DON PaoloScquizzato," chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. "

OMELIA 33a Domenica Tempo Ordinario. Anno A

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi
beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. (Mt 25, 14-30)


«Sono un filo d’erba che ha sete, un nulla che attende di diventare il tutto di Dio. Oscurità che anela alla luce» (Michele Do).
Non siamo esseri decaduti, ma povertà in attesa di compimento, in ascesa verso il nostro vero Sé.
Siamo venuti al mondo con un tesoro all’interno di noi stessi, una perla cucita nella fodera della nostra veste esistenziale di cui siamo all’oscuro – per citare un antico racconto zen -, una sorgente sepolta da terra  e sabbia. Sono i talenti di cui parla il Vangelo di oggi. La vita stessa di Dio.
La nostra breve vita ci è data per crescere in consapevolezza, prendere coscienza di questo nostro tesoro interiore, entrare in contatto con la luce incastonata in noi, e pian piano farla crescere, darle spazio, prendersene cura perché possa sbocciare. Occorre ‘dedicarsi’ alla Vita all’interno della nostra vita, coltivarla come un fiore, innaffiandola anche con le lacrime se è il caso, ed esporla a quel sole che porta a compimento, e che splende su tutti, ‘sui cattivi e sui buoni’ (Mt 5, 45).
Ma la parabola ci ricorda che esiste il rischio di abdicare al compito di portare alla luce il Dio dentro di noi, di starsene come esseri ‘malvagi e pigri’ (v. 26), in un atto di deresponsabilizzazione, attendendo tutto da un Dio sopra le nubi, interventista e miracolista. Ma Dio non è la stampella alle nostre insufficienze, il supplente delle nostre assenze, né risposta ai nostri perché.
«Va’, la tua fede ti ha salvato» è l’invito che torna costantemente nel Vangelo di Gesù. Dobbiamo credere, avere fede che il principio di vita è dentro di noi, che tutto è già dato, e che non c’è da attendersi nulla per il nostro compimento dall’esterno, ma solo aprirsi alla luce che riposa in noi, a Dio che coincide con la parte migliore di noi e che infine occorre aiutarlo ad emergere dal nostro buio e aiutarlo a non abbandonarci (Etty Hillesum).

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