Dai «Discorsi» di san Leone Magno,"Quale la prestazione, tale il compenso"
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 92, 1. 2. 3; PL 54, 454-455)
Quale la prestazione, tale il compenso
Il Signore dice: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete
nel regno dei cieli» (Mt 5, 20). Ma come potrà abbondare la giustizia, se la misericordia non trionfa sul giudizio? (cfr. Gc 2, 13). È giusto e conveniente che la creatura imiti il suo creatore, la copia il suo modello, ad immagine e somiglianza del quale è stata fatta. Orbene Dio fa consistere la riparazione e la santificazione dei credenti nella remissione dei peccati. Rimessi i peccati, cessa la severità della vendetta e viene sospesa ogni punizione, il colpevole viene restituito all'innocenza e la fine del peccato diventa inizio della nuova santità. L'uomo deve fare come Dio.
La giustizia cristiana può superare quella degli scribi e dei farisei, non svuotando la legge, ma rifiutandone ogni interpretazione materiale. Perciò il Signore, proponendo ai discepoli il modo di digiunare, disse: «Quando digiunate, non assumete aria melanconica, come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: Hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6, 16). Quale ricompensa, se non quella della lode degli uomini? Per la bramosia di questa lode, spesso si ostenta una parvenza di giustizia, non ci si preoccupa della coscienza e si va in cerca di una falsa rinomanza. Così l'iniquità, che già si condanna da se stessa nascondendosi, si contenta poi di una stima ipocrita.
A chi ama Dio è già sufficiente sapere di essere gradito a colui che ama; e non brama ricompensa maggiore dell'amore stesso. L'anima pura e santa è talmente felice di essere ripiena di lui, che non desidera compiacersi in nessun altro oggetto al di fuori di lui.
È quanto mai vero, infatti, ciò che dice il Signore: «Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6, 21). Ma qual è il tesoro dell'uomo se non la messe delle sue opere e il raccolto delle sue fatiche? «Infatti ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Gal 6, 7); e qual è la prestazione di ciascuno, tale sarà anche il compenso che riceverà. Inoltre dove si ripone la felicità del godimento, lì si concentra anche la preoccupazione del cuore. Ma, essendo molteplici le specie di ricchezze e diversi i motivi e le fonti di piacere, per ognuno il tesoro consiste in ciò che forma l'oggetto delle proprie aspirazioni. Però se queste tendono ai beni terreni, anche se pienamente appagate, non rendono felici. Portano alla felicità, invece, quelle orientate alle cose di lassù.
Coloro, infatti, che aspirano alle cose celesti e non a quelle della terra e non si protendono verso i beni caduchi, bensì verso i beni eterni, hanno riposto le loro ricchezze incorruttibili in quel bene di cui parla il profeta, dicendo: «È giunto il nostro tesoro e la nostra salvezza, sapienza e scienza e pietà dal Signore: sono questi i tesori della giustizia» (Is 33, 6 volg.). Per mezzo di questi beni, con l'aiuto della grazia di Dio, anche i beni terreni si trasformano in beni celesti. Effettivamente sono molti quelli che si servono delle ricchezze, o giustamente ereditate o altrimenti acquisite, come mezzi per esercitare la misericordia.
E quando, per sostentare i poveri, elargiscono il loro superfluo, accumulano per sé ricchezze che non si perdono, perché ciò che hanno messo da parte per i poveri non va più soggetto a perdita.
A ragione costoro hanno il loro cuore dove hanno posto il loro tesoro, perché la loro più grande felicità sarà quella di godersi le ricchezze conseguite e di accrescerle sempre di più senza alcun timore che vadano perdute.
(Disc. 92, 1. 2. 3; PL 54, 454-455)
Quale la prestazione, tale il compenso
Il Signore dice: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete
nel regno dei cieli» (Mt 5, 20). Ma come potrà abbondare la giustizia, se la misericordia non trionfa sul giudizio? (cfr. Gc 2, 13). È giusto e conveniente che la creatura imiti il suo creatore, la copia il suo modello, ad immagine e somiglianza del quale è stata fatta. Orbene Dio fa consistere la riparazione e la santificazione dei credenti nella remissione dei peccati. Rimessi i peccati, cessa la severità della vendetta e viene sospesa ogni punizione, il colpevole viene restituito all'innocenza e la fine del peccato diventa inizio della nuova santità. L'uomo deve fare come Dio.
La giustizia cristiana può superare quella degli scribi e dei farisei, non svuotando la legge, ma rifiutandone ogni interpretazione materiale. Perciò il Signore, proponendo ai discepoli il modo di digiunare, disse: «Quando digiunate, non assumete aria melanconica, come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: Hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6, 16). Quale ricompensa, se non quella della lode degli uomini? Per la bramosia di questa lode, spesso si ostenta una parvenza di giustizia, non ci si preoccupa della coscienza e si va in cerca di una falsa rinomanza. Così l'iniquità, che già si condanna da se stessa nascondendosi, si contenta poi di una stima ipocrita.
A chi ama Dio è già sufficiente sapere di essere gradito a colui che ama; e non brama ricompensa maggiore dell'amore stesso. L'anima pura e santa è talmente felice di essere ripiena di lui, che non desidera compiacersi in nessun altro oggetto al di fuori di lui.
È quanto mai vero, infatti, ciò che dice il Signore: «Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6, 21). Ma qual è il tesoro dell'uomo se non la messe delle sue opere e il raccolto delle sue fatiche? «Infatti ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Gal 6, 7); e qual è la prestazione di ciascuno, tale sarà anche il compenso che riceverà. Inoltre dove si ripone la felicità del godimento, lì si concentra anche la preoccupazione del cuore. Ma, essendo molteplici le specie di ricchezze e diversi i motivi e le fonti di piacere, per ognuno il tesoro consiste in ciò che forma l'oggetto delle proprie aspirazioni. Però se queste tendono ai beni terreni, anche se pienamente appagate, non rendono felici. Portano alla felicità, invece, quelle orientate alle cose di lassù.
Coloro, infatti, che aspirano alle cose celesti e non a quelle della terra e non si protendono verso i beni caduchi, bensì verso i beni eterni, hanno riposto le loro ricchezze incorruttibili in quel bene di cui parla il profeta, dicendo: «È giunto il nostro tesoro e la nostra salvezza, sapienza e scienza e pietà dal Signore: sono questi i tesori della giustizia» (Is 33, 6 volg.). Per mezzo di questi beni, con l'aiuto della grazia di Dio, anche i beni terreni si trasformano in beni celesti. Effettivamente sono molti quelli che si servono delle ricchezze, o giustamente ereditate o altrimenti acquisite, come mezzi per esercitare la misericordia.
E quando, per sostentare i poveri, elargiscono il loro superfluo, accumulano per sé ricchezze che non si perdono, perché ciò che hanno messo da parte per i poveri non va più soggetto a perdita.
A ragione costoro hanno il loro cuore dove hanno posto il loro tesoro, perché la loro più grande felicità sarà quella di godersi le ricchezze conseguite e di accrescerle sempre di più senza alcun timore che vadano perdute.
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