padre Gian Franco Scarpitta, "Il perdono è la via migliore"
Il perdono è la via migliore
padre Gian Franco Scarpitta
XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/09/2017)
Visualizza Mt 18,21-35
Che in queste pagine si esorti al perdono come rimedio irrinunciabile alle offese e ai torti subiti, balza
subito alla nostra attenzione. La Prima Lettura sottolinea la vanità delle nostre pretese, la sfacciataggine delle nostre presunzioni e la pochezza del nostro orgoglio, associate all'incapacità di perdonare il male altrui e di estinguere l'odio e il rancore. In altre parole, non si può pretendere alcun favore da Dio quando ci si ostina a non osservare i Comandamenti di Dio, e fra questi Comandamenti, non ultimo, vi è il perdono. Dio non concede grazie e benefici a chi non sa perdonare. Gesù ribadisce il concetto spostando la prospettiva in senso “verticale”: il primo ad usare misericordia nei nostri confronti è Dio e lui per primo è capace di perdono e di riconciliazione. Ci sono certamente insegnamenti eloquenti di amore al prossimo anche al di fuori della religione, e non di rado anche sul tema del perdono ai nemici, ma nell'ottica della rivelazione divina, il primo fautore di misericordia in assoluto, che per ciò stesso può essere considerato modello, è Dio stesso che manifesta interesse e attenzione sollecita affinché l'uomo non si perda. Nel suo Figlio immolato sulla croce, Dio ha espiato i nostri peccati e quelli del mondo intero (1Gv 2,2); nella croce ci ha riconciliati con Dio mettendoci in condizioni di meritare la salvezza, questo espiando pagando il nostro prezzo di peccato. Non soltanto insomma Dio in Cristo ci ha perdonati, ma ha pagato egli stesso le pene che avremmo meritato per le nostre colpe, si è addossato egli stesso i nostri peccati, e addirittura “lui che era senza peccato (Cristo) Dio lo trattò da peccato in nostro favore (2Cor 5,21). Dio ha usato egli per primo misericordia nei nostri confronti, ma sarebbe più esatto dire che lui stesso è Misericordia, essendosi egli configurato a noi come il dono irrinunciabile senza il quale sarebbe stato impossibile il nostro riscatto. Come suggerisce lo stesso termine, “perdonare” equivale a “concedere un dono” in vista di una finalità e comporta l'apertura incondizionata all'altro, la disponibilità immediata e la gratuità incondizionata.
Perdonare vuol dire di conseguenza amare con certezza, perché implica l'accogliere e l'accettare senza condizioni, il compatire e vivere l'empatia verso l'altro. Se Dio non ci accettasse, non compatisse i nostri limiti e se non si fosse fatto Dono egli stesso per noi, non avremmo avuto modo di esistere e non potremmo guadagnare la salvezza. Invece in Dio il perdono vince il peccato in nome dell'amore.
Per l'appunto, solo Dio ne è pienamente capace. Egli si comporta nei nostri confronti come un creditore che dovrebbe esigere dalla sua controparte un debito colossale, inestinguibile, che potrebbe rivendicare i suoi diritti con appropriati ricorsi legali, ma che alla fine risolve di condonare siffatto debito. L'ammontare del debito del primo dei due servi nel racconto parabolico potrebbe paragonarsi al debito pubblico di uno Stato: una cifra inverosimile ed esorbitante che nessun uomo sulla terra potrebbe mai pagare, sia pure immensamente benestante. La pena che il debitore insolvente meriterebbe a motivo della sua poderosa pendenza consiste nella schiavitù e nel continuo servizio sottomesso al padrone: per la legge dell'epoca dovrebbe essere “venduto”, lui e la sua famiglia, alla stregua di un comune oggetto o di una proprietà. Con la conseguenza di perdere la propria libertà personale, la dignità, i diritti e condurre il resto della sua vita nella piena sottomissione al padrone creditore. Tale è la condizione di ciascun uomo nei riguardi di Dio: quella di un peccatore la cui colpa è pari a un debito esorbitante e impossibile ad essere estinto. Solo il perdono di Dio, il suo amore e la sua misericordia possono ottenere il condono, con le sue sole forze l'uomo non è in grado di guadagnare la salvezza. E appunto questo ha fatto Dio in Cristo: ci ha accordato la riconciliazione con Dio, mettendoci in condizioni di meritare la salvezza. Non soltanto Dio sulla croce del suo Figlio ha perdonato il nostro errore, ma lo ha espiato per cui solo per i meriti di Cristo possiamo salvarci. Il perdono di Dio è gratuito e si protrae anche oltre il mistero della morte e della resurrezione di Cristo, poiché interessa la nostra vita quotidiana, i nostri ambiti di convivenza sociale, comunitaria e personale. Dio insomma continua a perdonare in ogni situazione in cui ci troviamo, in ogni condizione e senza riserve, al di là dei nostri meriti effettivi.
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La misericordia di Dio però non cade a vuoto e non è priva di conseguenze, ma vuole corrispondenza adeguata, che sia pari alla smisuratezza dell'amore del Signore. “Sette” nella Bibbia indica la perfezione, la completezza; se Gesù invita Pietro a perdonare “settanta volte sette” intende pertanto dire che il perdono dev'essere assolutamente perfetto, non deve avere residuati di rancore, illimitato e continuo. Non possono esserci dilazioni o deroghe o eccezioni quando perdoniamo a qualcuno, ma occorre semplicemente (appunto) donare al fratello. Dio infatti perdona affinché anche noi ci facciamo “dono” al fratello perdonando inderogabilmente le sue cattiverie nei nostri confronti, conformandoci alla sua logica di amore. Nella misura in cui Dio perdona a ciascuno di noi, così è indispensabile che noi perdoniamo a vicenda quanto di male facciamo gli uni agli altri e siccome la misura del perdono di Dio è disarmante e incalcolabile, il nostro perdono ai fratelli dev'essere altrettanto spontaneo e privo di condizioni. Soprattutto se consideriamo che qualsiasi “debito” possano avere gli altri nei nostri confronti, non sarà mai paragonabile al debito (di peccato) che noi stessi abbiamo verso Dio: per quanto grande e tremendo possa essere il male che altri ci hanno usato, esso non uguaglierà mai i torti che abbiamo verso Dio, già in quanto uomini. E il debito contratto non è solo nei confronti di Dio, ma anche nei confronti del sistema in cui viviamo, delle persone e della società: siamo sempre colpevoli perché in qualche modo sempre manchevoli verso gli altri, necessitiamo che altri ci usino perdono e accettazione. Se considerassimo che tutti in ogni caso abbiamo bisogno di essere perdonati, probabilmente avremmo maggiore disposizione all'accoglienza dell'altro, a farci dono, insomma a perdonare. noi stessi e di conseguenza non possiamo far altro che condonare ad altri i loro debiti. Scrive Herbert: “Colui che non riesce a perdonare distrugge il ponte sul quale egli stesso deve passare; perché ogni uomo ha bisogno di essere perdonato.” E appunto la mancata considerazione di dover noi meritare il perdono ci preclude la possibilità di accordarlo agli altri: chi omette di perdonare è manchevole anche verso se stesso.
San Francesco di Paola sottolinea anche il fatto che l'incapacità di perdonare agli altri deriva anche dalla mancata consapevolezza del danno che irrimediabilmente ci arreca il ricordo del torto ricevuto: “E così perdonatevi a vicenda e poi non pensate più al torto ricevuto. Il ricordo infatti dell'offesa ricevuta è complemento di furore e riserva di peccato, odio della giustizia, freccia arrugginita, veleno della mente, distrazione della preghiera, lacerazione delle suppliche rivolte a Dio, alienazione della carità, chiodo fisso dell'anima, iniquità sempre desta, rimorso continuo, morte quotidiana.”
Non è difficile effettivamente rilevare nella nostra esperienza che l'incapacità di perdono, l'odio e il rancore covato sovvertono in un baleno tutti i principi sui quali ci eravamo radicati ed estinguono ogni nobile sentimento e quanto alla fede costituiscono per essa un rischio o una minaccia. Togliendo la serenità e la ragione di sperare. Il perdono è insomma la via migliore
Fonte:http://www.qumran2.net
padre Gian Franco Scarpitta
XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/09/2017)
Visualizza Mt 18,21-35
Che in queste pagine si esorti al perdono come rimedio irrinunciabile alle offese e ai torti subiti, balza
subito alla nostra attenzione. La Prima Lettura sottolinea la vanità delle nostre pretese, la sfacciataggine delle nostre presunzioni e la pochezza del nostro orgoglio, associate all'incapacità di perdonare il male altrui e di estinguere l'odio e il rancore. In altre parole, non si può pretendere alcun favore da Dio quando ci si ostina a non osservare i Comandamenti di Dio, e fra questi Comandamenti, non ultimo, vi è il perdono. Dio non concede grazie e benefici a chi non sa perdonare. Gesù ribadisce il concetto spostando la prospettiva in senso “verticale”: il primo ad usare misericordia nei nostri confronti è Dio e lui per primo è capace di perdono e di riconciliazione. Ci sono certamente insegnamenti eloquenti di amore al prossimo anche al di fuori della religione, e non di rado anche sul tema del perdono ai nemici, ma nell'ottica della rivelazione divina, il primo fautore di misericordia in assoluto, che per ciò stesso può essere considerato modello, è Dio stesso che manifesta interesse e attenzione sollecita affinché l'uomo non si perda. Nel suo Figlio immolato sulla croce, Dio ha espiato i nostri peccati e quelli del mondo intero (1Gv 2,2); nella croce ci ha riconciliati con Dio mettendoci in condizioni di meritare la salvezza, questo espiando pagando il nostro prezzo di peccato. Non soltanto insomma Dio in Cristo ci ha perdonati, ma ha pagato egli stesso le pene che avremmo meritato per le nostre colpe, si è addossato egli stesso i nostri peccati, e addirittura “lui che era senza peccato (Cristo) Dio lo trattò da peccato in nostro favore (2Cor 5,21). Dio ha usato egli per primo misericordia nei nostri confronti, ma sarebbe più esatto dire che lui stesso è Misericordia, essendosi egli configurato a noi come il dono irrinunciabile senza il quale sarebbe stato impossibile il nostro riscatto. Come suggerisce lo stesso termine, “perdonare” equivale a “concedere un dono” in vista di una finalità e comporta l'apertura incondizionata all'altro, la disponibilità immediata e la gratuità incondizionata.
Perdonare vuol dire di conseguenza amare con certezza, perché implica l'accogliere e l'accettare senza condizioni, il compatire e vivere l'empatia verso l'altro. Se Dio non ci accettasse, non compatisse i nostri limiti e se non si fosse fatto Dono egli stesso per noi, non avremmo avuto modo di esistere e non potremmo guadagnare la salvezza. Invece in Dio il perdono vince il peccato in nome dell'amore.
Per l'appunto, solo Dio ne è pienamente capace. Egli si comporta nei nostri confronti come un creditore che dovrebbe esigere dalla sua controparte un debito colossale, inestinguibile, che potrebbe rivendicare i suoi diritti con appropriati ricorsi legali, ma che alla fine risolve di condonare siffatto debito. L'ammontare del debito del primo dei due servi nel racconto parabolico potrebbe paragonarsi al debito pubblico di uno Stato: una cifra inverosimile ed esorbitante che nessun uomo sulla terra potrebbe mai pagare, sia pure immensamente benestante. La pena che il debitore insolvente meriterebbe a motivo della sua poderosa pendenza consiste nella schiavitù e nel continuo servizio sottomesso al padrone: per la legge dell'epoca dovrebbe essere “venduto”, lui e la sua famiglia, alla stregua di un comune oggetto o di una proprietà. Con la conseguenza di perdere la propria libertà personale, la dignità, i diritti e condurre il resto della sua vita nella piena sottomissione al padrone creditore. Tale è la condizione di ciascun uomo nei riguardi di Dio: quella di un peccatore la cui colpa è pari a un debito esorbitante e impossibile ad essere estinto. Solo il perdono di Dio, il suo amore e la sua misericordia possono ottenere il condono, con le sue sole forze l'uomo non è in grado di guadagnare la salvezza. E appunto questo ha fatto Dio in Cristo: ci ha accordato la riconciliazione con Dio, mettendoci in condizioni di meritare la salvezza. Non soltanto Dio sulla croce del suo Figlio ha perdonato il nostro errore, ma lo ha espiato per cui solo per i meriti di Cristo possiamo salvarci. Il perdono di Dio è gratuito e si protrae anche oltre il mistero della morte e della resurrezione di Cristo, poiché interessa la nostra vita quotidiana, i nostri ambiti di convivenza sociale, comunitaria e personale. Dio insomma continua a perdonare in ogni situazione in cui ci troviamo, in ogni condizione e senza riserve, al di là dei nostri meriti effettivi.
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La misericordia di Dio però non cade a vuoto e non è priva di conseguenze, ma vuole corrispondenza adeguata, che sia pari alla smisuratezza dell'amore del Signore. “Sette” nella Bibbia indica la perfezione, la completezza; se Gesù invita Pietro a perdonare “settanta volte sette” intende pertanto dire che il perdono dev'essere assolutamente perfetto, non deve avere residuati di rancore, illimitato e continuo. Non possono esserci dilazioni o deroghe o eccezioni quando perdoniamo a qualcuno, ma occorre semplicemente (appunto) donare al fratello. Dio infatti perdona affinché anche noi ci facciamo “dono” al fratello perdonando inderogabilmente le sue cattiverie nei nostri confronti, conformandoci alla sua logica di amore. Nella misura in cui Dio perdona a ciascuno di noi, così è indispensabile che noi perdoniamo a vicenda quanto di male facciamo gli uni agli altri e siccome la misura del perdono di Dio è disarmante e incalcolabile, il nostro perdono ai fratelli dev'essere altrettanto spontaneo e privo di condizioni. Soprattutto se consideriamo che qualsiasi “debito” possano avere gli altri nei nostri confronti, non sarà mai paragonabile al debito (di peccato) che noi stessi abbiamo verso Dio: per quanto grande e tremendo possa essere il male che altri ci hanno usato, esso non uguaglierà mai i torti che abbiamo verso Dio, già in quanto uomini. E il debito contratto non è solo nei confronti di Dio, ma anche nei confronti del sistema in cui viviamo, delle persone e della società: siamo sempre colpevoli perché in qualche modo sempre manchevoli verso gli altri, necessitiamo che altri ci usino perdono e accettazione. Se considerassimo che tutti in ogni caso abbiamo bisogno di essere perdonati, probabilmente avremmo maggiore disposizione all'accoglienza dell'altro, a farci dono, insomma a perdonare. noi stessi e di conseguenza non possiamo far altro che condonare ad altri i loro debiti. Scrive Herbert: “Colui che non riesce a perdonare distrugge il ponte sul quale egli stesso deve passare; perché ogni uomo ha bisogno di essere perdonato.” E appunto la mancata considerazione di dover noi meritare il perdono ci preclude la possibilità di accordarlo agli altri: chi omette di perdonare è manchevole anche verso se stesso.
San Francesco di Paola sottolinea anche il fatto che l'incapacità di perdonare agli altri deriva anche dalla mancata consapevolezza del danno che irrimediabilmente ci arreca il ricordo del torto ricevuto: “E così perdonatevi a vicenda e poi non pensate più al torto ricevuto. Il ricordo infatti dell'offesa ricevuta è complemento di furore e riserva di peccato, odio della giustizia, freccia arrugginita, veleno della mente, distrazione della preghiera, lacerazione delle suppliche rivolte a Dio, alienazione della carità, chiodo fisso dell'anima, iniquità sempre desta, rimorso continuo, morte quotidiana.”
Non è difficile effettivamente rilevare nella nostra esperienza che l'incapacità di perdono, l'odio e il rancore covato sovvertono in un baleno tutti i principi sui quali ci eravamo radicati ed estinguono ogni nobile sentimento e quanto alla fede costituiscono per essa un rischio o una minaccia. Togliendo la serenità e la ragione di sperare. Il perdono è insomma la via migliore
Fonte:http://www.qumran2.net
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