P. Marko Ivan Rupnik, "Vestiti di novità di vita"
XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno - A
Mt 22,1-14
Siamo ancora nelle parabole che Cristo rivolge innanzitutto ai capi dei Sacerdoti e ai Farisei ovvero a
quelli che gestivano le istituzioni religiose e pensavano di essere assolutamente aderenti, compiendo ciò che la religione prescriveva. Praticamente i perfetti.
Siamo nel contesto di un banchetto, però è interessante che il termine di paragone non è il banchetto; cioè: il Regno dei cieli non è simile ad un banchetto, ma è simile al Re che lo organizza per le nozze di suo Figlio.
Ed è una piccola sfumatura che va mantenuta per non pensare che il Regno sarà un banchetto, considerando che questa immagine nell’Antico Testamento era sempre presente con riferimento all’Eden perduto, da riconquistare possibilmente in base ai meriti guadagnati nella vita. Ma il banchetto nella Bibbia ha il carattere della gratuità assoluta. Basta essere invitati e ti verrà dato tutto, persino il vestito, consegnato all’ingresso.
È proprio questa gratuità che ci permette di intuire una dimensione che alcuni Padri antichi hanno sottolineato, che il problema è che con il peccato nasce una cultura contraria al banchetto.
Perché l’uomo nasce e non si trova in un banchetto di doni, di gratuità, ma di possessione. Mentre tutto il creato è questo banchetto gratuito che ci chiama semplicemente ad accogliere i doni e fare i sacrifici di lode, cioè la liturgia di rendimento di grazie, la mentalità del peccato ha creato il mondo come possessione. Tanto che l’invito al banchetto arriva a dare fastidio a quelli che hanno altre cose da fare, altri momenti per fare le feste al punto che questa interruzione fuori dal consueto, fuori dal loro ritmo di lavoro e di mentalità provoca il desiderio di uccidere.
Perché la mentalità del dono è difficile da comprendere? Se si possiede, se si lavora, allora è il premio, è la paga, è il dovuto, è il merito. Ed è questo che diventa problematico, perché l’Alleanza è diventata la Legge e la Legge distribuisce i meriti e dichiara i perfetti quelli che compiono prescritto. Però manca una cosa: la gioia! Infatti non si vedono mai i farisei festeggiare.
La gioia è solo dove c’è la gratuità, dove c’è un’abbondanza del dono come dono gratuito dell’amore libero. Questo è innanzitutto il banchetto, non il mangiare quanto l’essere in festa, i volti e gli sguardi che si ritrovano da uguali, tutti con lo stesso vestito, per non fare nessuna differenza. Non c’è nessuno che sia lì per qualsiasi minimo merito. Allora la festa è perché si scopre l’altro diverso da come lo si conosceva. Perché lo si scopre anche quello gioioso del dono e non orgoglioso del merito, ma rivestito di Figlio.
Sembra che l’accoglienza sia, secondo questa parabola, la cosa più difficile che noi peccatori possiamo accettare. Perché si vede che il peccato in noi crea questa mentalità tipica della religione di riscattarci, di dimostrare al Re che noi siamo i sudditi buoni. Il banchetto invece cambia la società, cambia la religione, cambia una legge, un moralismo che diventa la Chiesa.
E perciò quello che non entra con il vestito è uno che rimane testardo, secondo la sua volontà e le sue idee. Uno che si trova nella sala giusta, ma con il cuore sbagliato.
Abbiamo, soprattutto il San Paolo tanti riferimenti al vestito (Rom 13,14; Gal 3,27; Ef 4,24; Col 3, 10-12) che rimandano al cuore della questione di questa parabola: non viene menzionata la Sposa, come in nessuna parabola delle nozze. Chi è la sposa? Certo innanzitutto Israele, ma la vera sposa è l’umanità. Non si parla infatti del vestito di festa ma del vestito nuziale. È il Padre che sta unendo il suo Figlio, vero Dio, alla vera umanità. Sono le nozze della divina umanità, dove Dio e l’uomo si uniscono in un amore libero e perciò non può starci quello che non è libero. Dio chiede solo l’accoglienza libera. Di essere la sposa che assomiglia allo Sposo. Vestiti di novità di vita. Ecco la Chiesa Sposa.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
Mt 22,1-14
Siamo ancora nelle parabole che Cristo rivolge innanzitutto ai capi dei Sacerdoti e ai Farisei ovvero a
quelli che gestivano le istituzioni religiose e pensavano di essere assolutamente aderenti, compiendo ciò che la religione prescriveva. Praticamente i perfetti.
Siamo nel contesto di un banchetto, però è interessante che il termine di paragone non è il banchetto; cioè: il Regno dei cieli non è simile ad un banchetto, ma è simile al Re che lo organizza per le nozze di suo Figlio.
Ed è una piccola sfumatura che va mantenuta per non pensare che il Regno sarà un banchetto, considerando che questa immagine nell’Antico Testamento era sempre presente con riferimento all’Eden perduto, da riconquistare possibilmente in base ai meriti guadagnati nella vita. Ma il banchetto nella Bibbia ha il carattere della gratuità assoluta. Basta essere invitati e ti verrà dato tutto, persino il vestito, consegnato all’ingresso.
È proprio questa gratuità che ci permette di intuire una dimensione che alcuni Padri antichi hanno sottolineato, che il problema è che con il peccato nasce una cultura contraria al banchetto.
Perché l’uomo nasce e non si trova in un banchetto di doni, di gratuità, ma di possessione. Mentre tutto il creato è questo banchetto gratuito che ci chiama semplicemente ad accogliere i doni e fare i sacrifici di lode, cioè la liturgia di rendimento di grazie, la mentalità del peccato ha creato il mondo come possessione. Tanto che l’invito al banchetto arriva a dare fastidio a quelli che hanno altre cose da fare, altri momenti per fare le feste al punto che questa interruzione fuori dal consueto, fuori dal loro ritmo di lavoro e di mentalità provoca il desiderio di uccidere.
Perché la mentalità del dono è difficile da comprendere? Se si possiede, se si lavora, allora è il premio, è la paga, è il dovuto, è il merito. Ed è questo che diventa problematico, perché l’Alleanza è diventata la Legge e la Legge distribuisce i meriti e dichiara i perfetti quelli che compiono prescritto. Però manca una cosa: la gioia! Infatti non si vedono mai i farisei festeggiare.
La gioia è solo dove c’è la gratuità, dove c’è un’abbondanza del dono come dono gratuito dell’amore libero. Questo è innanzitutto il banchetto, non il mangiare quanto l’essere in festa, i volti e gli sguardi che si ritrovano da uguali, tutti con lo stesso vestito, per non fare nessuna differenza. Non c’è nessuno che sia lì per qualsiasi minimo merito. Allora la festa è perché si scopre l’altro diverso da come lo si conosceva. Perché lo si scopre anche quello gioioso del dono e non orgoglioso del merito, ma rivestito di Figlio.
Sembra che l’accoglienza sia, secondo questa parabola, la cosa più difficile che noi peccatori possiamo accettare. Perché si vede che il peccato in noi crea questa mentalità tipica della religione di riscattarci, di dimostrare al Re che noi siamo i sudditi buoni. Il banchetto invece cambia la società, cambia la religione, cambia una legge, un moralismo che diventa la Chiesa.
E perciò quello che non entra con il vestito è uno che rimane testardo, secondo la sua volontà e le sue idee. Uno che si trova nella sala giusta, ma con il cuore sbagliato.
Abbiamo, soprattutto il San Paolo tanti riferimenti al vestito (Rom 13,14; Gal 3,27; Ef 4,24; Col 3, 10-12) che rimandano al cuore della questione di questa parabola: non viene menzionata la Sposa, come in nessuna parabola delle nozze. Chi è la sposa? Certo innanzitutto Israele, ma la vera sposa è l’umanità. Non si parla infatti del vestito di festa ma del vestito nuziale. È il Padre che sta unendo il suo Figlio, vero Dio, alla vera umanità. Sono le nozze della divina umanità, dove Dio e l’uomo si uniscono in un amore libero e perciò non può starci quello che non è libero. Dio chiede solo l’accoglienza libera. Di essere la sposa che assomiglia allo Sposo. Vestiti di novità di vita. Ecco la Chiesa Sposa.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
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