MONASTERO MARANGO, In mezzo a noi perché dentro la vita dei poveri"
In mezzo a noi perché dentro la vita dei poveri
Briciole dalla mensa - 3° Domenica di Avvento (anno B) - 17 dicembre 2017
LETTURE Is 61,1-2.10-11 Lc 1 1Ts 5,16-24 Gv 1,6-8.19-28
COMMENTO
Chi è un testimone? E’ essenziale porsi questa domanda, visto che, per quattro volte, nel brano
evangelico, si definisce con questo termine il ruolo di Giovanni Battista in riferimento al Signore che viene. Prima di tutto, il testimone è uno che racconta qualcosa che ha vissuto o visto direttamente: non ripete ciò che ha sentito dire, non esprime la sua convinzione di come siano andate le cose! Giovanni è l'amico dello sposo, che «è presente e ascolta» (Gv 3,29): è dentro la realtà e dentro i fatti, perciò ne è testimone diretto.
Ma questo non vuol dire che Giovanni sia stato per forza partecipe di qualcosa di speciale né che abbia conosciuto Cristo prima degli altri. Infatti, nel prosieguo della sua testimonianza, dirà due volte che non lo conosceva (cfr. Gv 1,31.33): invece è stato l'ascolto della parola di Dio che ha reso vigile il suo sguardo e capace, quindi, di cogliere la presenza di Colui che viene, e di prepararne e annunciarne la venuta. Ancora meglio, il Vangelo di Luca dice che «la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,2): è stato conquistato dalla Parola, così da diventare autentico testimone del Cristo.
Oggi abbiamo particolarmente bisogno di testimoni, che mostrino Cristo «in mezzo a noi». Ma non è lo zelo religioso e la perfezione morale a rendere un credente anche testimone: bisogna lasciarsi prendere dalla parola di Dio, attraverso il suo ascolto assiduo e amante.
In secondo luogo, la testimonianza ha bisogno di una grande umiltà. E infatti Giovanni continua a ripetere: «Io non sono... non lo sono... io non sono degno...». Egli sa che solo diminuendo se stesso può essere veramente testimone di Cristo («Lui deve crescere; io, invece, diminuire», Gv 3,30).
Così Giovanni risulta essere una figura molto provocante per un mondo come il nostro nel quale domina l'arroganza di chi coglie una realtà (spesso molto parziale e faziosa) e la "spara" sugli altri per accreditare se stesso e comprarsi la fiducia delle persone. Giovanni, invece, pare essere contrario a tutte le strategie di comunicazione: nasconde il mezzo (se stesso) e punta tutto sul contenuto. Oltre a tutto, alle brave persone religiose della città che vanno da lui, si presenta con la ruvidezza della sua vita essenziale (vedi il Vangelo di domenica scorsa). Giovanni non risulta molto interessato alla comunicazione, invece è totalmente preso e appassionato per il Signore e per la sua venuta a portare la salvezza per tutti. Per questo ne diventa un testimone autentico e limpidissimo. Chi ama qualcuno, si dimentica di sé e parla solo dell'altro: così fa Giovanni.
In terzo luogo, la testimonianza porta a esporre senza riserve se stessi fino essere disposti a dare anche la propria vita: in greco, la parola «testimonianza» è martyrìa. Infatti, Giovanni subisce una vera e propria indagine giudiziale da parte dei capi religiosi. Il suo battesimo «nell'acqua» è confessione del bisogno di cambiar vita per vivere una fede autentica. E così Giovanni stesso vive la prova del suo battesimo: avendo denunciato l'iniquità del potere di Erode (autenticità della sua fede) verrà messo in carcere e subirà la pena capitale (immersione nella morte). Il testimone deve essere coerente fino alla fine, pagando anche con la propria vita, per mantenere l'autenticità della propria testimonianza.
La testimonianza del Battista rivela la presenza nascosta dell'inviato di Dio atteso: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Se il riconoscimento avverrà solo per l'azione della parola di Dio e nella scoperta della presenza dello Spirito Santo su tale persona (cfr. Gv 1,29-34), rimane il fatto che «stare in mezzo a voi» non indica tanto una presenza geografica, quanto una normalità della sua vita. Il Messia atteso, che Giovanni viene ad annunciare e indicare, non si distingue immediatamente per delle opere esaltanti che confermino i buoni e bravi nella fede. Come rivela la prima Lettura, è un mandato da Dio «a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri» (Is 61,1). Questa sarà la presenza del Signore «in mezzo a noi», tanto da diventare il programma del ministero di Gesù (cfr. Lc 4,16-21). È una presenza che si prende cura delle ferite dei più deboli.
Forse per questo oggi il cristianesimo è scomodo e se ne vuole rimuovere addirittura i segni, a partire dal Natale: perché si fa difensore dei poveri, che la nostra società ricca ed egoista rifiuta.
La terza domenica di Avvento è anche la domenica della gioia: «Siate sempre lieti» (seconda Lettura). La gioia, per il cristiano, dice papa Francesco, è provocata dalla buona notizia dell’Evangelo. In ogni realtà il Signore è presente e all'opera per farci vivere fino a farci risorgere.
Per questo, il brano della prima Lettera ai Tessalonicesi invita ancora a pregare e a saper ringraziare in ogni situazione. In ciascuna realtà, infatti, per quanto apparentemente contraria o contraddittoria, è presente lo Spirito («Non spegnete lo Spirito») ed è all'opera la parola di Dio («Non disprezzate le profezie»); una Parola da riconoscere rivolta soprattutto ai poveri: coloro che solo in Dio possono trovare un vero motivo di gioia, perché solo Lui, e chi veramente crede in Lui, sa prendersi cura di loro.
Questo è il vaglio attraverso il quale fare passare la nostra vita per «tenere ciò che è buono»: la vita cristiana è questa raccolta di pepite d'oro sorprendentemente scovate nei luoghi più nascosti dell'esistenza umana. A partire dal pezzo più prezioso, scoperto nella presenza di un piccolo figlio d'uomo, posto in una mangiatoia per animali, in una semplice casa, di un povero villaggio, di una regione marginale, di un paese extracomunitario.
Alberto Vianello
Fonte:www.monasteromarango.it
Briciole dalla mensa - 3° Domenica di Avvento (anno B) - 17 dicembre 2017
LETTURE Is 61,1-2.10-11 Lc 1 1Ts 5,16-24 Gv 1,6-8.19-28
COMMENTO
Chi è un testimone? E’ essenziale porsi questa domanda, visto che, per quattro volte, nel brano
evangelico, si definisce con questo termine il ruolo di Giovanni Battista in riferimento al Signore che viene. Prima di tutto, il testimone è uno che racconta qualcosa che ha vissuto o visto direttamente: non ripete ciò che ha sentito dire, non esprime la sua convinzione di come siano andate le cose! Giovanni è l'amico dello sposo, che «è presente e ascolta» (Gv 3,29): è dentro la realtà e dentro i fatti, perciò ne è testimone diretto.
Ma questo non vuol dire che Giovanni sia stato per forza partecipe di qualcosa di speciale né che abbia conosciuto Cristo prima degli altri. Infatti, nel prosieguo della sua testimonianza, dirà due volte che non lo conosceva (cfr. Gv 1,31.33): invece è stato l'ascolto della parola di Dio che ha reso vigile il suo sguardo e capace, quindi, di cogliere la presenza di Colui che viene, e di prepararne e annunciarne la venuta. Ancora meglio, il Vangelo di Luca dice che «la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,2): è stato conquistato dalla Parola, così da diventare autentico testimone del Cristo.
Oggi abbiamo particolarmente bisogno di testimoni, che mostrino Cristo «in mezzo a noi». Ma non è lo zelo religioso e la perfezione morale a rendere un credente anche testimone: bisogna lasciarsi prendere dalla parola di Dio, attraverso il suo ascolto assiduo e amante.
In secondo luogo, la testimonianza ha bisogno di una grande umiltà. E infatti Giovanni continua a ripetere: «Io non sono... non lo sono... io non sono degno...». Egli sa che solo diminuendo se stesso può essere veramente testimone di Cristo («Lui deve crescere; io, invece, diminuire», Gv 3,30).
Così Giovanni risulta essere una figura molto provocante per un mondo come il nostro nel quale domina l'arroganza di chi coglie una realtà (spesso molto parziale e faziosa) e la "spara" sugli altri per accreditare se stesso e comprarsi la fiducia delle persone. Giovanni, invece, pare essere contrario a tutte le strategie di comunicazione: nasconde il mezzo (se stesso) e punta tutto sul contenuto. Oltre a tutto, alle brave persone religiose della città che vanno da lui, si presenta con la ruvidezza della sua vita essenziale (vedi il Vangelo di domenica scorsa). Giovanni non risulta molto interessato alla comunicazione, invece è totalmente preso e appassionato per il Signore e per la sua venuta a portare la salvezza per tutti. Per questo ne diventa un testimone autentico e limpidissimo. Chi ama qualcuno, si dimentica di sé e parla solo dell'altro: così fa Giovanni.
In terzo luogo, la testimonianza porta a esporre senza riserve se stessi fino essere disposti a dare anche la propria vita: in greco, la parola «testimonianza» è martyrìa. Infatti, Giovanni subisce una vera e propria indagine giudiziale da parte dei capi religiosi. Il suo battesimo «nell'acqua» è confessione del bisogno di cambiar vita per vivere una fede autentica. E così Giovanni stesso vive la prova del suo battesimo: avendo denunciato l'iniquità del potere di Erode (autenticità della sua fede) verrà messo in carcere e subirà la pena capitale (immersione nella morte). Il testimone deve essere coerente fino alla fine, pagando anche con la propria vita, per mantenere l'autenticità della propria testimonianza.
La testimonianza del Battista rivela la presenza nascosta dell'inviato di Dio atteso: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Se il riconoscimento avverrà solo per l'azione della parola di Dio e nella scoperta della presenza dello Spirito Santo su tale persona (cfr. Gv 1,29-34), rimane il fatto che «stare in mezzo a voi» non indica tanto una presenza geografica, quanto una normalità della sua vita. Il Messia atteso, che Giovanni viene ad annunciare e indicare, non si distingue immediatamente per delle opere esaltanti che confermino i buoni e bravi nella fede. Come rivela la prima Lettura, è un mandato da Dio «a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri» (Is 61,1). Questa sarà la presenza del Signore «in mezzo a noi», tanto da diventare il programma del ministero di Gesù (cfr. Lc 4,16-21). È una presenza che si prende cura delle ferite dei più deboli.
Forse per questo oggi il cristianesimo è scomodo e se ne vuole rimuovere addirittura i segni, a partire dal Natale: perché si fa difensore dei poveri, che la nostra società ricca ed egoista rifiuta.
La terza domenica di Avvento è anche la domenica della gioia: «Siate sempre lieti» (seconda Lettura). La gioia, per il cristiano, dice papa Francesco, è provocata dalla buona notizia dell’Evangelo. In ogni realtà il Signore è presente e all'opera per farci vivere fino a farci risorgere.
Per questo, il brano della prima Lettera ai Tessalonicesi invita ancora a pregare e a saper ringraziare in ogni situazione. In ciascuna realtà, infatti, per quanto apparentemente contraria o contraddittoria, è presente lo Spirito («Non spegnete lo Spirito») ed è all'opera la parola di Dio («Non disprezzate le profezie»); una Parola da riconoscere rivolta soprattutto ai poveri: coloro che solo in Dio possono trovare un vero motivo di gioia, perché solo Lui, e chi veramente crede in Lui, sa prendersi cura di loro.
Questo è il vaglio attraverso il quale fare passare la nostra vita per «tenere ciò che è buono»: la vita cristiana è questa raccolta di pepite d'oro sorprendentemente scovate nei luoghi più nascosti dell'esistenza umana. A partire dal pezzo più prezioso, scoperto nella presenza di un piccolo figlio d'uomo, posto in una mangiatoia per animali, in una semplice casa, di un povero villaggio, di una regione marginale, di un paese extracomunitario.
Alberto Vianello
Fonte:www.monasteromarango.it
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