mons. Roberto Brunelli"Israele rimane nel cuore di Dio"

Israele rimane nel cuore di Dio
mons. Roberto Brunelli
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/10/2017)
  Visualizza Mt 21,33-43
La parabola che costituisce il vangelo di oggi (Matteo 21,13-43) fa eco alla prima lettura, in cui il
profeta Isaia paragona il popolo d'Israele a una vigna. Gesù fa altrettanto, e con l'occasione preannuncia la propria morte, indicandone i responsabili.
Ecco il racconto. Un uomo possedeva un terreno, dove piantò una vigna, prendendosene assidue cure prima di darla in affitto. Al tempo dei frutti mandò i suoi incaricati a ritirarli, ma gli affittuari si rifiutarono di consegnare il raccolto; anzi, presero gli incaricati del padrone e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono, e altrettanto fecero con i successivi incaricati; quando poi il padrone mandò il suo stesso figlio, ritenendo che almeno di lui avrebbero avuto rispetto, essi riconobbero in lui l'erede e lo misero a morte, per assicurarsi così definitivamente la proprietà della vigna. Ma il padrone non poteva tollerare un tale comportamento: intervenne di persona, punì i colpevoli e affidò la vigna ad altri.
Con questa parabola Gesù ha celato dietro un velo trasparentissimo una sintesi delle vicende di Israele nei suoi rapporti con Dio. E' lui il padrone che, dopo aver piantato (con Abramo) la vigna del suo popolo, l'ha vista sfruttata a proprio vantaggio da coloro cui l'aveva affidata: i capi del popolo, passati e presenti; di questi ultimi addirittura prevede che uccideranno l'ingombrante Figlio del padrone. Gesù dichiarò così di sapere bene che cosa l'aspettava; nel contempo annunciò che la vigna, il popolo di Dio, sarebbe passata ad altri: il nuovo popolo di Dio, costituito da coloro che avrebbero accolto il Figlio; insomma, i cristiani.
Egli stava parlando appunto "ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo", e continuando il discorso in modo più esplicito richiamò loro una frase della Scrittura: "La pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra d'angolo", cioè il fondamento di un'altra costruzione, e concluse: "Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti".
Per evitare i fraintendimenti che nei secoli successivi purtroppo si sono verificati, occorre badare bene: queste parole non significano un rifiuto collettivo del popolo ebraico, ma soltanto dei suoi capi di allora i quali, in particolare con la condanna a morte di Gesù, hanno tradito la loro missione. Il popolo d'Israele rimane nel cuore di Dio, il quale non ritira mai i suoi doni; tuttora, come ricorda San Paolo (Lettera ai Romani 9,4-5), gli Israeliti "possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo...". Dal canto suo il Concilio Vaticano II (nel documento "Nostra aetate", capitolo 4) ha ribadito che "se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo".
Resta tuttavia il fatto che con Gesù nasce un nuovo popolo di Dio, la Chiesa, e questo popolo il cui fondamento è lui, la pietra scartata dai responsabili dell'antico Israele, è chiamato a dare frutto. Duemila anni di cristianesimo di frutti ne hanno dati tanti; ma non bastano mai: ogni capo della Chiesa e ogni singolo fedele deve interrogarsi di continuo, per verificare se sta dando i frutti che Dio si aspetta, considerando da un lato le tante opportunità di bene che ogni giorno si presentano, e dall'altro i tanti aiuti da lui messi a nostra disposizione per riuscire nell'impresa.
I santi sono uomini e donne come gli altri, segnalati all'attenzione comune proprio perché, ciascuno a suo modo, hanno saputo dare frutti; sono la dimostrazione che il bene è possibile; sono modelli da cui trarre esempio per la vita quotidiana di chi si dice seguace di Gesù.

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