Paolo Curtaz, "Di notte"

Commento al Vangelo di domenica 3 Dicembre 2017 - Paolo Curtaz
Di notte

Vegliate, svegliatevi, vigilate!
Insiste, il Signore, perché sa che il sonno dell’anima, l’ottundimento della coscienza, l’affievolirsi
della speranza sono un demone che può spegnere la vita di una persona.
Anche della migliore.
Ed è proprio quello che ci può capitare: rassegnarci a questo mondo, alla nostra incoerenza, all’apparente irrisolutezza degli eventi. Viviamo sì, ma senza emozioni, se non quelle di plastica che ci vendono a caro prezzo. Allora mettiamo i piedi un dopo l’altro, intruppati in mezzo alla folla ma senza sapere veramente dove stiamo andando.
Non così per i discepoli.
Non così per chi ha odorato l’infinito.
Non così per chi ha intravvisto, dietro e dentro la caligine, oltre la tenebra, lo splendore della venuta di Cristo.
Non così per chi vuole vivere sul serio questo ennesimo Natale senza renderlo inutile o, peggio, dannoso.

Servi e portinai
La parabola è di immediata comprensione: il padrone di casa, il Signore Gesù, è assente ma tornerà nella gloria. In questo tempo di mezzo, fra la storia e la gloria, affida a noi, suoi servi, il compito di vigilare, di costruire brandelli di Regno, di annunciare la sua venuta.
Una venuta che, come meglio bisognerebbe tradurre, non avviene alla fine della notte, ma continuamente. Lo aspettiamo nella gloria, il Cristo, ma anche nella vita di ciascuno di noi, qui, ora, oggi.
Ai servi è affidato ogni potere.
Sciocco di un Cristo. Ingenuo! Come se davvero fossimo in grado di gestire il potere d’amore che ha inaugurato! Eppure accade proprio così: a queste fragili e sudicie mani il Signore affida il suo Vangelo. Come un tesoro custodito in vasi creta.
Ma se ne siamo consapevoli non tiranneggiamo sui fratelli, non usiamo questo tesoro come se fosse nostra proprietà, non ci ergiamo a sostituti del Signore. Cosa che, a volte inconsciamente, rischiamo di fare nelle nostre comunità quando ci sentiamo investiti di mandato divino.
No, siamo servi inutili.
E ai portinai, a coloro, cioè, che hanno maggiori responsabilità, quella di aprire la casa, la Chiesa, la comunità, a chi cerca il Signore, chiede di vigilare ancora di più, con maggiore convinzione e sforzo. Quanto è terribile vedere portinai ignavi, impigriti, imborghesiti, sedersi al posto del padrone!
Quanto scandalo suscitiamo quando dimentichiamo chi siamo veramente! Servi inutili.

Nella notte
Viene nella notte, il Signore, lo Sposo.
Noi, come le ragazze coraggiose delle scorse domeniche, sfidiamo ogni notte con una piccola fiammella in mano. Ragazze coraggiose.
Noi, invece…
Accampiamo mille scuse alla realizzazione della nostra felicità. Se fossi, se avessi, se potessi…
Non abbiamo tempo o opportunità o cultura sufficiente per essere felici. Meglio maledire il buio, meglio rannicchiarsi in un angolo tappandosi le orecchie.
Sì, certo, è buio fitto. Basta guardarsi intorno per capirlo. Per vedere il tasso di violenza, nelle parole, nei pensieri, che attanaglia le persone, tutte rabbiose con tutti, tutti convinti di essere vittime di qualcuno. Non è così, smettiamola di nasconderci dietro ad un dito.
C’è chi maledice la notte. Chi accende una luce.
Chi attende un aiuto. Come i deportati in Babilonia.
Se tu squarciassi il cielo e scendessi!
Il lamento straziante sale dalla bocca di uno degli autori del libro del profeta Isaia, in esilio dopo la durissima sconfitta contro Nabucodonosor. Nessuna speranza all’orizzonte, nessuna possibilità di riscatto, solo l’amarezza dell’esilio e della schiavitù.
Per la prima volta nella Bibbia, il Dio dei patriarchi viene invocato col titolo padre.
Titolo che non veniva usato perché comune nell’invocazione pagana alle proprie divinità.
Ma ora non c’è più remora, né timore di essere ambigui. Non c’è più il tempio, né la città santa, né il re. Tutto è perduto.
Solo sale quell’invocazione fatta quasi sottovoce, una immensa ricerca di salvezza, un grido silente.
Se tu squarciassi il cielo e scendessi!
Un grido che ancora sale da questa terra d’esilio in cui siamo. Un grido di avvento mentre ci prepariamo a celebrare la nascita di Cristo in ciascuno di noi, nell’attesa del suo ritorno definitivo.

Pregare
Come restare desti? Come nutrire la nostra anima? Come riempire d’olio le lampade che si consumano?
Nell’orto degli ulivi, ai discepoli oppressi dal sonno e dalla tristezza, Gesù chiede di pregare.
Una preghiera che è intimo dialogo col Padre, che è relazione fiduciosa ed appassionata con lui, che è nutrimento dell’anima nel silenzio della lettura orante della Parola di Dio.
Ciò che cercheremo di fare in questo ennesimo avvento, in questo breve tempo in cui cercheremo di sostenerci a vicenda, incoraggiandoci, restando svegli.

Perché, purtroppo, anche lo stravolgimento di senso che abbiamo operato nei confronti del Natale rischia di essere un anestetico. Mortale.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/


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