P. Marko Ivan Rupnik, Commento XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A
Congregatio pro Clericis
Per alcune domeniche avremo di nuovo qualche parabola. E la parabola ha praticamente sempre due
parti. C’è un’azione che suscita una reazione e da questa si capisce a chi la parabola è rivolta.

Oggi Cristo si rivolge ai farisei, i giusti, quelli che si considerano  i salvati perché eseguono ciò che era prescritto, tentazione permanente di ogni religione perché è molto più facile fare da sé che considerare davvero al primo posto l'amore di Dio. Perché è Dio che esce e viene incontro (Mt 20,1.3.5.6; cf Lc 15) e questo sposta la prospettiva dal fare, dal lavoro, dalla fatica nostra all'amore del Padre per noi che suscita in noi una risposta d'amore.

Questo lo capiamo esattamente a partire dalla questione della vigna. In Isaia è certamente Israele, il popolo eletto (cf Is 5; 24,7; 27,2; 36,16) ma in se stessa la vigna rimanda anche a una certa stabilità: chi pianta una vigna deve aspettare per molti anni che cominci a far frutto, perciò difficilmente da lì si sposterà. Questa è la stabilità che il Signore cerca dal suo popolo. E perciò è interessante come pian piano in Israele, attraverso i profeti, la vigna diventa pian piano la sposa, una donna pronta a consegnarsi per amare ed essere amata (cf Ct 7,13). La  vigna non è allora un luogo di fatica quotidiana, è il luogo dell’amore. Questo è ciò che l'uomo non capisce e non sperimenta perché riduce tutto al premio. Ma è in questa prospettiva che comprendiamo la chiamata di Gesù a ore diverse, in tempi diversi per ognuno, passando più volte finché trova la persona pronta a rispondere. Lui chiama per dare senso al tempo di questa gente, perché non stia seduta lì sulla piazza ma anche per entrare in questa logica dell’amore che è totalmente diversa dalla nostra che ci fa vedere le cose con l'occhio sbagliato.

È l'occhio poneros,  l’occhio che chiede, l’occhio seducente, l’occhio che prende, che ruba, l’occhio che guarda le cose fuori dall’amore,  fuori dall’Alleanza, fuori dalla relazione. È lo sguardo che ci rende attaccati alle cose perché le vediamo solo per se stesse e in funzione di noi stessi, non in funzione dell’amore e della relazione; le cose tacciono, non parlano più dell’altro, sono mute. E  si finisce per giudicare Dio e il suo operato che ha l'amore come unica misura.



P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va

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