Padre Paolo Berti, “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, và e ammoniscilo fra te e lui solo...”
XXIII Domenica del T. O.
Mt 18,15-20
“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, và e ammoniscilo fra te e lui solo...”
Omelia
L'immagine della sentinella definisce perfettamente il ruolo di Ezechiele presso Israele. Una
sentinella veglia e avverte del pericolo in modo che ci si possa difendere. Ezechiele vede il pericolo per mezzo della comunicazione di Dio, e lo annuncia. Il pericolo che Ezechiele deve annunciare è pericolo di morte. Non si tratta solo dell'incombente presa di Gerusalemme per mano dell'esercito di Nabucodonosor, ma anche di quella che deriva dalla riprovazione eterna di Dio. In Israele ci si illudeva; molti pensavano che i loro peccati non avrebbero determinato alcuna conseguenza, che Dio non li vedesse neppure, non ne tenesse conto; si illudevano di avere, per mezzo dei riti del tempio formalisticamente compiuti, il favore di Dio. Erano giunti a giustificare i loro peccati. Ezechiele deve svegliarli, deve scuoterli, deve annunciare la gravità delle loro colpe, il giudizio di Dio incombente su di loro. Lo deve fare come un dovere al quale non può sottrarsi, pena l'essere corresponsabile della morte dell'empio.
Il testo del Vangelo ci pone dinanzi la medesima necessità di avvisare il peccatore della rovina verso la quale sta correndo. Non si tratta di colpe leggere, ma di colpe gravi, dissolutezze, comportamenti scismatici, eresie, che se non risolte necessitano di un giudizio della comunità. Gesù non parla di un malvagio, ma di un fratello che commette una colpa grave, cioè di un credente che abbandona la Parola interpretandola a modo proprio, aprendosi un illusorio spazio per giustificare il suo peccato. Chiunque vede che il fratello cammina verso la rovina deve immediatamente intervenire nella carità, ammonendo il fratello a tu per tu, in privato, senza testimoni; questo per salvaguardare la fama del fratello di fronte alla comunità. Se la cosa non si risolve è necessario che l'incontro si ripeta davanti a testimoni, in modo da creare la base per giungere eventualmente all'assemblea, cioè agli apostoli e ai loro successori. Se la cosa non si risolve neppure di fronte a dei testimoni e quel fratello non ascolta neppure l'assemblea, allora quel fratello finisce nella scomunica: “Sia per te come il pagano e il pubblicano”, cioè uno verso il quale bisogna tenersi a distanza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n° 1445) dice precisamente questo: “Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio”.
Chi si separa dalla comunione con la Chiesa si separa da Dio e, per viceversa, chi rafforza la comunione con i fratelli arriva all'intimità con Dio: “Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Essere in comunione con i fratelli in Cristo significa avere una preghiera gradita al Padre.
Come si vede, è necessario intervenire per tempo verso il fratello che pecca, poiché la colpa commessa e pervicacemente ripetuta porta grado dopo grado a guastare tutto un animo, fino a tradursi in posizione di chiusura totale a Dio, e alle voci di Dio, che è precisamente quello che Gesù chiama peccato contro lo Spirito Santo (Mt 12,3; Mc 3,28; Lc 10,10).
Quando noi vediamo un fratello che pecca, dobbiamo dunque avvicinarlo con amore, con sollecitudine, con grande passione perché si liberi dal peccato, evitando la durezza poiché non si indurisca ancora di più, ma poi alla fine bisognerà essere energici nella condanna aperta per evitare che il suo esempio si infiltri nella comunità.
Occorre grande discernimento sempre per evitare di considerare come rottura pienamente voluta con la Chiesa i tanti e tanti casi di misconoscimento della Chiesa. Gran parte dei rifiuti provengono da persone che non hanno mai incontrato veri cristiani. Sono spesso persone che provengono da situazioni familiari in sfacelo; persone vittime di quel volume impressionante di menzogne che il mondo lancia contro la Chiesa e la Verità. Io ho visto tante volte che prese di posizione contro la Chiesa erano in realtà un test per vedere la mia fede, la mia convinzione di Cristo e della Chiesa.
Quello che dobbiamo fare è evangelizzare i tanti e tanti che non sono stati in realtà evangelizzati. Evangelizzare significa annunciare Cristo, ma non in maniera avulsa dalla simpatia di un incontro. Il cristiano deve innanzitutto generare simpatia, e voglio dire che un vero cristiano genera simpatia, come leggiamo negli Atti (2,47), dove viene rilevato che la comunità cristiana di Gerusalemme "godeva del favore di tutto il popolo”. Chiaro non parlo della simpatia generata dall'istrione, che è falsa, ma della simpatia che procede dalla vera carità; quella che si nutre di sacrificio.
Non si tratta di imparare tecniche di comunicazione, quelle del commercio e del trattenimento dello spettacolo, ma la comunicazione che nasce dal nostro essere in Cristo nella carità e nell'umiltà, nello sguardo costante ai fratelli. In particolare comunicare Cristo non vuol dire parlare subito di peccati, ma dell'amore di Dio. Dopo si parlerà, certo, dei peccati, ma alla luce della legge d'amore.
San Paolo ci dice di non aver alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole. Qui non si tratta di debito economico, ma di debito morale. Chi ha commesso del male ad un fratello gli è debitore di una riparazione, e notiamo, fratelli e sorelle, che chi non fa un atto di riparazione, anche molto semplice, un atto di chiarificazione ferisce se stesso, perché nel suo animo rimane un'ingiustizia. Questo comportamento di aiuto reciproco nel chiarire le situazioni è necessario. Non possiamo, infatti, pensare di vivere in comunità ideali, dove mai nessuno sia debitore di chiarificazioni, di riparazioni; noi stessi siamo stati debitori più volte di riparazione verso i nostri fratelli. Non meravigliamoci dunque, non scandalizziamoci del peccato dei fratelli, ma cerchiamo di liberare il fratello dalle nebbie, dal buio, per mezzo della carità.
E non passiamo immediatamente alla “correzione fraterna”, diamo tempo al fratello di rivedersi da sé; ma, se dopo il ripetersi del comportamento errato per due o tre volte, dobbiamo concludere che il fratello abbia bisogno di essere aiutato, dobbiamo andare da lui con la luce e il calore della carità, e non con l'acido del rimprovero privo di carità. Ma, Paolo precisamente dice che c'è un debito che procede dall'amore ricevuto. Chi dona amore a un fratello, quel fratello gli è debitore di amore. Chi ama si aspetta amore, pur se è pronto ad amare anche quando incontra l'ingratitudine e la durezza del cuore, così come ha fatto Gesù.
La legge di Dio, dice san Paolo, è legge d'amore, cioè legge di libertà (Gc 2,12) da quanto deturpa l'uomo, cioè l'egoismo, l'odio. Correggere il fratello vuol dire liberarlo, non renderlo schiavo di un giudizio che non passa. La parabola del padre misericordioso ci insegna molto bene come dobbiamo accogliere il fratello che si pente del male che ci fatto. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/
Mt 18,15-20
“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, và e ammoniscilo fra te e lui solo...”
Omelia
L'immagine della sentinella definisce perfettamente il ruolo di Ezechiele presso Israele. Una
sentinella veglia e avverte del pericolo in modo che ci si possa difendere. Ezechiele vede il pericolo per mezzo della comunicazione di Dio, e lo annuncia. Il pericolo che Ezechiele deve annunciare è pericolo di morte. Non si tratta solo dell'incombente presa di Gerusalemme per mano dell'esercito di Nabucodonosor, ma anche di quella che deriva dalla riprovazione eterna di Dio. In Israele ci si illudeva; molti pensavano che i loro peccati non avrebbero determinato alcuna conseguenza, che Dio non li vedesse neppure, non ne tenesse conto; si illudevano di avere, per mezzo dei riti del tempio formalisticamente compiuti, il favore di Dio. Erano giunti a giustificare i loro peccati. Ezechiele deve svegliarli, deve scuoterli, deve annunciare la gravità delle loro colpe, il giudizio di Dio incombente su di loro. Lo deve fare come un dovere al quale non può sottrarsi, pena l'essere corresponsabile della morte dell'empio.
Il testo del Vangelo ci pone dinanzi la medesima necessità di avvisare il peccatore della rovina verso la quale sta correndo. Non si tratta di colpe leggere, ma di colpe gravi, dissolutezze, comportamenti scismatici, eresie, che se non risolte necessitano di un giudizio della comunità. Gesù non parla di un malvagio, ma di un fratello che commette una colpa grave, cioè di un credente che abbandona la Parola interpretandola a modo proprio, aprendosi un illusorio spazio per giustificare il suo peccato. Chiunque vede che il fratello cammina verso la rovina deve immediatamente intervenire nella carità, ammonendo il fratello a tu per tu, in privato, senza testimoni; questo per salvaguardare la fama del fratello di fronte alla comunità. Se la cosa non si risolve è necessario che l'incontro si ripeta davanti a testimoni, in modo da creare la base per giungere eventualmente all'assemblea, cioè agli apostoli e ai loro successori. Se la cosa non si risolve neppure di fronte a dei testimoni e quel fratello non ascolta neppure l'assemblea, allora quel fratello finisce nella scomunica: “Sia per te come il pagano e il pubblicano”, cioè uno verso il quale bisogna tenersi a distanza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n° 1445) dice precisamente questo: “Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio”.
Chi si separa dalla comunione con la Chiesa si separa da Dio e, per viceversa, chi rafforza la comunione con i fratelli arriva all'intimità con Dio: “Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Essere in comunione con i fratelli in Cristo significa avere una preghiera gradita al Padre.
Come si vede, è necessario intervenire per tempo verso il fratello che pecca, poiché la colpa commessa e pervicacemente ripetuta porta grado dopo grado a guastare tutto un animo, fino a tradursi in posizione di chiusura totale a Dio, e alle voci di Dio, che è precisamente quello che Gesù chiama peccato contro lo Spirito Santo (Mt 12,3; Mc 3,28; Lc 10,10).
Quando noi vediamo un fratello che pecca, dobbiamo dunque avvicinarlo con amore, con sollecitudine, con grande passione perché si liberi dal peccato, evitando la durezza poiché non si indurisca ancora di più, ma poi alla fine bisognerà essere energici nella condanna aperta per evitare che il suo esempio si infiltri nella comunità.
Occorre grande discernimento sempre per evitare di considerare come rottura pienamente voluta con la Chiesa i tanti e tanti casi di misconoscimento della Chiesa. Gran parte dei rifiuti provengono da persone che non hanno mai incontrato veri cristiani. Sono spesso persone che provengono da situazioni familiari in sfacelo; persone vittime di quel volume impressionante di menzogne che il mondo lancia contro la Chiesa e la Verità. Io ho visto tante volte che prese di posizione contro la Chiesa erano in realtà un test per vedere la mia fede, la mia convinzione di Cristo e della Chiesa.
Quello che dobbiamo fare è evangelizzare i tanti e tanti che non sono stati in realtà evangelizzati. Evangelizzare significa annunciare Cristo, ma non in maniera avulsa dalla simpatia di un incontro. Il cristiano deve innanzitutto generare simpatia, e voglio dire che un vero cristiano genera simpatia, come leggiamo negli Atti (2,47), dove viene rilevato che la comunità cristiana di Gerusalemme "godeva del favore di tutto il popolo”. Chiaro non parlo della simpatia generata dall'istrione, che è falsa, ma della simpatia che procede dalla vera carità; quella che si nutre di sacrificio.
Non si tratta di imparare tecniche di comunicazione, quelle del commercio e del trattenimento dello spettacolo, ma la comunicazione che nasce dal nostro essere in Cristo nella carità e nell'umiltà, nello sguardo costante ai fratelli. In particolare comunicare Cristo non vuol dire parlare subito di peccati, ma dell'amore di Dio. Dopo si parlerà, certo, dei peccati, ma alla luce della legge d'amore.
San Paolo ci dice di non aver alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole. Qui non si tratta di debito economico, ma di debito morale. Chi ha commesso del male ad un fratello gli è debitore di una riparazione, e notiamo, fratelli e sorelle, che chi non fa un atto di riparazione, anche molto semplice, un atto di chiarificazione ferisce se stesso, perché nel suo animo rimane un'ingiustizia. Questo comportamento di aiuto reciproco nel chiarire le situazioni è necessario. Non possiamo, infatti, pensare di vivere in comunità ideali, dove mai nessuno sia debitore di chiarificazioni, di riparazioni; noi stessi siamo stati debitori più volte di riparazione verso i nostri fratelli. Non meravigliamoci dunque, non scandalizziamoci del peccato dei fratelli, ma cerchiamo di liberare il fratello dalle nebbie, dal buio, per mezzo della carità.
E non passiamo immediatamente alla “correzione fraterna”, diamo tempo al fratello di rivedersi da sé; ma, se dopo il ripetersi del comportamento errato per due o tre volte, dobbiamo concludere che il fratello abbia bisogno di essere aiutato, dobbiamo andare da lui con la luce e il calore della carità, e non con l'acido del rimprovero privo di carità. Ma, Paolo precisamente dice che c'è un debito che procede dall'amore ricevuto. Chi dona amore a un fratello, quel fratello gli è debitore di amore. Chi ama si aspetta amore, pur se è pronto ad amare anche quando incontra l'ingratitudine e la durezza del cuore, così come ha fatto Gesù.
La legge di Dio, dice san Paolo, è legge d'amore, cioè legge di libertà (Gc 2,12) da quanto deturpa l'uomo, cioè l'egoismo, l'odio. Correggere il fratello vuol dire liberarlo, non renderlo schiavo di un giudizio che non passa. La parabola del padre misericordioso ci insegna molto bene come dobbiamo accogliere il fratello che si pente del male che ci fatto. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/
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