Padre Paolo Berti, “Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre...”

XXXIV Domenica T.O. - Cristo Re dell'universo        
Mt 25,31-46 
“Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre...”

Omelia 

L'odierno passo del Vangelo è collocato dopo le parabole delle vergini e dei talenti, nelle quali vi è un
riferimento al giudizio finale di Dio. E' il Cristo Re che esercita il potere di giudicare, dopo essersi fatto conoscere nella sua infinita bontà e aver presentato la legge d'amore del suo regno. E' il Cristo Re, Buon pastore - Bel Pastore nel senso di modello perfetto a cui guardare -, che ha agito lungo il corso dei secoli per condurre gli uomini al suo dolce impero, e che alla fine del mondo separerà le pecore dai capri, prima di offrire il regno, frutto del suo sacrificio, al Padre (1Cor 15,24). Già gli uomini saranno stati separati dal giudizio particolare, ma la separazione finale riguarderà l'uomo nella sua interezza, non più solo anima, ma tutto l'uomo, e sarà udita dall'uomo nella completezza della sua persona. Il Giudice darà la motivazione della sentenza che farà entrare eternamente nel regno del Padre suo: "Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero...". Sono tutte opere di carità verso i poveri, gli emarginati, i sofferenti, ma non sono semplici azioni: sono azioni che partono dal cuore, da un amore vero che nasce dalla stima dell'uomo quale creatura di Dio. I superbi non si piegano verso i bisognosi. Quando lo fanno è perché sono alla ricerca di consensi, ma le azioni per farsi vedere non salvano (Mt 6,1). Molti fanno del bene, ma davanti alle telecamere, e per il solo tempo della registrazione; non stanno accanto alla croce del fratello. Chi fa opere di carità per comparire generoso, grande, ha la sua ricompensa nel nulla della vanità (Mt 6,2). La carità vera si accompagna sempre con l'umiltà, non con il vanto (Mt 6,3): la carità e l'umiltà sono le due ali che fanno volare verso i cieli. L'amore verso il povero, verso colui che non ti può dar niente è un test del vero amore verso Dio.
Colui che superbo consuma il male di non riconoscersi relativo a Dio e bisognoso della sua misericordia non può amare il fratello povero, indigente. Non può riconosce al povero la sua dignità di persona fatta ad immagine e somiglianza con Dio. Chi non ha amore vero semina mali sulla terra, come è ben dimostrato dalla storia, come si vede ogni giorno. L'amore vuole il donarsi, il perdonare, il rinnegarsi, il non fare scandali, il credere in Dio e amarlo. Non si inganna Dio, egli vede le intenzione del cuore e giudicherà.
Le parole del Giudice nell'estremo giorno, che abbiamo ascoltato nel passo di Vangelo odierno, non vanno considerate come una descrizione esauriente del giudizio universale, ci sono altri passi che ne parlano accentuando altre note (Mt 7,21; 12,42; 24,31; Mc 8,38). Il testo che abbiamo ascoltato è focalizzato sugli uomini non venuti ancora a conoscenza di Cristo. Essi hanno seguito la legge dell'amore, sono stati legge a se stessi, e hanno seguito i palpiti che infondeva loro lo Spirito Santo, poiché esso agisce su tutti gli uomini di buona volontà, cioè pronti a cercare il vero, pronti ad amare.
I giusti che non hanno conosciuto Cristo diranno: "Quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare...". Certo, fratelli e sorelle, incontrare l'uomo e vederlo in Dio, amato da Dio, e amarlo è un'anticipazione, anche se priva di consapevolezza, del seguire Cristo, il Verbo incarnato.
L'allegorico granello di senapa del regno dei cieli si sviluppa in terra in albero alla cui ombra si posano gli uccelli del cielo, e in cielo l'allegorico albero raggiungerà la sua splendida fioritura, che sarà l'immenso popolo dei risorti nella gloria. Allora il regno sarà consegnato al Padre, come dice il testo di Paolo, e diventerà il regno del Padre: "Venite benedetti del Padre mio".
Gesù, che si presentava distante da ogni forma di regalità terrena, che parlava di un regno dei cieli in termini di lievito, di granello di senapa, di non apparenza, ribaltando tutte le idee che gli uomini di allora avevano di un regno, avrebbe avuto un'affermazione regale trionfale nell'ultimo giorno e per tutta l'eternità. La missione che il Padre gli aveva affidata si sarebbe conclusa con un atto universale che accomunava tutte le genti nel suo regno celeste, nessun uomo eccettuato.
Il Buon Pastore, che ha cercato le sue pecore, che ha dato la sua vita per le sue pecore per radunarle nell'ovile che è la Chiesa, la quale ha confini che vanno oltre i registri di Battesimo, dando loro i pascoli della verità, alla fine dei secoli giudicherà chi potrà entrare nel suo eterno gaudio. (Mt 25,1): “Bene, servo buono e fedele prendi parte alla gioia del tuo padrone” si sentirà dire colui che ha amato nella verità. “La gioia del tuo padrone”, cioè la gioia di Dio stesso. La gioia che c'è nelle eterne relazioni, senza cominciamento, tra le tre Persone divine, dell'unico Dio, perché rigorosamente una è l'Essenza. Dio è infinitamente beato in se stesso e ha creato l'uomo per renderlo partecipe della beatitudine infinita che ha in se stesso. Dio non è un monolite solitario che ha creato gli uomini e il mondo per fare qualcosa e avere di che superare la sua solitudine, ma è infinitamente felice in se stesso, infinitamente sufficiente in sé, infinitamente non solo in se stesso.
L'abbiamo compreso, Cristo è Re, e non solo riguardo alla Chiesa, ma riguardo a tutta la terra, a tutte le nazioni, a tutti i poteri. Egli è il Re dei re e il Signore dei signori (Ap 19,16) con diritto di abbattere quanti si oppongono alla sua regalità d'amore, ma anche infinitamente misericordioso nell'attendere la conversione di chi lo combatte. Nell'ultimo giorno, nel "giorno del Signore", nel "dies irae" egli ridurrà al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza, non solo della terra, ma anche dell'abisso, che cesserà di vomitare le sue insidie e sarà serrato per sempre in se stesso, nella sua legge, cioè l'odio.
Gesù ora esercita la sua regalità su di noi governandoci quale buon Pastore.
Il salmo ce lo descrive nella sua amabilità. Egli conduce il gregge a pascoli erbosi e ad acque tranquille, e un giorno lo introdurrà "alle fonti delle acque della vita" (Ap 7,17), cioè alla visione di Dio Uno e Trino, le cui tre Persone sono la fonte incessante, eternamente infinitamente ricca, della beatitudine dei beati nel cielo. Fratelli e sorelle, lasciamoci guidare da Gesù, fidiamoci di lui, seguiamo lui. Egli è il Re buon Pastore, che ci guida dove non avremo più fame, più sete, più pianto (Cf. Ap 7,16). I giusti hanno consolato i poveri, gli ammalati hanno visitato gli infermi: hanno amato lui, che si è identificato con loro. Noi li dobbiamo amare in lui con una pienezza d'amore che costituisce per noi gioia, ma anche responsabilità perché a chi più fu dato più sarà chiesto (Lc 12,48).
Amen. Ave Maria. Ave tu che con mano misericordiosa ci aiuti a non perdere mai di vista Gesù, il nostro Re e il nostro eterno Buon Pastore. Amen, Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it

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