domande
Voglio di nuovo pormi in un contatto intenso e forte con la tua Parola, Signore; rileggo il brano, più lentamente, soffermandomi sulle parole, le espressioni, i versetti. Cerco di porre i miei pensieri, i miei sentimenti, il mio modo di comportarmi, di vivere in un confronto sincero e aperto con quanto tu mi dici, oggi; interrogo la mia vita, rispondo, getto ponti verso una vita nuova, fondata sul tuo modo di pensare e di amare.
a) Questo brano si apre con una particella connessiva, “infatti”, che è molto importante, perché mi rimanda al versetto che precede (Mt 19,30), dove Gesù afferma che “i primi saranno ultimi e gli ultimi primi”, con le stesse parole che ripeterà alla fine di questa parabola. Parole, dunque, importantissime, fondamentali, che vogliono indicarmi la direzione da prendere. Gesù è il regno di Dio, il regno dei cieli; Lui è il mondo nuovo, nel quale sono invitato ad entrare. Ma il suo è un mondo rovesciato, dove la nostra logica di potenza, guadagno, ricompense, abilità, sforzo, è sconfitta e sostituita da un’altra logica, quella della gratuità assoluta, dell’amore misericordioso e sovrabbondante. Se io credo di essere primo, di essere forte e capace; se mi sono già messo al primo posto alla tavola del Signore, è meglio che adesso mi alzi e vada ad occupare l’ultimo posto. Lì il Signore verrà a cercarmi e, chiamandomi, mi solleverà, mi trarrà in alto, verso di sé.
b) Gesù si paragona, qui, a un padrone di casa, utilizzando una figura particolare, che ritorna più volte nei vangeli. Provo a seguirla, facendomi attento alle caratteristiche che essa presenta e cercando di verificare qual è il mio rapporto con Lui. Il padrone di casa è il padrone della vigna, che si prende cura di essa, circondandola con un muro, scavando in essa un frantoio, coltivandola con amore e fatica (Mt 21, 33ss.), perché possa dare i migliori frutti. E’ il padrone di casa che offre una grande cena, facendo molti inviti, chiamando alla sua tavola i più derelitti, gli storpi, gli zoppi, i ciechi (Lc 14, 21ss.). E’ colui che torna dalle nozze e che noi dobbiamo aspettare vegliando, perché non sappiamo l’ora (Lc 12, 36); è il padrone di casa partito per un viaggio, che ci ha ordinato di vigilare, per essere pronti ad aprirgli, non appena torna e bussa, alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino (Mc 13, 35). Comprendo, dunque, che il Signore aspetta da me il frutto buono; che mi ha scelto come invitato alla sua mensa; che tornerà e verrà a cercarmi e busserà alla mia porta… Sono pronto a rispondergli? Ad aprirgli? A offrirgli il frutto dell’amore che Lui attende da me? Oppure sto dormendo, appesantito da mille altri interessi, schiavizzato da altri padroni di casa, diversi e lontani da Lui?
c) Il Signore Gesù, padrone della casa e della vigna, esce ripetutamente per chiamare e inviare; all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre del pomeriggio, alle cinque, quando ormai la giornata è alla fine. Lui non si stanca: viene a cercarmi, per offrirmi il suo amore, la sua presenza, per stringere un patto con me. Lui desidera offrirmi la sua vigna, la sua bellezza. Quando ci incontreremo, quando lui fissandomi, mi amerà (Mc 10, 21), io cosa gli risponderò? Mi rattristerò, perché ho molti altri beni (Lc 18, 23)? Gli chiederò di considerarmi giustificato, perché ho già preso altri impegni (Lc 14, 18)? Fuggirò via nudo, perdendo anche quello straccio di felicità che mi è rimasto per coprirmi (Mc 14, 52)? Oppure gli dirò: “Sì sì” e poi non andrò (Mt 21, 29)? Sento che questa parola mi mette in crisi, mi scruta fino in fondo, mi rivela a me stesso… rimango sgomento, impaurito della mia libertà, ma decido, davanti al Signore che mi sta parlando, di fare come Maria e dire anch’io: “Signore, avvenga di me quello che tu hai detto” con umile disponibilità e abbandono.
d) Adesso il vangelo mi pone davanti alla mia relazione con gli altri, i fratelli e le sorelle che condividono con me il cammino di sequela di Gesù. Siamo tutti convocati presso di Lui, alla sera, dopo il lavoro della giornata: Lui apre il suo tesoro d’amore e comincia a distribuire, a consegnare grazia, misericordia, compassione, amicizia, tutto se stesso. Non si ferma, il Signore, continua solo a traboccare, a effondersi, a consegnarsi a noi, a ciascuno. Matteo fa notare, a questo punto, che qualcuno mormora contro il padrone della vigna, contro il Signore. Nasce l’indignazione, perché Lui tratta tutti ugualmente, con la stessa intensità di amore, con la stessa sovrabbondanza. Forse è scritto anche di me in queste righe: il vangelo sa mettere a nudo il mio cuore, la parte più nascosta di me stesso. Forse il Signore dice proprio a me quelle parole cariche di tristezza: “Forse tu sei invidioso?” Mi devo lasciare interrogare, devo permettere a Lui di entrare dentro di me e di guardarmi con quei suoi occhi penetranti, perché solo se mi guarda Lui, io potrò essere guarito. Allora prego così: “Signore, ti prego, vieni in me, getta la tua parola nel mio cuore e germogli vita nuova, germogli l’amore”.
5. Una chiave di lettura
Bisogna che io apra ancora di più questa pagina di vangelo, questa parabola, se voglio davvero essere illuminato e cambiato. Apro la parola, ma in realtà sono io che vengo aperto, spalancato sempre di più all’amore del Signore, a ricevere la grazia che Lui continuamente prepara per me. Allora prendo la chiave costituita da alcuni termini o tematiche, che mi sembra di scorgere nel brano: la vigna; la promessa: un danaro; l’invio; la mormorazione, il brontolio.
La vigna
Nella figura della vigna, apparentemente semplice e quotidiana, la Scrittura condensa una realtà molto ricca e profonda, sempre più densa di significato, mano a mano che i testi si avvicinano alla rivelazione piena in Gesù. Nel primo libro dei re, al cap. 21, è narrata la vicenda violenta che investe Nabot, un semplice suddito del corrotto re Acab, il quale possedeva una vigna, piantata, per sua sventura, proprio vicino al palazzo del re. Il racconto ci fa comprendere quanto la vigna fosse importante, una proprietà inviolabile: per niente al mondo Nabot l’avrebbe ceduta, come disse: “Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri!” (1 Re 21, 3). Per amore di essa, egli perse la vita. Dunque la vigna rappresenta il bene più prezioso, l’eredità della famiglia, per certa parte, l’identità stessa della persona; non la si può svendere, cedere ad altri, barattare con altri beni, che non riuscirebbero a eguagliarla. Essa nasconde una forza vitale, spirituale.
Isaia 5 ci dice chiaramente che sotto la figura della vigna è significato il popolo di Israele, come sta scritto: “La vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita” (Is 5, 7). Questo popolo il Signore ha amato di amore infinito ed eterno, sigillato da un’alleanza inviolabile; Lui se ne prende cura, proprio come farebbe un vignaiolo con la sua vigna, facendo di tutto perché essa possa dare i frutti più belli. Israele siamo ognuno di noi, tutta la Chiesa: il Padre ci ha trovato come terra desolata, riarsa, devastata, ingombrata dai sassi e ci ha coltivati, ci ha vangati, concimati, irrigati ad ogni istante; ci ha piantati come vigna scelta, tutta di vitigni genuini (Ger 2, 21). Che cosa ancora avrebbe potuto fare per noi, che già non abbia fatto? (Is 5, 4) Nel suo abbassamento infinito, il Signore si è fatto vigna Egli stesso; è diventato la vite vera (Gv 15, 1ss.), di cui noi siamo i tralci; si è unito a noi, così come la vite è unita ai suoi tralci. Il Padre, che è il vignaiolo, continua la sua opera d’amore in noi, perché portiamo frutto e pazientemente aspetta; Lui pota, Lui coltiva, ma poi invia noi a lavorare, a raccogliere i frutti da offrirgli. Siamo inviati al suo popolo, ai suoi figli, quali figli noi stessi, quali suoi discepoli; non possiamo tirarci indietro, rifiutare, perché siamo stati fatti per questo: perché andiamo e portiamo frutto e il nostro frutto rimanga (Gv 15, 16). Signore, volgiti; guarda dal cielo e vedi e visita la tua vigna (Sal 79, 15)
La promessa: un danaro
Il padrone della vigna stabilisce come ricompensa del lavoro della giornata un denaro; una somma buona, che permetteva di vivere degnamente. Pressappoco corrisponde alla dramma pattuita dal vecchio Tobi con l’accompagnatore del figlio Tobia verso la Media (Tb 5, 15).
Me nel racconto evangelico questo denaro viene subito chiamato con un altro nome dal padrone; dice infatti: “quello che è giusto vi darò” (v. 4). Nostra eredità, nostro salario è il giusto, il buono: il Signore Gesù. Egli, infatti, non dona, non promette altro che se stesso. La nostra ricompensa è nei cieli (Mt 5, 12), presso il Padre nostro (Mt 6, 1). Non è il denaro che veniva utilizzato per il pagamento della tassa pro-capite ai romani, su cui c’era l’immagine e l’iscrizione del re Tiberio Cesare (Mt 22, 20), ma qui c’è il volto di Gesù, il suo nome, la sua presenza. Egli ci dice: “Io sono con voi non solo per oggi, ma tutti i giorni, fino alla fine del mondo; Io stesso sarò la tua ricompensa”.
L’invio
Il testo offre alla nostra vita un’energia molto forte, che scaturisce dai verbi “inviare, mandare” e “andare”, ripetuto due volte; entrambi riguardano noi, ci toccano nel profondo, ci chiamano e ci mettono in movimento. E’ il Signore Gesù che ci invia, facendo di noi degli apostoli: “Ecco, io vi mando” (Mt 10, 16). Ogni giorno egli ci chiama per la sua missione e ripete su di noi quel: “Andate!”e la nostra felicità è nascosta proprio qui, nella realizzazione di questa sua parola. Andare dove Lui ci manda, nel modo che Lui ci indica, verso le realtà e le persone che Lui ci pone davanti.
La mormorazione, il brontolio
Parole importantissime, vere e tanto presenti nella nostra esperienza di vita quotidiana; non possiamo negarlo: esse abitano anche il nostro cuore, i nostri pensieri, a volte ci tormentano, ci sfigurano, ci stancano profondamente, ci allontanano da noi stessi, dagli altri, dal Signore. Sì, in mezzo a quegli operai che si lamentano e brontolano, mormorando contro il padrone, ci siamo anche noi. Il rumore della mormorazione viene da molto lontano, ma ugualmente riesce a raggiungerci e si insinua nel nostro cuore; Israele nel deserto ha mormorato pesantemente contro il suo Signore e noi abbiamo ricevuto in eredità quei pensieri, quelle parole: “Il Signore ci odia, per questo ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto per darci in mano agli Amorrei e per distruggerci” (Dt 1, 27) e dubitiamo sulla sua capacità di nutrirci, di condurci avanti, di proteggerci: “Potrà forse Dio preparare una mensa nel deserto?” (Sal 77, 19). Mormorare significa non ascoltare la voce del Signore, non credere più al suo amore per noi. Allora ci scandalizziamo, ci irritiamo fortemente contro il Signore misericordioso e ci indigniamo contro il suo modo di agire e vorremmo cambiarlo, rimpicciolirlo secondo i nostri schemi: “E’ andato ad alloggiare da un peccatore! Mangia e beve con i peccatori!” (Lc 5, 30; 15, 2; 19, 7). Se ascoltiamo bene, queste sono le mormorazioni segrete del nostro cuore. Come guarire? San Pietro suggerisce questa via: “Praticate l'ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare” (1 Pt 4, 9); solo l’ospitalità, cioè l’accoglienza possono, piano piano, cambiare il nostro cuore e renderlo ricettivo, capace di portare dentro di sé le persone, le situazioni, le realtà che incontriamo nella vita. “Accoglietevi”, dice la Scrittura. E’ proprio così: dobbiamo imparare ad accogliere, prima di tutto, il Signore Gesù, così com’è, col suo modo di amare e di rimanere, di parlarci e cambiarci, di aspettarci e attirarci. Accogliere Lui e accogliere chi ci sta accanto, chi ci viene incontro; solo questo movimento può sconfiggere l’indurimento della mormorazione.
La mormorazione nasce dalla gelosia, dall’invidia, dal nostro occhio cattivo, come dice il padrone della vigna, Gesù stesso. Lui sa guardarci dentro, sa penetrare il nostro sguardo e raggiungerci nel cuore, nell’anima. Lui sa come siamo, ci conosce, ci ama; ed è per amore che Lui tira fuori da noi il nostro male, toglie il velo dal nostro occhio cattivo, ci aiuta a prendere coscienza di come siamo, di ciò che ci vive dentro. Nel momento in cui dice: “Forse il tuo occhio è cattivo?”, come sta facendo oggi, in questo vangelo, Lui ci guarisce, prende l’unguento e lo spalma, prende il fango fatto con la sua saliva e unge i nostri occhi, fino all’intimo.
Signore, ti prego: fa che io veda. Con occhi buoni, senza gelosia; con l’accoglienza, senza mormorare.
6. Un momento di preghiera: Salmo 135
Ho incontrato e assaporato l’amore gratuito del Signore, la sua misericordia senza limiti; ho ricevuto la ricompensa, il salario che non avevo meritato; sono stato riempito di grazia. Ora esulto di gioia indicibile e gloriosa; ora ci vedo! Canto, con il cuore rinnovato, la lode per questo Amore sorprendente, che il Signore regala senza risparmio, senza calcolo, senza nulla trattenere. Alleluia!
Rit. Infinito è il tuo amore per noi!
Alleluia. Lodate il Signore perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio degli dei:
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Signore dei signori:
perché eterna è la sua misericordia.
Egli solo ha compiuto meraviglie:
perché eterna è la sua misericordia.
Percosse l'Egitto nei suoi primogeniti:
perché eterna è la sua misericordia.
Da loro liberò Israele:
perché eterna è la sua misericordia;
con mano potente e braccio teso:
perché eterna è la sua misericordia.
Divise il mar Rosso in due parti:
perché eterna è la sua misericordia.
In mezzo fece passare Israele:
perché eterna è la sua misericordia.
Travolse il faraone e il suo esercito nel mar Rosso:
perché eterna è la sua misericordia.
Guidò il suo popolo nel deserto:
perché eterna è la sua misericordia.
Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi:
perché eterna è la sua misericordia;
ci ha liberati dai nostri nemici:
perché eterna è la sua misericordia.
Egli dà il cibo ad ogni vivente:
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio del cielo:
perché eterna è la sua misericordia.
7. Orazione finale
Grazie, o Padre, per avermi rivelato il tuo Figlio e avermi fatto entrare nella sua eredità, nella sua vigna. Tu mi hai reso tralcio, mi hai reso uva: ora non mi resta che rimanere, rimanere in Lui, in te e lasciarmi prendere, quale frutto buono, maturo, per essere posto nel torchio. Sì, Signore, lo so: è questa la via. Io non ho paura, perché tu sei con me. Io so che l’unica via alla felicità è il dono a te, il dono ai fratelli. Che io sia tralcio, io sia uva buona, per essere spremuto, come tu vorrai. Amen.
Fonte:http://ocarm.org/it
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