Don Paolo Zamengo SDB, "La voce"3A DOMENICA AVVENTO
3A DOMENICA AVVENTO La voce Gv 1,6-8.19-28
Il polverone alzato da Giovanni Battista nel deserto di Giuda è così spesso che giunge fin nella
capitale, a Gerusalemme, e spinge i giudei, gelosi custodi della legge e della tradizione, a mandargli una delegazione: insomma a comunicargli che il suo nome è finito sul libro degli indagati.
Non è che a Gerusalemme si siano inquietati più di tanto per il messaggio vibrante di Giovanni, altrimenti si sarebbero scomodati di persona. È che, politicizzati come sono, sono convinti che è meglio tenere sotto controllo le coscienze, le novità religiose e soprattutto pedinare quei personaggi un po’ eccentrici come sembrava essere Giovanni.
Dio manda Giovanni. E i Farisei mandano gli inquisitori. Che strano! Dio manda Giovanni per testimoniare la Parola, per ravvivare la Luce e orientare la Vita. I farisei mandano per indagare, per controllare e per spegnere. Nulla doveva sfuggire al potere centrale.
Gli chiedono: “Chi sei?” Che domanda banale, perfino scontata! Ma i mandanti non sanno pensarne un’altra. Giovanni, comunque, non la respinge e fa, della risposta, il suo atto di fede. Giovanni è limpido: “Io appartengo a Dio. Per questo sono voce della sua Parola, che viene prima e che sarà per sempre”.
Con poche e soppesate parole Giovanni dice chi è e dice anche chi siamo noi. Noi siamo voce, noi siamo eco di una Parola che ci precede e ci accompagna, che ci riempie e ci avvolge, che scuote e cambia, che innamora e chiede amore.
Chi appartiene a questa parola ha bisogno di umiltà. I cristiani sono pronti a vivere nell’ombra, nascosti dentro le viscere della terra, come il seme che muore per dare la vita, come le fondamenta di una casa, invisibili agli occhi, ma indispensabili per sostenere e dare sicurezza.
Chi sei tu? Che cosa dunque sei? Chi sei? Che cosa dici di te? Le quattro domande ripetute una dietro l’altra, a raffica, hanno acceso la mia attenzione e un po’ il mio tormento. Chi sono io? Chi sei tu?
Io appartengo a Dio? Noi apparteniamo davvero a lui che fa risuonare nella nostra voce la sua parola? Sono-siamo campo e terra, dove la sua mano generosa depone il seme di vita perché in me e in noi fiorisca la speranza? Sono faro e bussola che orienta il cammino dei viandanti e dice “Guarda, la notte è finita e già si vedono le luci dell’alba”?
Solo un profeta vede la luce oltre le tenebre; solo un profeta riconosce la voce di Dio e scuote animi e pensieri; raddrizza i percorsi tortuosi, predispone cuori ad accogliere la salvezza, spegne i fuochi della paura, rompe gli intrecci nefasti e pervasivi del male, incenerisce le droghe per riprendersi la libertà e la vita.
Il profeta Giovanni prova a sciogliere lacci che non concedono cammini di crescita, spezza sicurezze smodate che affondano radici nelle ricchezze che non lasciano filtrare luci di speranza o aspirazioni legittime di nuova umanità.
E il profeta dice a noi: “È ora, è qui, è adesso!”.
Il polverone alzato da Giovanni Battista nel deserto di Giuda è così spesso che giunge fin nella
capitale, a Gerusalemme, e spinge i giudei, gelosi custodi della legge e della tradizione, a mandargli una delegazione: insomma a comunicargli che il suo nome è finito sul libro degli indagati.
Non è che a Gerusalemme si siano inquietati più di tanto per il messaggio vibrante di Giovanni, altrimenti si sarebbero scomodati di persona. È che, politicizzati come sono, sono convinti che è meglio tenere sotto controllo le coscienze, le novità religiose e soprattutto pedinare quei personaggi un po’ eccentrici come sembrava essere Giovanni.
Dio manda Giovanni. E i Farisei mandano gli inquisitori. Che strano! Dio manda Giovanni per testimoniare la Parola, per ravvivare la Luce e orientare la Vita. I farisei mandano per indagare, per controllare e per spegnere. Nulla doveva sfuggire al potere centrale.
Gli chiedono: “Chi sei?” Che domanda banale, perfino scontata! Ma i mandanti non sanno pensarne un’altra. Giovanni, comunque, non la respinge e fa, della risposta, il suo atto di fede. Giovanni è limpido: “Io appartengo a Dio. Per questo sono voce della sua Parola, che viene prima e che sarà per sempre”.
Con poche e soppesate parole Giovanni dice chi è e dice anche chi siamo noi. Noi siamo voce, noi siamo eco di una Parola che ci precede e ci accompagna, che ci riempie e ci avvolge, che scuote e cambia, che innamora e chiede amore.
Chi appartiene a questa parola ha bisogno di umiltà. I cristiani sono pronti a vivere nell’ombra, nascosti dentro le viscere della terra, come il seme che muore per dare la vita, come le fondamenta di una casa, invisibili agli occhi, ma indispensabili per sostenere e dare sicurezza.
Chi sei tu? Che cosa dunque sei? Chi sei? Che cosa dici di te? Le quattro domande ripetute una dietro l’altra, a raffica, hanno acceso la mia attenzione e un po’ il mio tormento. Chi sono io? Chi sei tu?
Io appartengo a Dio? Noi apparteniamo davvero a lui che fa risuonare nella nostra voce la sua parola? Sono-siamo campo e terra, dove la sua mano generosa depone il seme di vita perché in me e in noi fiorisca la speranza? Sono faro e bussola che orienta il cammino dei viandanti e dice “Guarda, la notte è finita e già si vedono le luci dell’alba”?
Solo un profeta vede la luce oltre le tenebre; solo un profeta riconosce la voce di Dio e scuote animi e pensieri; raddrizza i percorsi tortuosi, predispone cuori ad accogliere la salvezza, spegne i fuochi della paura, rompe gli intrecci nefasti e pervasivi del male, incenerisce le droghe per riprendersi la libertà e la vita.
Il profeta Giovanni prova a sciogliere lacci che non concedono cammini di crescita, spezza sicurezze smodate che affondano radici nelle ricchezze che non lasciano filtrare luci di speranza o aspirazioni legittime di nuova umanità.
E il profeta dice a noi: “È ora, è qui, è adesso!”.
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