Monsignor Francesco Follo,Lectio "Il Vangelo della Famiglia."

Il Vangelo della Famiglia.
Domenica fra l’Ottava di Natale:
La Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Anno B - 31 dicembre 2015

Rito Romano
1Sam 1,20-22.24-28; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52

Rito Ambrosiano
1Gv 1,1-10; Sal 96; Rm 10,8c-15; Gv 21,19c-24
III giorno dell’ottava di Natale – San Giovanni Apostolo ed Evangelista


1) Da un Tempio all’altro.
A pochissimi giorni dalla Solennità del Santo Natale, la liturgia di oggi ci fa celebrare la Santa
Famiglia di Nazareth. In questo modo siamo invitate a contemplare e imitare la vita della famiglia “terrena” di Gesù. Cosa vediamo? Il Vangelo di San Luca ci fa mostra che in questa singolare famiglia non emerge solamente la figura del Figlio di Dio, la Persona divina che assume totalmente l'umanità delle Sue creature, il Dio con noi, il Principe della Pace. L’evangelista pone in evidenza la Mamma di Gesù, Maria, e Giuseppe, lo sposo di lei, collaboratore del disegno di salvezza per gli uomini e “custode della Redenzione” (S. Giovanni Paolo II).
Come può una famiglia così unica essere di modello per le nostre famiglie. E’ un nucleo familiare solo apparentemente simile a tutti le altre, ma così irripetibile che ci spinge a pensare che è inimitabile: un Figlio che è Dio, una mamma che è la Vergine Immacolata, e un papà che è il giusto per eccellenza,
E cosi Gesù, il Dio fatto uomo, ci dà un esempio di figlio, all'interno della sua famiglia, per diventare modello per tutte le famiglie di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Gesù non ebbe fretta nel presentarsi come Messia. In una piccola cittadina della periferia dell’Impero romano, nel nascondimento di un semplice famiglia questo Figlio visse una vita normale, ma crescendo in grazia e spirito, fino al momento in cui giunse l’ora di iniziare la missione che il Padre gli aveva affidato: una missione che lo porterà alla morte e alla resurrezione, facendo di noi, da un popolo senza domani ad un popolo chiamato a seguirlo nella santità e nella gioia della pienezza della Vita, oggi e per sempre.
Guardando alla Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, credo che le nostre famiglie siano spinte ad essere sempre di più “piccole chiese domestiche”, dove Dio è presente e dove si impara a vivere, camminando alla Luce del Vangelo, la Buona Novella, come sola guida sicura, in un mondo che ha perso lo sguardo sulla Luce del Cielo e guarda solo alle luci della Terra.
Ai genitori che lo cercavano da tre giorni Gesù risponde che loro dovevano sapere che il cammino della sua vita era quello di fare ciò che sta a cuore a suo Padre,. Quindi era rimasto per tre giorni nel tempio di suo Padre, occupandosi appunto delle cose del Padre suo (cfr Lc 2, 49). Poi, siccome il Vangelo è da vivere nella quotidianità della vita, ritorna con Maria e Giuseppe nella quotidianità di Nazareth. Scese con i genitori a Nazareth e stava loro sottomesso. Lascia il Tempio per il “tempio domestico”, dove tutto era organizzato per la Sua presenza divina e dove la Sua umanità cresce in sapienza e grazia.
Il Redentore ha lasciato i maestri della Legge che insegnavano nel Tempio di Gerusalemme, per stare con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita in quella scuola speciale che è la loro casa a Nazareth. Il Figlio di Dio impara da loro l’arte di essere uomo. Guarda la mamma Maria che è teneramente forte, ma mai passiva. Guarda Giuseppe, il padre legale di Gesù, verso il quale il padre putativo ebbe “per speciale dono del Cielo, tutto quell'amore naturale, tutta quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere” (frase di Papa Pio XII citata nella Redemptoris Custos, n. 8).



2) La Santa Famiglia come scuola e modello reale e non solo ideale della famiglia.
Una vita semplice, quella di Gesù, Maria e Giuseppe, che tanto assomiglia alle nostre. Maria è la mamma, come le nostre mamme, attenta e vigile, ma soprattutto, in quanto Immacolata e quindi tutta di Dio, avrà educato il figlio al vero senso della vita, che è compiere la missione che il Padre gli aveva affidato, inviandolo tra di noi. Quindi la Casa di Nazareth non fu una scuola solamente per Gesù, ma lo è anche per noi, come insegna il B. Papa Paolo VI: “La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare” (Omelia a Nazareth, 5 gennaio 1964).
Il Vangelo di San Luca ci racconta la vita quotidiana e santa di Giuseppe e Maria che nella loro esitazione, nei loro interrogativi, nei loro atteggiamenti, nella loro debolezza, lungi dalla perfezione e dall’ideale, assomigliano a tanti genitori. Al tempo stesso sono il modello reale e originario di famiglia, dove coesistono verginità, sponsalità e genitorialità. Ora, agli sposi cristiani il Signore chiede che, mediante la nostra unione, si realizzi il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l'avvenire della famiglia. Agli sposi cristiani è chiesto di vivere nella castità matrimoniale. A questo riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: “Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [cfr Gaudium et spes, 49]” (n. 2362).
La verginità, però, in senso proprio, appartiene ai consacrati e rimanda all’eternità. Ma la verginità è pure costitutiva della famiglia originaria, quindi esiste un indissociabile legame tra noi sposi cristiani ed i consacrati per il Regno di Dio e questo legame è nella Santa Famiglia di Nazareth.
Le vergini consacrate nel mondo testimoniano che la verginità non è non avere affetti, anche se implica il rinunciare a una famiglia carnale, al rapporto fisico, per essere totalmente disponibili al compito di fecondità spirituale, ma concreta, al quale il Signore le ha chiamate. Cristo è al cuore del matrimonio cristiano e le vergini consacrate testimoniano che se si da tutto a Cristo la vita è davvero feconda. Come la Vergine Maria custodiscono nel loro cuore un mistero più grande di loro, lo portano nel mondo.
Sant’Agostino acutamente insegna l’importanza della maternità spirituale non in contrasto con maternità carnale: “La Chiesa ricopia gli esempi della madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre e vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci della sua integrità? E, se non fosse madre, di chi sarebbero figli coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di quel capo. Nell’una e nell’altra la verginità non ostacola la fecondità; nell'una e nell'altra la fecondità non toglie la verginità. La Chiesa è, tutt’intera, santa nel corpo e nell'anima, ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è nell’anima. Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle sue membra che conservano la verginità nel corpo e nell'anima? Un giorno - racconta il Vangelo - la madre e i fratelli di Gesù (cioè i suoi cugini) si fecero annunziare, ma rimasero fuori casa perché la folla non permetteva loro di avvicinarsi [al Maestro]. Gesù uscì in queste parole: Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli? E stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco i miei fratelli! Poiché, chiunque fa la volontà del Padre mio, questi è mio fratello e madre e sorella” (La Santa Verginità, 2.2-3.3).
Le Vergini consacrate mostrano che l’esempio di Maria, Vergine e Madre, è attuale e praticabile anche oggi e sono chiamate a vivere una maternità di Grazia.
Maria ha aperto la strada a tutte le donne che, al suo seguito, accoglieranno la chiamata divina a dare tutto il loro cuore al Signore nella verginità. Certo, non sono chiamate solo le donne alla vita verginale; va ricordato che Cristo si è impegnato egli stesso in questa via e vi ha impegnato anche i suoi apostoli.
Tuttavia, l’espressione “sposarsi con Dio”, conviene di più alla donna. Le vergini cristiane sono state considerate, fin dall'antichità, come spose di Cristo. Si può dire che esse rappresentano, nella maniera più appropriata e più completa, la qualità di sposa di Cristo che si attribuisce alla chiesa. Nelle vergini consacrate si personifica questa relazione di sposa con il Cristo.

Lettura Patristica
Origene
In Luc., 19, 2-7


       Dice il Vangelo che «cresceva». Si era infatti "umiliato assumendo la natura del servo" (Ph 2,7), e con la stessa potenza con la quale «si era umiliato» cresce. Era apparso debole, perché aveva assunto un corpo debole, ed è proprio per questo che nuovamente si fortifica. Il Figlio di Dio si era umiliato e per questo è poi ricolmato di sapienza. «E la grazia di Dio era su di lui». Egli aveva la grazia di Dio non quando raggiunse l’adolescenza, non quando insegnava apertamente, ma anche quando era ancora fanciullo; e come ogni cosa in lui era ammirabile, così lo fu anche la sua fanciullezza, fino al punto da possedere la pienezza della sapienza di Dio.

       "Andavano dunque i suoi genitori, secondo la consuetudine, a Gerusalemme per celebrare il giorno della Pasqua. Gesù aveva dodici anni" (Lc 2,41-42). Osserva con attenzione che, prima di aver compiuto i dodici anni, era ricolmato della sapienza di Dio e degli altri doni di cui si parla nel Vangelo. Quando ebbe dunque compiuto - come abbiamo detto - i dodici anni, e furono celebrati, secondo il costume, i giorni della solennità, e quando i parenti erano sulla via del ritorno, "il fanciullo rimase a Gerusalemme senza che i suoi genitori se ne accorgessero" (Lc 2,43). Comprendi che qui c’è qualcosa di sublime che varca i limiti della natura umana. Infatti non «rimase» semplicemente mentre i suoi genitori non sapevano dove fosse; ma, allo stesso modo in cui nel Vangelo di Giovanni (cf. Jn 8,59 Jn 10,39) è detto che allorquando i Giudei lo insidiavano egli sfuggì di mezzo a loro senza farsi vedere, così credo che ora il fanciullo sia rimasto a Gerusalemme, mentre i suoi genitori non sapevano dove fosse rimasto. E non dobbiamo stupirci di sentir chiamare genitori coloro che avevano meritato il titolo di madre e padre, l’una per averlo partorito, e l’altro per la devozione paterna.

       Continua: «Noi ti cercavamo addolorati». Non credo che essi si siano addolorati perché credevano che il fanciullo si fosse perduto o fosse morto. Non poteva accadere che Maria, la quale sapeva di averlo concepito dallo Spirito Santo, che era stata testimone delle parole dell’angelo, della premura dei pastori e della profezia di Simeone, nutrisse il timore di aver perduto il fanciullo che si era smarrito. Si deve assolutamente scartare un simile timore dalla mente di Giuseppe al quale l’angelo aveva ordinato di prendere il fanciullo e di andare in Egitto, di Giuseppe che aveva sentito le parole: "Non temere di prendere Maria in sposa, perché colui che è nato da lei è frutto dello Spirito Santo" (Mt 1,20): non poteva temere di aver perduto il fanciullo, che sapeva essere Dio. Il dolore e la sofferenza dei genitori ci suggeriscono un senso diverso da quello che può intendere il lettore comune.

       Così come tu, se qualche volta leggi la Scrittura, ne cerchi il significato con dolore e tormento, non perché pensi che la Scrittura abbia sbagliato, oppure che essa contenga qualcosa di falso, ma perché essa ha in sé una verità spirituale e tu non sei capace di scoprire questa verità; ebbene è proprio in questo modo che essi cercavano Gesù, temendo che egli si fosse allontanato da loro, che li avesse abbandonati e fosse andato altrove, e che -questa soprattutto è la mia opinione - fosse tornato in cielo per discenderne di nuovo un’altra volta quando gli fosse piaciuto.

       «Addolorati», dunque, cercavano il Figlio di Dio. E cercandolo, non lo trovarono «tra i parenti». La famiglia umana non poteva infatti contenere il Figlio di Dio. Non lo trovarono tra i conoscenti, perché la potenza divina sorpassa qualsiasi conoscenza e scienza umana. Dove lo trovano dunque? «Nel tempio»; lì si trova infatti il Figlio di Dio. Quando anche tu cercherai il Figlio di Dio, cercalo dapprima nel tempio, affrettati ad andare nel tempio, ed ivi troverai il Cristo, Verbo e Sapienza, cioè Figlio di Dio.

       Siccome era ancora piccolo, è trovato «in mezzo ai dottori» mentre li santificava e li ammaestrava. Siccome, ripeto, era piccolo, egli sta «in mezzo» a loro, non insegnando, ma interrogando, e fa così perché noi, considerando la sua età, apprendiamo che ai fanciulli conviene - anche se sono sapienti ed eruditi - ascoltare i maestri piuttosto che voler insegnare loro, evitando cioè di mettersi in mostra con vana ostentazione. Interrogava i maestri - io dico - non per imparare qualche cosa, ma per istruirli interrogandoli. Dalla stessa sorgente della dottrina derivano infatti sia l’interrogare che il rispondere sapientemente; è caratteristica della stessa scienza sapere che cosa chiedere e che cosa rispondere. Era necessario che dapprima il Salvatore c’insegnasse come porre sagge domande, e poi come rispondere alle questioni secondo la sapienza e la Parola di Dio.

Fonte:http://francescofolloit.blogspot.it/

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