don Luciano Cantini," Libertà della fede"30A DOMENICA

Libertà della fede
don Luciano Cantini  
XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/11/2017)
  Visualizza Mt 23,1-12
Gli scribi e i farisei
Il termine farisei è una parola proveniente dall'ebraico pārûsh che significa «separati», i farisei si
consideravano separati rispetto agli altri Israeliti, ritenuti meno osservanti della Torà (la Legge) di Mosè.
Il movimento farisaico era formato da laici impegnati nell'osservanza meticolosa della Legge mosaica, fin nelle minuzie, desideravano costituire un gruppo di fedelissimi testimoni di Jaweh; ritenevano che il loro comportamento avrebbe accelerato la venuta del Messia. Giuseppe Flavio, storico ebraico del primo secolo dice di loro: «essi godono fama d'interpretare esattamente le leggi, costituiscono la setta più importante, e attribuiscono ogni cosa al destino e a Dio». Per questo godevano della stima della gente semplice che nella pratica quotidiana, presa dalla fatica e dal lavoro, si trovava impedita rispetto a quanto la Legge sembrava imporre. Avevano una grande influenza sul Tempio e i suoi riti, legati come erano alle tradizioni erano anche innovatori perché stimolati a indagare nella Scrittura ed escogitare nuove norme nella logica conseguenza di quanto già stabilito.
Gli scribi facevano parte della classe dirigente, scriba deriva dall'ebraico «sopèr» (dal verbo «sapàr - contare»), lo scriba è l'uomo del libro, il custode della Legge, colui che legge, scrive e conta, interpretava e dava responsi sul senso della legge e sulle questioni giuridiche.
Il brano del Vangelo è fortemente polemico ma non è una condanna degli Ebrei del tempo di Gesù, né dell'Ebraismo odierno che conosciamo solo per qualche manifestazione esteriore. Dovremmo leggere l'espressione di Gesù come una sparata, nello stile dei profeti, contro tutti i falsi credenti, a qualsiasi comunità religiosa appartengano. Compreso i Cristiani che, per star dietro alle tradizioni precedenti al cristianesimo o per contrastare altre tradizioni, sono scivolati in alcuni devozionismi, che non hanno senso in una visione spirituale del primo e del secondo Testamento.
Per essere ammirati
Il capitolo 23 del Vangelo secondo Matteo snocciola una serie di «guai a voi» agli Scribi e ai Farisei definendoli «ipocriti», il brano di oggi mette le premesse facendo emergere le motivazioni di fondo di certe scelte di tipo religioso. Non perché non apparteniamo al mondo ebraico e neppure a quel movimento siamo esenti da certe deviazioni; dovremmo domandarci - soprattutto in ambito ecclesiale - quanto certe strutture, edifici, abiti, tradizioni, riti, manifestazioni... sono davvero per la gloria di Dio o per la soddisfazione degli uomini. Dovremmo domandarci con sincerità quale posto Dio occupa nella nostra vita religiosa, se viviamo più di religione che di Fede.
Una vita eticamente ineccepibile e le celebrazioni rituali tipiche di una vita “religiosa” cadono facilmente nel formalismo senza la Fede, mentre la Fede si confonde con forme di spiritualismo intimistico se vissute senza manifestazioni di tipo religioso. La religiosità è una esigenza umana in cerca di una relazione con Dio (con il rischio di fermarsi davanti ad una immagine artificiale di Dio), mentre la fede nasce da Dio: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (1 Gv 4,10; Rm 5,8); nella fede si riconosce l'amore di Dio per l'uomo per poi rispondere conseguentemente nella vita.
La religione, così come è vissuta dai farisei, è basato troppo sullo sforzo dell'uomo per permettere l'accesso alla conoscenza di Dio; la pratica religiosa stringente è di ostacolo all'incontro della libertà dell'individuo con l'obbedienza che si deve a Dio che chiama.
Non fatevi chiamare
Gesù non condanna i titoli in sé (anche se certe forme di spagnolismo o di etichetta ecclesiastica finiscono per creare differenze e distanze), ma il vuoto e la perversione che c'è dietro di essi. La preoccupazione del titolo, della immagine porta alla vanità; quando si usa un abito per proteggersi, nascondersi piuttosto che rivelarsi, quando ci preoccupiamo di più di come si appare all'esterno piuttosto che curare l'interiorità, in tutti i campi dell'agire umano e tanto più nella Chiesa, svuotiamo di senso le relazioni umane e viviamo una religione senza Dio. Il mondo di oggi abbonda di maestri e insegnanti che vogliono dire la loro - basta ascoltare i commenti alle partite di calcio -, ognuno ha una idea originale da esprimere, un concetto innovativo, ma è povero di testimoni, uomini e donne coerenti che parlano con la loro vita. Paolo VI lo ha capito affermando: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (2 ottobre 1974).

Fonte:www.qumran2.net/

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