Padre Paolo Berti, “...i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”
XXVI Domenica del T. O.
Mt 21,28-32
“...i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”
Omelia
La prima lettura afferma che ogni uomo è responsabile delle proprie azioni. Non ci si può giustificare
affermando: “Io ho fatto quel peccato perché me lo ha fatto fare lui, o la società, o il gruppo”.
E' vero che esistono dei condizionamenti, delle pressioni su ciascuno di noi, ma Dio che è giusto giudice sa valutare le nostre precise responsabilità considerando le circostanze, le pressioni che abbiamo ricevuto, ogni cosa. La nostra libertà rimane sempre, benché possa conoscere dei condizionamenti, delle pressioni, d'altra parte non manca l'aiuto di Dio per sostenere vittoriosamente le difficoltà.
Il principio della responsabilità personale dei peccati, messo in evidenza da Ezechiele, non urta affatto con quanto dice il libro del Deuteronomio (5,9-10): “Io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. Queste parole del Deuteronomio si spiegano con il fatto che la religione dei padri era allora la religione dei figli. Se, dunque, un Israelita si allontanava dall'alleanza stabilita da Dio sul Sinai e costruiva un suo culto personale imponendolo poi ai figli ne seguiva che la discendenza non poteva sperare negli interventi di Dio legati all'alleanza, per cui il salmo (37/36,28) dice: “la stirpe degli empi sarà eliminata”. La responsabilità dei figli dell'empio davanti a Dio restava sempre personale, e qui valgono i concetti di ignoranza vincibile (responsabile) e di ignoranza invincibile (non responsabile). La conversione avveniva - ovviamente - nel rigetto delle iniquità dei padri diventate linee di comportamento (Ne 9,1-3; Bar 3,4).
Ecco al tempo di Ezechiele la colpa dei mali la si dava ai padri usando questo proverbio (Ez 18,2): “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati”. Dimenticavano che un pronto ritorno a Dio avrebbe risolto in breve scorrere di tempo i disagi sociali ereditati, poiché ritornare a Dio significa vivere la sua Parola i suoi comandamenti di vita.
La colpa dei disagi ora gli uomini l'attribuiscono alla società, ai governi, i quali hanno certo le loro responsabilità, ma restano le responsabilità di ognuno, poiché ognuno pur nei disagi deve operare il bene.
Con questo è del tutto assurdo ricorrere ai passi che ho citato per sostenere la pratica, che si ritrova qua e là, della “guarigione dell'albero genealogico (materno e paterno)” per risolvere, con preghiere di perdono per i peccati degli antenati, le personali malattie fisiche o psichiche.
Ezechiele dice che chi fa il male si prepara la rovina, mentre chi desiste dal peccato vivrà. E' un appello estremo a Gerusalemme di fronte all'imminente distruzione. Se Gerusalemme ritornerà al Signore sarà salva, altrimenti conoscerà la morte. Ezechiele, tuttavia, non parla solo della morte per mano di spada o della vita per coloro che saranno liberati dalla spada babilonese, ma intende il vivere del giusto e il morire dell'empio anche in senso morale. Infatti, anche per il Vecchio Testamento la vita e la morte riguardano la realtà morale, non, ovviamente, nel senso pieno del Nuovo Testamento dove la vita è data dalla presenza per inabitazione di Dio nell'anima del credente in Cristo. Per il Vecchio Testamento i comandamenti sono “le leggi della vita” (Ez 33,15); “i comandamenti della vita” (Bar 3,9). Vive chi osserva i comandamenti di Dio; muore chi non li osserva. Nel libro dei Proverbi si legge a questo proposito (Pr 3,22): “Il consiglio e la riflessione saranno vita per te”; (Pr 6,23): “Un sentiero di vita sono le correzioni”; (Pr 14,12): “C'è una via (la disobbedienza alla legge) che sbocca in sentieri di morte”. Gesù si rifaceva a questi concetti ben conosciuti in Israele quando diceva (Lc 9,60): “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”; (Mt 23,27): “All'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume”.
I sepolcri imbiancati sono i capi dei sacerdoti e gli anziani di cui parla il Vangelo di oggi. Essi, al contrario di pubblicani e prostitute, rimasero ermeticamente chiusi al messaggio di Giovanni e poi di Cristo. Esternamente dicevano di sì a Dio, nelle liturgie del tempio e nelle lunghe preghiere nelle piazze, ma internamente gli dicevano di no. Formalmente precisi, ma interiormente bui, morti, trasmettevano morte. Falsi costruttori, rifiutarono la pietra angolare (Mt 21,42), e continuarono a costruire un collettivo nazionale formale a cui si accompagnava l'individualismo di tante sette religiose con forti inclinazioni politiche. Il collettivo e l'individuale urtavano tra di loro senza comprendersi, uniti tuttavia nell'odio verso il dominatore romano.
Cristo era, ed è, la pietra angolare di un popolo rinnovato dalla grazia. Lui l'autore della vera unità.
Chiaro che la vita data dalla grazia della inabitazione di Dio nel cuore del credente, è data solo in Cristo, che rimuove nel Battesimo l'impedimento del peccato originale.
Vediamo bene come oggi la voce della Chiesa sia ascoltata troppo sovente solo come fatto culturale; e allora quale strada di composizione delle varie formazioni sociali nel rispetto delle individualità delle persone e dei gruppi gli uomini stanno percorrendo oggi nell'Occidente? Non le strade del nazionalsocialismo, non quelle del comunismo, ma la strada dello Stato democratico contenitore; contenitore delle diversità, delle individualità. Contenitore, ho detto, dentro il quale esistono le individualità, ma poiché queste individualità sono sempre più individualità divise reggerà il contenitore? Mettiamo pure un contenitore capace di elasticità ammortizzante, ma l'elasticità ammortizzante durerà? Alla fine non si avranno collassi strutturali del contenitore? E cosa faranno gli uomini a quel punto, visto che scartano “la pietra angolare”, che è Cristo?
Cercheranno un leader di unità, che, come sempre è stato, userà come cemento di unione l'odio verso qualcuno, e in quel qualcuno ci sarà anche la Chiesa, anzi sarà in testa alla lista.
Paolo ci presenta il vero leader di cui abbiamo bisogno, Gesù Cristo; esso non ha nulla di imperioso, nulla di egoistico, nulla di vile, nulla di violento. Non si è innalzato Gesù su nessuno, è invece sceso, come dice Paolo (Fil 2,7): “Svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso...". Poi (Fil 2,9):"Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome...". Umile ci appare Gesù nei fragili segni eucaristici. L'immensa gloria che il Padre gli ha dato non lo rende distante da noi; non lo ha innalzato imperioso su di noi. E' sugli altari, nei tabernacoli, per servire noi nutrendoci di sé.
Ci è sempre possibile ritornare a Dio per mezzo di Gesù. Sempre possibile vivere l'unità soprannaturale che abbiamo in Cristo nell'appartenenza alla Chiesa. E' l'unità del regno dei cieli: “rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi (...). Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri (...). Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Queste parole ci indicano il modo per essere unità. Ci dicono che siamo chiamati alla responsabilità personale nella costruzione di un presente e di un futuro migliore di quello in cui viviamo. Amen. Ave Maria. Vieni Signore Gesù.
Mt 21,28-32
“...i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”
Omelia
La prima lettura afferma che ogni uomo è responsabile delle proprie azioni. Non ci si può giustificare
affermando: “Io ho fatto quel peccato perché me lo ha fatto fare lui, o la società, o il gruppo”.
E' vero che esistono dei condizionamenti, delle pressioni su ciascuno di noi, ma Dio che è giusto giudice sa valutare le nostre precise responsabilità considerando le circostanze, le pressioni che abbiamo ricevuto, ogni cosa. La nostra libertà rimane sempre, benché possa conoscere dei condizionamenti, delle pressioni, d'altra parte non manca l'aiuto di Dio per sostenere vittoriosamente le difficoltà.
Il principio della responsabilità personale dei peccati, messo in evidenza da Ezechiele, non urta affatto con quanto dice il libro del Deuteronomio (5,9-10): “Io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. Queste parole del Deuteronomio si spiegano con il fatto che la religione dei padri era allora la religione dei figli. Se, dunque, un Israelita si allontanava dall'alleanza stabilita da Dio sul Sinai e costruiva un suo culto personale imponendolo poi ai figli ne seguiva che la discendenza non poteva sperare negli interventi di Dio legati all'alleanza, per cui il salmo (37/36,28) dice: “la stirpe degli empi sarà eliminata”. La responsabilità dei figli dell'empio davanti a Dio restava sempre personale, e qui valgono i concetti di ignoranza vincibile (responsabile) e di ignoranza invincibile (non responsabile). La conversione avveniva - ovviamente - nel rigetto delle iniquità dei padri diventate linee di comportamento (Ne 9,1-3; Bar 3,4).
Ecco al tempo di Ezechiele la colpa dei mali la si dava ai padri usando questo proverbio (Ez 18,2): “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati”. Dimenticavano che un pronto ritorno a Dio avrebbe risolto in breve scorrere di tempo i disagi sociali ereditati, poiché ritornare a Dio significa vivere la sua Parola i suoi comandamenti di vita.
La colpa dei disagi ora gli uomini l'attribuiscono alla società, ai governi, i quali hanno certo le loro responsabilità, ma restano le responsabilità di ognuno, poiché ognuno pur nei disagi deve operare il bene.
Con questo è del tutto assurdo ricorrere ai passi che ho citato per sostenere la pratica, che si ritrova qua e là, della “guarigione dell'albero genealogico (materno e paterno)” per risolvere, con preghiere di perdono per i peccati degli antenati, le personali malattie fisiche o psichiche.
Ezechiele dice che chi fa il male si prepara la rovina, mentre chi desiste dal peccato vivrà. E' un appello estremo a Gerusalemme di fronte all'imminente distruzione. Se Gerusalemme ritornerà al Signore sarà salva, altrimenti conoscerà la morte. Ezechiele, tuttavia, non parla solo della morte per mano di spada o della vita per coloro che saranno liberati dalla spada babilonese, ma intende il vivere del giusto e il morire dell'empio anche in senso morale. Infatti, anche per il Vecchio Testamento la vita e la morte riguardano la realtà morale, non, ovviamente, nel senso pieno del Nuovo Testamento dove la vita è data dalla presenza per inabitazione di Dio nell'anima del credente in Cristo. Per il Vecchio Testamento i comandamenti sono “le leggi della vita” (Ez 33,15); “i comandamenti della vita” (Bar 3,9). Vive chi osserva i comandamenti di Dio; muore chi non li osserva. Nel libro dei Proverbi si legge a questo proposito (Pr 3,22): “Il consiglio e la riflessione saranno vita per te”; (Pr 6,23): “Un sentiero di vita sono le correzioni”; (Pr 14,12): “C'è una via (la disobbedienza alla legge) che sbocca in sentieri di morte”. Gesù si rifaceva a questi concetti ben conosciuti in Israele quando diceva (Lc 9,60): “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”; (Mt 23,27): “All'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume”.
I sepolcri imbiancati sono i capi dei sacerdoti e gli anziani di cui parla il Vangelo di oggi. Essi, al contrario di pubblicani e prostitute, rimasero ermeticamente chiusi al messaggio di Giovanni e poi di Cristo. Esternamente dicevano di sì a Dio, nelle liturgie del tempio e nelle lunghe preghiere nelle piazze, ma internamente gli dicevano di no. Formalmente precisi, ma interiormente bui, morti, trasmettevano morte. Falsi costruttori, rifiutarono la pietra angolare (Mt 21,42), e continuarono a costruire un collettivo nazionale formale a cui si accompagnava l'individualismo di tante sette religiose con forti inclinazioni politiche. Il collettivo e l'individuale urtavano tra di loro senza comprendersi, uniti tuttavia nell'odio verso il dominatore romano.
Cristo era, ed è, la pietra angolare di un popolo rinnovato dalla grazia. Lui l'autore della vera unità.
Chiaro che la vita data dalla grazia della inabitazione di Dio nel cuore del credente, è data solo in Cristo, che rimuove nel Battesimo l'impedimento del peccato originale.
Vediamo bene come oggi la voce della Chiesa sia ascoltata troppo sovente solo come fatto culturale; e allora quale strada di composizione delle varie formazioni sociali nel rispetto delle individualità delle persone e dei gruppi gli uomini stanno percorrendo oggi nell'Occidente? Non le strade del nazionalsocialismo, non quelle del comunismo, ma la strada dello Stato democratico contenitore; contenitore delle diversità, delle individualità. Contenitore, ho detto, dentro il quale esistono le individualità, ma poiché queste individualità sono sempre più individualità divise reggerà il contenitore? Mettiamo pure un contenitore capace di elasticità ammortizzante, ma l'elasticità ammortizzante durerà? Alla fine non si avranno collassi strutturali del contenitore? E cosa faranno gli uomini a quel punto, visto che scartano “la pietra angolare”, che è Cristo?
Cercheranno un leader di unità, che, come sempre è stato, userà come cemento di unione l'odio verso qualcuno, e in quel qualcuno ci sarà anche la Chiesa, anzi sarà in testa alla lista.
Paolo ci presenta il vero leader di cui abbiamo bisogno, Gesù Cristo; esso non ha nulla di imperioso, nulla di egoistico, nulla di vile, nulla di violento. Non si è innalzato Gesù su nessuno, è invece sceso, come dice Paolo (Fil 2,7): “Svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso...". Poi (Fil 2,9):"Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome...". Umile ci appare Gesù nei fragili segni eucaristici. L'immensa gloria che il Padre gli ha dato non lo rende distante da noi; non lo ha innalzato imperioso su di noi. E' sugli altari, nei tabernacoli, per servire noi nutrendoci di sé.
Ci è sempre possibile ritornare a Dio per mezzo di Gesù. Sempre possibile vivere l'unità soprannaturale che abbiamo in Cristo nell'appartenenza alla Chiesa. E' l'unità del regno dei cieli: “rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi (...). Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri (...). Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Queste parole ci indicano il modo per essere unità. Ci dicono che siamo chiamati alla responsabilità personale nella costruzione di un presente e di un futuro migliore di quello in cui viviamo. Amen. Ave Maria. Vieni Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it
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