Paolo Curtaz, "Parabole dolenti "
Commento al Vangelo di domenica 8 Ottobre 2017 - Paolo Curtaz
Parabole dolenti
È una parabola cupa, dolente, sanguinante, quella di oggi.
Quasi insostenibile.
Il cuore del racconto, però, è centrato sul figlio, non sulla punizione dei vignaioli omicidi: Gesù sta
Il finale non è un abbandono, ma un nuovo inizio.
Quella morte che tutto sembra distruggere non è che il trampolino per una nuova vita, per un inatteso riscatto.
È ormai evidente a tutti che il suo destino è segnato: i suoi gesti eccessivi hanno suscitato l’ira dei capi dei sacerdoti. Come tutti gli idealisti, questa testa calda di galileo va fatto tacere ad ogni costo, prima che crei dei disordini e che i romani si riprendano, irritati, la relativa autonomia concessa alla capitale.
Lo sa Gesù, non è un idiota.
Sa bene che ha firmato la sua condanna a morte.
E sta dicendo ai suoi assassini che la sua morte, la morte del figlio, si pone in continuità con la morte dei profeti, spesso uccisi proprio dagli uomini religiosi del loro tempo (Mt 23,29).
Gesù non mette fine alle contraddizioni della storia. Si pone in mezzo.
Le assume. Ne è travolto. Le redime e le riscatta.
Di questo parla la difficile parabola dei vignaioli omicidi.
Follie
L’idea di godere dei frutti della vigna senza pagare pegno mi sembra una bella costante della nostra inquieta e talvolta incomprensibile umanità.
Così è il nostro mondo: vuole l’eredità senza avere a che fare nulla con il Padre.
Gode dei frutti della vigna e non riconosce al proprietario ciò che gli è dovuto.
Nemmeno il fatto di non essere noi i padroni del Creato.
Anzi: vorremmo poter gestire la vigna senza rendere conto a nessuno.
È l’impressione che ho quando vedo il nostro mondo occidentale, quello europeo, in specie, che ha fatto accomodare Dio alla porta, ma pretende di mantenere l’ordine sociale che da esso deriva.
Immagine dell’umanità che non riconosce il proprio Creatore, il proprio limite, questa tragica parabola è la sintesi della storia fra Dio e Israele, fra Dio e l’umanità. L’uomo non riconosce il suo Creatore, si sostituisce a lui: ecco il peccato di fondo, la tragica fragilità dell’essere umano, credere di essere autosufficiente, non nel senso nobile e vero di essere autonomo, senza dover rendere conto, misconoscendo il proprio limite.
Ancora oggi accade così, in questi deliranti tempi in cui, invece di riconoscere la propria origine e la propria dignità, l’umanità pensa a come fregare il proprietario, nega l’evidenza della propria creaturalità, si perde nel delirio di onnipotenza di chi crede di manipolare l’origine della vita, il cosmo, la natura.
Insomma: vogliamo un mondo equilibrato, fraterno, significativo e interessante, ma senza coinvolgere chi questo mondo l’ha voluto, ideato e creato. Buffo. Idiota.
Il mondo non ci appartiene e nemmeno la vita ci appartiene, ma ci è donata e possiamo farla fiorire.
Ancora
Vorrei dire ancora qualche parola sulla pazienza di Dio che, ad un certo punto, finisce.
Perché il suo intervento punitivo, storicamente, è stato spesso usato da noi cristiani e dai predicatori, in dettaglio, come corpo contundente, come minaccia velata.
Della serie: Dio è tanto caro e tanto buono ma se esageri ti manda una disgrazia che te la ricordi nei secoli! Ovviamente la Parola non dice proprio niente del genere.
Dio ci ama ed è paziente, certo, vero. Ma, come abbiamo già visto, se ci ostiniamo ad andare all’opposto rispetto alla strada che egli ci indica, è altamente probabile che precipitiamo in un dirupo!
Quindi, davanti alla brevità della vita e alla superficialità con cui rischiamo di affrontarla, meglio prenderla simpaticamente sul serio.
Secondo Matteo
È Gesù che chiede all’uditorio, ignaro, cosa mai avrebbe dovuto fare il proprietario della vigna dopo l’omicidio del figlio.
Chiede alla folla di esprimere un giudizio.
La scena è raggelante, perché l’uditorio non ha ancora capito che si sta parlando di loro. Stanno decretando la loro atroce punizione. Mi immagino la scena. Me la vedo.
La gente lo ha seguito, prima attratta dalla sua mitezza, poi dal suo innovativo modo di parlare di Dio; i miracoli, compiuti con parsimonia, senza mai violare la libertà di chi vi assiste, hanno accresciuto la sua fama.
Solo la moltiplicazione dei pani e dei pesci arresta la sua impressionante crescita di popolarità: Gesù rifiuta di farsi incoronare re, si accorge che la gente, ormai, lo cerca per la fame saziata, non per Dio.
Deluso e amareggiato, il Signore si ritira in una sfera più intima, parla solo più al ristretto gruppo dei discepoli. Ma anche dai suoi apostoli riceve una cocente delusione: non hanno capito il suo progetto, litigano sul loro ruolo nel futuro governo di Israele.
Cosa fare, ora?
Gesù parla, gli occhi bassi, seduto, quasi pensando tra sé e sé.
Racconta di una vigna, una bella vigna, data in gestione a dei vignaioli assassini.
È la tragica storia di Dio e dell’umanità, di una incomprensione che fatica a risolversi, di un dolore, il dolore di Dio, che spiazza e interroga.
Gesù parla come a se stesso, indeciso sul da farsi, la voce rotta dall’emozione: che fare?
All’umano un Dio così proprio non importa, non lo vuole: preferisce un Dio scostante e impettito, forse, onnipotente e freddo da placare o convincere. Da manipolare.
Che fare?
Vendetta
Si accalora, l’uditorio. Sbraita, ora. Morte! Vendetta! Sangue! I vignaioli vanno uccisi!
Già. Che idioti. Non sanno che Gesù sta parlando proprio di loro.
È vero: non ha senso che il padrone subisca l’uccisione del proprio figlio.
Sospira, ora, il Signore, e li guarda, lungamente.
No, non farà così.
Non ci sarà nessuna vendetta, né sangue, né morte. Se non la sua.
Forse gli affittuari, vedendo la misura dell’amore del padrone, vedendo la sua ostinata volontà di salvezza, capiranno e cambieranno.
Forse.http://www.tiraccontolaparola.it/
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