padre Gian Franco Scarpitta, "Corrispondere in tutto alla gioia
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Corrispondere in tutto alla gioia
padre Gian Franco Scarpitta
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/10/2017)
Vangelo: Mt 22,1-14
Da oltre dieci anni mi ritrovo (spero degnamente e con necessaria umiltà) a ricoprire il ruolo di
Superiore e Rettore di chiesa in differenti realtà del mio Ordine e fra le varie responsabilità a cui mi trovo a far fronte capitano talora delle circostanze in cui devo assumere domestici o altri collaboratori per un adeguato servizio al Convento. Nei primi tre anni di superiorato ricordo di essermi trovato a dover cercare continuamente badanti o persone qualificate che assistessero un sacerdote paralitico ultranovantenne. Alcuni di loro non durarono a lungo. Uno dopo l'altro ero costretto a diffidarli perché lavativi, non all'altezza del compito o non attendibili quanto ad onestà e correttezza. Circa due anni or sono ho dovuto mandar via definitivamente un giovane che periodicamente si prestava per servizi di giardinaggio e di pittura, dopo che le telecamere lo avevano sorpreso a trafugare una cassa stereo in chiesa. Fortunatamente però mi è capitato anche di assumere persone lodevoli e zelanti su tutto, con le quali ho avuto modo di instaurare un rapporto di fiducia e di reciproca stima.
In casi come questi mi trovo sempre di fronte persone bisognose, alla ricerca di un impiego, con le quali mi mostro generalmente comprensivo, (spero) generoso e disponibile anche alla “caramella”; ad esse tuttavia chiedo di voler ricambiare la mia fiducia, facendo il proprio dovere con responsabilità e abnegazione, anche prescindendo dai singoli ordini. Spadroneggiare sulle persone e dettar legge non mi è mai piaciuto. Sono solito dialogare e valorizzare i dipendenti su tutto, consultarli e anche imparare da loro, come non di rado avviene. Mi aspetto però che la controparte corrisponda per quanto è giusto, collaborando e facendo il proprio con senso di dovere e di responsabilità ed è sempre spiacevole dover prendere drastici provvedimenti del tipo sopra descritto, perché in tal caso ci si sente trafitti e colpiti.
Stima e fiducia vanno meritate. La bontà che si riceve dagli altri va sempre ricambiata in qualche modo, almeno su quello che è fondamentale e credo che questo sia il filo conduttore della pedagogia della liturgia odierna. La misericordia, seppure certa e abbondantemente profusa dal Signore nei nostri riguardi deve necessariamente trovare corrispondenza fattiva senza retorica o tentennamenti e del resto anche Paolo insegna che la misericordia di Dio non cade a vuoto, ma conduce alla conversione (Rm 2,4). Chi riceve fiducia e stima dal Signore certamente si sentirà rincuorato e sostenuto, avvertirà di essere oggetto di predilezione e con Dio instaurerà sempre un rapporto di gioia e di festa, quale il profeta Isaia la descrive nel suo Libro: un banchetto di grasse vivande, di vini genuini e di cibi raffinati da gustare anche senza denaro. La letizia che produce l'intimità del rapporto con Dio è paragonabile a un lauto banchetto al quale sono invitati tutti, ma al quale prenderanno i primi posti soprattutto i poveri e gli indigenti. Tutti siamo invitati a meno che noi stesi non ce ne escludiamo avanzando pretesti banali e insignificanti, tanto legati agli interessi terreni e all'effimeratezza dei costumi. Così si comportano gli invitati a nozze che umiliano il re declinando l'invito: vengono attratti da altre attrattive in fondo banali e melensi, soprattutto se messe a raffronto con una cena a palazzo: chi mai, invitato personalmente da un monarca o da una persona facoltosa, si lascerebbe attrarre da altre preoccupazioni? Se fossimo chiamati alla tavola nuziale di un sovrano non disdiremmo tutti gli impegni presi in precedenza per predisporci in ogni particolare a quell'appuntamento? Tante volte la gioia viene dilapidata e gettata alle ortiche quando la vanità e il peccato prevalgono sulla vera realizzazione, quando il vizio e il peccato abbacinano illudendo di presunte felicità in realtà passeggere. Ogni giorno può essere (e di fatto è) un biglietto d'invito a nozze da parte di Dio, ma quante volte noi lo disattendiamo lasciandoci distogliere da vane preoccupazioni e dal danno del peccato!
Un invito al tavolo del sovrano non si rifiuta, piuttosto si abbandonano eventuali altre incombenze pur di accorrervi come si conviene. Tale è l'invito alla gioia festosa del Re universale nostro Signore, che vuole tutti al banchetto di salvezza.
Si tratta del convito festoso della vita eterna, che ci attende alla fine dei tempi, quando ciascuno si troverà a rapporto con Dio nel momento del giudizio che deve corrispondere a un incontro festoso, ma anche della gioia della vita in Dio al presente, della letizia che scaturisce dall'intimità con Lui. Profusamente questa gioia viene concessa a tutti e i particolari destinatari sono i poveri e gli emarginati, coloro che sono gli esclusi dal nostro consorzio altolocato e perverso ma che vengono prediletti con assoluta esclusiva da Dio.
Alla gratuità del dono di Dio occorre però corrispondere facendo il proprio per mostrarsene meritevoli. La gioia che il Signore elargisce non è una gioia sterile, ma deve recare il frutto di una personale conversione, di una totale preferenzialità per Dio che si traduca in un sano rapporto d'amore con il prossimo. Ecco il motivo per cui chi, durante il ricevimento festoso, viene trovato sprovvisto dell'abito nuziale viene precipitato fuori dal salone. Alla gioia dell'incontro con Dio tutti quanti sono inviati e non corrispondervi è umiliante per il Re. Ciononostante la gratuità della gioia va corrisposta con la coerenza di vita, con la correttezza morale e con la concretezza delle buone opere. Soprattutto se consideriamo che nella volontà salvifica del Padre lo “sposo” per eccellenza è il Figlio, Gesù Cristo che instaura con la sua chiesa, appunto, una relazione sponsale e di mutua intimità. In Cristo Dio ama la sua chiesa nei singoli elementi al punto da instaurare le “nozze” eterne con lei. Cristo in questo sposalizio si rende al contempo sposo, pane, acqua e vino nuovo, tutti elementi del resto attestati nelle varie pagine dei vangeli con i quali si rappresenta nella gioia la novità della vita. Ma quale sposo non vuole corrispondenza e fedeltà? In Cristo, tutti figli nel Figlio, siamo chiamati tutti ad apportare frutti di novità e di vita nella concretezza della carità che proviene da un cuore puro, da una retta coscienza e da una fede sincera (1Tm 1, 5).
E del resto la gioia non è tale se non ha trasformato la vita per intero. Se essa non rifulge nella trasparenza dell'essere e dell'agire, essa non è gioia ma spietata apparenza e l'ipocrisia non paga mai né tantomeno guadagna ricompense. Corrispondere in tutto alla grazia del dono di Dio che ci chiama a festa è piuttosto un esercizio costante di conversione e di trasformazione interiore, che non può non trasudare dall'essere e dal fare.
Fonte:www.qumran2.net
Corrispondere in tutto alla gioia
padre Gian Franco Scarpitta
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/10/2017)
Vangelo: Mt 22,1-14
Da oltre dieci anni mi ritrovo (spero degnamente e con necessaria umiltà) a ricoprire il ruolo di
Superiore e Rettore di chiesa in differenti realtà del mio Ordine e fra le varie responsabilità a cui mi trovo a far fronte capitano talora delle circostanze in cui devo assumere domestici o altri collaboratori per un adeguato servizio al Convento. Nei primi tre anni di superiorato ricordo di essermi trovato a dover cercare continuamente badanti o persone qualificate che assistessero un sacerdote paralitico ultranovantenne. Alcuni di loro non durarono a lungo. Uno dopo l'altro ero costretto a diffidarli perché lavativi, non all'altezza del compito o non attendibili quanto ad onestà e correttezza. Circa due anni or sono ho dovuto mandar via definitivamente un giovane che periodicamente si prestava per servizi di giardinaggio e di pittura, dopo che le telecamere lo avevano sorpreso a trafugare una cassa stereo in chiesa. Fortunatamente però mi è capitato anche di assumere persone lodevoli e zelanti su tutto, con le quali ho avuto modo di instaurare un rapporto di fiducia e di reciproca stima.
In casi come questi mi trovo sempre di fronte persone bisognose, alla ricerca di un impiego, con le quali mi mostro generalmente comprensivo, (spero) generoso e disponibile anche alla “caramella”; ad esse tuttavia chiedo di voler ricambiare la mia fiducia, facendo il proprio dovere con responsabilità e abnegazione, anche prescindendo dai singoli ordini. Spadroneggiare sulle persone e dettar legge non mi è mai piaciuto. Sono solito dialogare e valorizzare i dipendenti su tutto, consultarli e anche imparare da loro, come non di rado avviene. Mi aspetto però che la controparte corrisponda per quanto è giusto, collaborando e facendo il proprio con senso di dovere e di responsabilità ed è sempre spiacevole dover prendere drastici provvedimenti del tipo sopra descritto, perché in tal caso ci si sente trafitti e colpiti.
Stima e fiducia vanno meritate. La bontà che si riceve dagli altri va sempre ricambiata in qualche modo, almeno su quello che è fondamentale e credo che questo sia il filo conduttore della pedagogia della liturgia odierna. La misericordia, seppure certa e abbondantemente profusa dal Signore nei nostri riguardi deve necessariamente trovare corrispondenza fattiva senza retorica o tentennamenti e del resto anche Paolo insegna che la misericordia di Dio non cade a vuoto, ma conduce alla conversione (Rm 2,4). Chi riceve fiducia e stima dal Signore certamente si sentirà rincuorato e sostenuto, avvertirà di essere oggetto di predilezione e con Dio instaurerà sempre un rapporto di gioia e di festa, quale il profeta Isaia la descrive nel suo Libro: un banchetto di grasse vivande, di vini genuini e di cibi raffinati da gustare anche senza denaro. La letizia che produce l'intimità del rapporto con Dio è paragonabile a un lauto banchetto al quale sono invitati tutti, ma al quale prenderanno i primi posti soprattutto i poveri e gli indigenti. Tutti siamo invitati a meno che noi stesi non ce ne escludiamo avanzando pretesti banali e insignificanti, tanto legati agli interessi terreni e all'effimeratezza dei costumi. Così si comportano gli invitati a nozze che umiliano il re declinando l'invito: vengono attratti da altre attrattive in fondo banali e melensi, soprattutto se messe a raffronto con una cena a palazzo: chi mai, invitato personalmente da un monarca o da una persona facoltosa, si lascerebbe attrarre da altre preoccupazioni? Se fossimo chiamati alla tavola nuziale di un sovrano non disdiremmo tutti gli impegni presi in precedenza per predisporci in ogni particolare a quell'appuntamento? Tante volte la gioia viene dilapidata e gettata alle ortiche quando la vanità e il peccato prevalgono sulla vera realizzazione, quando il vizio e il peccato abbacinano illudendo di presunte felicità in realtà passeggere. Ogni giorno può essere (e di fatto è) un biglietto d'invito a nozze da parte di Dio, ma quante volte noi lo disattendiamo lasciandoci distogliere da vane preoccupazioni e dal danno del peccato!
Un invito al tavolo del sovrano non si rifiuta, piuttosto si abbandonano eventuali altre incombenze pur di accorrervi come si conviene. Tale è l'invito alla gioia festosa del Re universale nostro Signore, che vuole tutti al banchetto di salvezza.
Si tratta del convito festoso della vita eterna, che ci attende alla fine dei tempi, quando ciascuno si troverà a rapporto con Dio nel momento del giudizio che deve corrispondere a un incontro festoso, ma anche della gioia della vita in Dio al presente, della letizia che scaturisce dall'intimità con Lui. Profusamente questa gioia viene concessa a tutti e i particolari destinatari sono i poveri e gli emarginati, coloro che sono gli esclusi dal nostro consorzio altolocato e perverso ma che vengono prediletti con assoluta esclusiva da Dio.
Alla gratuità del dono di Dio occorre però corrispondere facendo il proprio per mostrarsene meritevoli. La gioia che il Signore elargisce non è una gioia sterile, ma deve recare il frutto di una personale conversione, di una totale preferenzialità per Dio che si traduca in un sano rapporto d'amore con il prossimo. Ecco il motivo per cui chi, durante il ricevimento festoso, viene trovato sprovvisto dell'abito nuziale viene precipitato fuori dal salone. Alla gioia dell'incontro con Dio tutti quanti sono inviati e non corrispondervi è umiliante per il Re. Ciononostante la gratuità della gioia va corrisposta con la coerenza di vita, con la correttezza morale e con la concretezza delle buone opere. Soprattutto se consideriamo che nella volontà salvifica del Padre lo “sposo” per eccellenza è il Figlio, Gesù Cristo che instaura con la sua chiesa, appunto, una relazione sponsale e di mutua intimità. In Cristo Dio ama la sua chiesa nei singoli elementi al punto da instaurare le “nozze” eterne con lei. Cristo in questo sposalizio si rende al contempo sposo, pane, acqua e vino nuovo, tutti elementi del resto attestati nelle varie pagine dei vangeli con i quali si rappresenta nella gioia la novità della vita. Ma quale sposo non vuole corrispondenza e fedeltà? In Cristo, tutti figli nel Figlio, siamo chiamati tutti ad apportare frutti di novità e di vita nella concretezza della carità che proviene da un cuore puro, da una retta coscienza e da una fede sincera (1Tm 1, 5).
E del resto la gioia non è tale se non ha trasformato la vita per intero. Se essa non rifulge nella trasparenza dell'essere e dell'agire, essa non è gioia ma spietata apparenza e l'ipocrisia non paga mai né tantomeno guadagna ricompense. Corrispondere in tutto alla grazia del dono di Dio che ci chiama a festa è piuttosto un esercizio costante di conversione e di trasformazione interiore, che non può non trasudare dall'essere e dal fare.
Fonte:www.qumran2.net
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