fr. Massimo Rossi,Commento V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Commento su Marco 1,29-39
fr. Massimo Rossi  
V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/02/2018)
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A modo di avvio, vorrei riprendere insieme con voi l'orazione che ha introdotto le Letture: O Dio, che
nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove, perché sull'esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva: Dio si accosta a tutti coloro che soffrono, ok, ma in che modo, in quale veste, e con quale intendimento?

Il modo, la veste è quella del Crocifisso; l'intendimento è quello di farci capire che la sofferenza rende simili, rende conformi a Cristo; la somiglianza, la conformità a Cristo crocifisso è la condizione per divenire conformi a Lui anche nella gloria futura.

Addirittura, secondo la teologia di Giovanni, non c'è gloria senza croce; di più: non c'è gloria ulteriore rispetto alla croce. La gloria di Cristo è la croce!

Certo, ci vuole una gran fede per accettare senza protestare, o quantomeno senza obbiettare, questa singolare dinamica, con la quale Dio si è accostato a noi: più che farci simili a Lui, è stato Lui a farsi simile a noi, soprattutto nel dolore.

Potremmo discutere a lungo sul mistero del dolore e non se ne esce...

Il dolore è talmente radicato nella natura creata, che neppure il Verbo di Dio incarnato è stato capace di evitarlo per sé. E neppure la definizione metafisica del dolore come imperfezione somma, rispetto alla perfezione assoluta che caratterizza la persona di Dio, si può più sostenere, da quando, appunto, Dio ha assunto la nostra stessa carne mortale. Da quel momento, la sofferenza, questa imperfezione somma dell'uomo, è anche in Dio!

Visto che il mistero del dolore non si può illuminare, e rimane un mistero, proviamo a chiederci perché Dio ha accettato il dolore per sé; risposta: per amore! Obiezione alla risposta: forse che prima dell'incarnazione, Dio non ci amava? C'è modo e modo di amare!

C'è il modo del filantropo, il quale versa cospicue somme di danaro e profonde energie per finanziare e sostenere iniziative umanitarie... e tutto questo è assai lodevole.

Ma il filantropo rimane a casa sua, non si mescola con i poveri, con i malati, con gli emarginati,... non si immedesima, non diventa uno di loro; tuttavia, ripeto, li ama, a modo suo li ama.

Il modo di amare di Cristo è radicalmente diverso: Cristo ha azzerato le distanza tra Lui e noi! Cristo è diventato uno di noi! Cristo si è completamente assimilato a coloro che tra noi vivono nelle peggiori condizioni: emarginazione, sofferenza fisica e non fisica, solitudine, abbandono,... Al capitolo 25 del Vangelo di Matteo, troviamo l'elenco completo di coloro che Cristo ha voluto considerare un altro sé.

Ma il discorso della fede non si ferma alla persona di Cristo: per essere autentici cristiani, non basta credere che Cristo si è fatto uno di noi, cioè uno di loro - malato, straniero, affamato, assetato, carcerato, nudo -: per essere cristiani D.O.C. è necessario amarli, questi malati, questi stranieri, questi affamati e assetati, questi carcerati...

È necessario amare Cristo in loro! o meglio: amare loro, in quanto loro; e amandoli così, amare Cristo.

Una seconda verità che apprendiamo dal Vangelo di oggi è contenuta nelle ultime righe: “Tutti ti cercano!” ed Egli rispose: “Andiamocene...”. Una risposta spiazzante, converrete; ma il senso è chiaro: il Figlio di Dio non è venuto nel mondo per risolvere in modo definitivo tutti i nostri problemi; ma per indicare la via della loro soluzione. “Io sono la via, la verità e la vita”, dice il Signore: significa: “Fate quello che ho fatto io e fatelo come l'ho fatto io!”.

Poteva fare di più? No, più di così... più che morire per noi, cosa poteva fare?

Del resto, lo aveva dichiarato durante la cena di addio: “Non c'è amore più grande: morire per i propri amici!”. Anche in questo, Cristo è un esempio per noi: le sue parole sono sempre confermate e avvalorate dai fatti. Ecco perché diciamo che la Passione di Cristo funziona da faro, il quale proietta la sua luce di verità sui suoi insegnamenti, sulle sue scelte.

Terza e ultima verità: Gesù andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni; il Figlio del falegname si tenne sempre prudentemente a distanza dai centri di potere religioso e politico, tanto per intenderci, da Gerusalemme.

Ora, io non voglio dire che Dio non lo si trova a San Pietro... Ma, forse - anzi, senza forse - a Regina Cœli di Roma, a San Vittore di Milano, oppure alle Molinette, a San Salvario, o alle Vallette di Torino,... possiamo avere più probabilità di incontrarlo...
Ora è tutto un po' più chiaro.

E ricordiamoci che tutto il bene che avremo compiuto in nome di Cristo, non ci ritornerà indietro in termini di gratitudine, ma servirà da fondamento per realizzare altro bene, da parte nostra, o di coloro che da noi l'avranno ricevuto.

La legge del dono si differenzia da ogni altra legge che spinge a fare il bene, perché il dono non è mai dovuto, ma assolutamente gratuito; nessun vincolo alla restituzione, nessun dovere di sdebitarsi - Buon Samaritano docet -.

“Va e anche tu fa' altrettanto”, dice il Signore (Lc 10,37).

Fonte:www.qumran2.net

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