P. Marko Ivan Rupnik, Commento Domenica della Santa Famiglia di Nazareth
Domenica della Santa Famiglia di Nazareth
Lc 2,22-40
Congregatio pro Clericis
Il senso teologico della festa di oggi, collocata nell’ottava di Natale, si collega strettamente con il
mistero della nascita di Cristo che abbiamo appena celebrato. Non si tratta affatto di un moralismo di cui si è tanto caricata la famiglia, ma di recuperare quella visione patristica per cui con il battesimo siamo innestati nella vita di Cristo e tutta la vita dell’uomo è un passaggio dal biologico allo spirituale, dal carnale allo spirituale. La vita vecchia, quella della carne, cercherà sempre di prevalere sullo Spirito, ma per questo Cristo si è incarnato e il nostro cammino è questa estasi, questo passaggio continuo da un amore carnale verso un amore spirituale, libero, verso l’amicizia. Se il nostro epicentro è la vita secondo la carne allora l’uomo viene spezzato, non viene preso nella sua totalità. Se il nostro epicentro è lo Spirito, questo attira e coinvolge nella sua stessa vita anche quella della carne. La vita secondo lo Spirito non si realizza se non includendo quella del corpo, anzi si realizza nel corpo e tramite il corpo. La famiglia stessa è dunque un passaggio verso una integrazione dell’uomo, è un’apertura verso un’esperienza dell’amore assoluto di Dio. Per noi cristiani la famiglia è fondata nel sacramento del matrimonio e perciò in essa rimane questo sigillo ecclesiale, una dimensione di relazionarsi spirituale. È il luogo dove si vive secondo Cristo.
Così pure per la famiglia di Nazaret che in qualche modo pure ha dovuto fare un passaggio a causa di Cristo, un passaggio dalla legge alla grazia per capire che in Lui è venuta la grazia, e ha superato la legge di Mosè. Maria e Giuseppe vanno al tempio “per la loro purificazione” (Lc 2,22) ed è già strano questo perché di per sé era solo la donna che si doveva purificare dopo il parto (cf Lv 12; Es 13; Nm 8) e quando pure loro “hanno adempiuto tutto ciò che dice la legge” (Lc 2, 39), quando, nonostante colui che presentano al tempio sia il Figlio di Dio, non tralasciano nessuna delle pratiche religiose che la legge imponeva, si presenta qualcuno che invece è proprio in una scia opposta, totalmente nel vento dello Spirito Santo. Simeone prende questo Bambino e pronuncia una serie di citazioni di Isaia che sono tutte del compimento dell’attesa, della universalità, non è una cosa per Israele, questa è la gloria di Israele ma è la rivelazione della luce a tutti i popoli del mondo. È l’incontro – e così in Oriente è chiamata questa festa - tra tante cose, ma non ultimo tra la legge e lo Spirito. Tra la Parola e la sua realizzazione, tra l’Antico ed il Nuovo. È proprio ciò che è il passaggio della vita cristiana.
Ancora più interessante è l’incontro con Anna, della tribù di Aser, l’unica delle dodici tribù che si è perduta, assorbita nel ricco territorio pagano di Haifa. È molto intensa la simbologia che si riferisce a lei, 84 è sette volte il 12, dunque la completezza delle tribù di Giacobbe, in questa unica donna di Aser che è rimasta fedele: sette anni è stata sposata e poi non più, la tribù si è persa, apparteneva al Signore e poi si è perduta, ma lei è rimasta fedele e alla fine ecco lo Sposo a cui lei è rimasta fedele, è lì. In questo amore sponsale che lì trova compimento c’è il superamento della legge.
La spada di cui parla Simeone è il simbolo di questo passaggio che dovrà avvenire anche in Maria. Da madre a discepola, dalla legge allo Spirito, nella comprensione, nella mentalità, come si vede in una serie di eventi che i vangeli registrano (cf Mc 3,21) ma che certamente Simeone inaugura e allo stesso tempo conclude. Lui ha riconosciuto il Salvatore, Colui che apre, che strapperà il velo, perciò può dire: ‘Congeda ora il tuo servo, che vada verso la pace, verso la morte’.
La salvezza che i suoi occhi hanno visto è che si è compiuta la Parola, il passaggio è avvenuto. Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (cf Is 9,1-6) che fa diventare figli anche noi, perché possiamo conoscere il Padre, colui dal quale ogni paternità prende nome, nei cieli e sulla terra (cf Ef 3,15).
P. Marko Ivan Rupnik
Lc 2,22-40
Congregatio pro Clericis
Il senso teologico della festa di oggi, collocata nell’ottava di Natale, si collega strettamente con il
mistero della nascita di Cristo che abbiamo appena celebrato. Non si tratta affatto di un moralismo di cui si è tanto caricata la famiglia, ma di recuperare quella visione patristica per cui con il battesimo siamo innestati nella vita di Cristo e tutta la vita dell’uomo è un passaggio dal biologico allo spirituale, dal carnale allo spirituale. La vita vecchia, quella della carne, cercherà sempre di prevalere sullo Spirito, ma per questo Cristo si è incarnato e il nostro cammino è questa estasi, questo passaggio continuo da un amore carnale verso un amore spirituale, libero, verso l’amicizia. Se il nostro epicentro è la vita secondo la carne allora l’uomo viene spezzato, non viene preso nella sua totalità. Se il nostro epicentro è lo Spirito, questo attira e coinvolge nella sua stessa vita anche quella della carne. La vita secondo lo Spirito non si realizza se non includendo quella del corpo, anzi si realizza nel corpo e tramite il corpo. La famiglia stessa è dunque un passaggio verso una integrazione dell’uomo, è un’apertura verso un’esperienza dell’amore assoluto di Dio. Per noi cristiani la famiglia è fondata nel sacramento del matrimonio e perciò in essa rimane questo sigillo ecclesiale, una dimensione di relazionarsi spirituale. È il luogo dove si vive secondo Cristo.
Così pure per la famiglia di Nazaret che in qualche modo pure ha dovuto fare un passaggio a causa di Cristo, un passaggio dalla legge alla grazia per capire che in Lui è venuta la grazia, e ha superato la legge di Mosè. Maria e Giuseppe vanno al tempio “per la loro purificazione” (Lc 2,22) ed è già strano questo perché di per sé era solo la donna che si doveva purificare dopo il parto (cf Lv 12; Es 13; Nm 8) e quando pure loro “hanno adempiuto tutto ciò che dice la legge” (Lc 2, 39), quando, nonostante colui che presentano al tempio sia il Figlio di Dio, non tralasciano nessuna delle pratiche religiose che la legge imponeva, si presenta qualcuno che invece è proprio in una scia opposta, totalmente nel vento dello Spirito Santo. Simeone prende questo Bambino e pronuncia una serie di citazioni di Isaia che sono tutte del compimento dell’attesa, della universalità, non è una cosa per Israele, questa è la gloria di Israele ma è la rivelazione della luce a tutti i popoli del mondo. È l’incontro – e così in Oriente è chiamata questa festa - tra tante cose, ma non ultimo tra la legge e lo Spirito. Tra la Parola e la sua realizzazione, tra l’Antico ed il Nuovo. È proprio ciò che è il passaggio della vita cristiana.
Ancora più interessante è l’incontro con Anna, della tribù di Aser, l’unica delle dodici tribù che si è perduta, assorbita nel ricco territorio pagano di Haifa. È molto intensa la simbologia che si riferisce a lei, 84 è sette volte il 12, dunque la completezza delle tribù di Giacobbe, in questa unica donna di Aser che è rimasta fedele: sette anni è stata sposata e poi non più, la tribù si è persa, apparteneva al Signore e poi si è perduta, ma lei è rimasta fedele e alla fine ecco lo Sposo a cui lei è rimasta fedele, è lì. In questo amore sponsale che lì trova compimento c’è il superamento della legge.
La spada di cui parla Simeone è il simbolo di questo passaggio che dovrà avvenire anche in Maria. Da madre a discepola, dalla legge allo Spirito, nella comprensione, nella mentalità, come si vede in una serie di eventi che i vangeli registrano (cf Mc 3,21) ma che certamente Simeone inaugura e allo stesso tempo conclude. Lui ha riconosciuto il Salvatore, Colui che apre, che strapperà il velo, perciò può dire: ‘Congeda ora il tuo servo, che vada verso la pace, verso la morte’.
La salvezza che i suoi occhi hanno visto è che si è compiuta la Parola, il passaggio è avvenuto. Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (cf Is 9,1-6) che fa diventare figli anche noi, perché possiamo conoscere il Padre, colui dal quale ogni paternità prende nome, nei cieli e sulla terra (cf Ef 3,15).
P. Marko Ivan Rupnik
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