ROBERTO BRUNELLI, " Ecco il segreto della vera grandezza"XXXI Domenica
Ecco il segreto della vera grandezza
mons. Roberto Brunelli
XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/11/2017)
Visualizza Mt 23,1-12
Un tema collega, tra le letture della Messa di oggi, la prima e il vangelo: l'incoerenza. Si può parlare
di incoerenza in senso positivo e in senso negativo. L'uomo non è un monolite, sempre uguale a se stesso: l'evoluzione del pensiero, sollecitata dall'esperienza, può portare a cambiare anche radicalmente idee e atteggiamenti; e se questo avviene con sincera onestà, non è soltanto ammissibile: è rispettabile, anzi è doveroso essere fedeli alla propria coscienza.
Altro è invece il caso di chi dice una cosa, magari sbandiera proclami, e poi agisce in senso difforme quando non addirittura contrario. E' questa l'incoerenza che lamentiamo spesso nelle persone "in vista", a cominciare dai politici, così come nei nostri conoscenti. Onestà vorrebbe che nell'elenco includessimo anche noi stessi: quante volte la nostra lingua è stata in conflitto col nostro pensiero? Quante volte abbiamo promesso, senza alcuna intenzione di mantenere? Quante volte abbiamo condannato negli altri quello che, magari nascostamente, facciamo, o vorremmo fare, anche noi?
Le letture di cui si è detto parlano dell'incoerenza biasimevole. La prima lettura (Malachia 1,14-2,10) è tratta dal libro che raccoglie i vaticini di un profeta vissuto oltre quattrocento anni avanti Cristo, il quale formula aspri rimproveri per i sacerdoti del tempio di Gerusalemme: essi, dichiarando con il loro sacerdozio di essere fedeli a Dio, nei fatti si sono "allontanati dalla retta via", non hanno osservato le sue disposizioni, hanno agito con perfidia. E accuse simili Gesù ha rivolto spesso a quei suoi contemporanei, che si presentavano come esperti nell'interpretazione (gli scribi) o come osservanti esemplari (i farisei) della volontà di Dio. Nel brano evangelico odierno (Matteo 23,1-12), ad esempio, si rivolge alla folla e ai suoi discepoli con queste parole: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno".
Non tutti i farisei, ovviamente, erano così; molti erano sinceri e rigorosi osservanti della Legge divina; ma dovevano essercene altri che in realtà smentivano nei fatti quanto proclamavano a parole. Di qui il significato oggi corrente del termine ‘fariseo' come sinonimo di ipocrita, simulatore di buoni sentimenti e comportamenti, esibiti solo per convenienza. (ad esempio per meglio imbrogliare il prossimo) o per vanità (al fine di essere stimati e lodati). Circa la vanità, nel suo discorso Gesù dice tra l'altro: "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange" (particolari dell'abito del pio israelita), "amano i posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì", cioè maestro.
In altre parole, Gesù accusa i farisei di apparire come non sono, al fine di distinguersi dalla massa, elevarsi al di sopra del volgo. Per questo ribadisce poi la via cristiana all'umiltà: "Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato".
In vista del giudizio futuro, quando la verità sarà svelata e la giustizia sarà ristabilita, per un cristiano l'atteggiamento qui sotteso è quello proclamato la scorsa domenica: amare Dio con sincerità di cuore, dimostrata dal concreto amore del prossimo. Il servo di cui parla Gesù non è lo schiavo sottomesso a forza, né chi si pone alle dipendenze di altri per necessità: in senso evangelico, servo è chi liberamente, per intima convinzione, si avvale di quanto sa e di quanto ha per cercare il bene dei suoi simili.
La vera grandezza, quella che sarà manifesta nel giorno del giudizio, quella di cui hanno dato dimostrazione i santi e prima di tutti lui, il Signore e Redentore, non deriva dall'accumulo di medaglie e titoli, non da elogi e monumenti. La vera grandezza sta nel donarsi.
mons. Roberto Brunelli
XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/11/2017)
Visualizza Mt 23,1-12
Un tema collega, tra le letture della Messa di oggi, la prima e il vangelo: l'incoerenza. Si può parlare
di incoerenza in senso positivo e in senso negativo. L'uomo non è un monolite, sempre uguale a se stesso: l'evoluzione del pensiero, sollecitata dall'esperienza, può portare a cambiare anche radicalmente idee e atteggiamenti; e se questo avviene con sincera onestà, non è soltanto ammissibile: è rispettabile, anzi è doveroso essere fedeli alla propria coscienza.
Altro è invece il caso di chi dice una cosa, magari sbandiera proclami, e poi agisce in senso difforme quando non addirittura contrario. E' questa l'incoerenza che lamentiamo spesso nelle persone "in vista", a cominciare dai politici, così come nei nostri conoscenti. Onestà vorrebbe che nell'elenco includessimo anche noi stessi: quante volte la nostra lingua è stata in conflitto col nostro pensiero? Quante volte abbiamo promesso, senza alcuna intenzione di mantenere? Quante volte abbiamo condannato negli altri quello che, magari nascostamente, facciamo, o vorremmo fare, anche noi?
Le letture di cui si è detto parlano dell'incoerenza biasimevole. La prima lettura (Malachia 1,14-2,10) è tratta dal libro che raccoglie i vaticini di un profeta vissuto oltre quattrocento anni avanti Cristo, il quale formula aspri rimproveri per i sacerdoti del tempio di Gerusalemme: essi, dichiarando con il loro sacerdozio di essere fedeli a Dio, nei fatti si sono "allontanati dalla retta via", non hanno osservato le sue disposizioni, hanno agito con perfidia. E accuse simili Gesù ha rivolto spesso a quei suoi contemporanei, che si presentavano come esperti nell'interpretazione (gli scribi) o come osservanti esemplari (i farisei) della volontà di Dio. Nel brano evangelico odierno (Matteo 23,1-12), ad esempio, si rivolge alla folla e ai suoi discepoli con queste parole: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno".
Non tutti i farisei, ovviamente, erano così; molti erano sinceri e rigorosi osservanti della Legge divina; ma dovevano essercene altri che in realtà smentivano nei fatti quanto proclamavano a parole. Di qui il significato oggi corrente del termine ‘fariseo' come sinonimo di ipocrita, simulatore di buoni sentimenti e comportamenti, esibiti solo per convenienza. (ad esempio per meglio imbrogliare il prossimo) o per vanità (al fine di essere stimati e lodati). Circa la vanità, nel suo discorso Gesù dice tra l'altro: "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange" (particolari dell'abito del pio israelita), "amano i posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì", cioè maestro.
In altre parole, Gesù accusa i farisei di apparire come non sono, al fine di distinguersi dalla massa, elevarsi al di sopra del volgo. Per questo ribadisce poi la via cristiana all'umiltà: "Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato".
In vista del giudizio futuro, quando la verità sarà svelata e la giustizia sarà ristabilita, per un cristiano l'atteggiamento qui sotteso è quello proclamato la scorsa domenica: amare Dio con sincerità di cuore, dimostrata dal concreto amore del prossimo. Il servo di cui parla Gesù non è lo schiavo sottomesso a forza, né chi si pone alle dipendenze di altri per necessità: in senso evangelico, servo è chi liberamente, per intima convinzione, si avvale di quanto sa e di quanto ha per cercare il bene dei suoi simili.
La vera grandezza, quella che sarà manifesta nel giorno del giudizio, quella di cui hanno dato dimostrazione i santi e prima di tutti lui, il Signore e Redentore, non deriva dall'accumulo di medaglie e titoli, non da elogi e monumenti. La vera grandezza sta nel donarsi.
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