Giulio Michelini ofm, Commento al vangelo della II domenica del Tempo Ordinario

Commento al vangelo della II domenica del Tempo Ordinario, a cura di Giulio Michelini
GENNAIO 13, 2018
– Gv 1,35-42

– Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così,
seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.



Di testimonianza in testimonianza

Prima di passare alla proclamazione continua del Vangelo secondo Marco, come già nel passato anno liturgico, anche quest’anno, proprio in questo periodo, e dopo il Battesimo di Gesù, la lettura evangelica odierna si sofferma sulla testimonianza del Battista. O meglio, essa è come un pretesto per passare alla scena seguente, quella della chiamata dei primi discepoli secondo il racconto giovanneo. Come è facile da vedere, la vocazione dei primi discepoli, nella versione raccontata dal Vangelo secondo Giovanni, differisce dal resoconto dei sinottici. Ciò che la caratterizza è soprattutto la domanda di Gesù a chi oramai lo sta seguendo, ma non dimentichiamo il fatto che qui Giovanni, in qualche modo, si “tira indietro”.

Quello che succede col suo gesto è straordinariamente esemplare. Dice di un uomo che non si limita a dare testimonianza con le parole, ma che con i fatti è conseguente a quello che dice. Già prima – nella scena che precede il vangelo di oggi – Giovanni aveva proclamato pubblicamente che Colui che stava passando era l’agnello di Dio. Ora, nel rivederlo, il giorno seguente (Gv 1,35), ha preso una decisione. Giovanni è capace di lasciare che i suoi discepoli seguano, d’ora in poi, Gesù. Giovanni non lascia il suo ministero di predicazione e testimonianza, ma permette che i suoi discepoli, quelli che lo avevano seguito, che aveva preparato con cura, che aveva istruito su come pregare (cf. Lc 11,1) o su come digiunare (cf. Mc 2,18), quelli a cui si era affezionato, quelli che gli davano forse sicurezza, perché lo riconoscevano come la loro guida, ecco, lascia che questi seguano ora un Altro.

Dopo che i discepoli sentono il Battista parlare così, seguono Gesù, e gli fanno una domanda: «Rabbì, dove dimori (poû méneis)?». Questa domanda svela da una parte non soltanto la dimensione ordinaria per Israele del rapporto allievo-maestro (i discepoli spesso abitavano con il loro rabbino per apprendere la sapienza dalla sua stessa vita) ma soprattutto una dimensione più profonda; l’avverbio «dove» infatti nel Quarto vangelo, se riferito a Gesù, ha sempre a che fare con la sua identità, con la sua origine, così come il verbo ménō, che è meglio tradurre – come ora la versione CEI opportunamente fa – con «dimorare», piuttosto che “abitare”. Questo verbo è caratteristico della Scuola giovannea, e dice appunto il dimorare, il restare, il resistere, il rimanere fermo, ed è usato, ad esempio, per dire come lo Spirito discese e rimase su Gesù (Gv 1,32) o come i suoi discepoli devono rimanere in lui (Gv 15,7). Il verbo è lo stesso col quale i discepoli domandano al Maestro «dove dimora» (Gv 1,39) e per dire che essi erano «rimasti» con Gesù quel giorno (Giovanni 1,39).

La risposta di Gesù – le sue prime parole nel Vangelo secondo Giovanni sono non un invito (come il “Seguitemi”, di Mc 1,17) ma, nello stile del dialogo rabbinico, una domanda: «Chi – che cosa – cercate?». Diversamente dalle sue prime parole negli altri vangeli, dove Gesù dichiara di voler compiere ogni pratica giudaica di giustizia (Matteo, Mt 3,15), dove annuncia il Regno di Dio (Marco, Mc 1,15), o dove afferma – ancora adolescente – di voler compiere la volontà del Padre suo (Luca, Lc 2,49), qui abbiamo la prima cosa che dovrebbe essere chiesta a ciascuno che si avvicina a Gesù, la domanda che ogni giorno il cristiano dovrebbe porsi.

Il modo in cui sono chiamati i primi discepoli dice molto anche della vocazione cristiana, non solo quella di speciale consacrazione, ma quella di ogni uomo o donna. La testimonianza portata da Giovanni dà il via ad una interminabile serie di annunci, come in un passa-parola che porta salvezza: Andrea parla col fratello, e non può fare a meno di dire: «Abbiamo incontrato il Messia» (Gv 1,41), e questi parla poi con altri. È in tale modo che Gesù viene ancora conosciuto, e continua così anche la vita della Chiesa, perché i credenti, come è scritto nella finale del Vangelo di Matteo, ancora oggi sono capaci di “andare, fare discepoli fra tutti i popoli, battezzandoli, e insegnare loro” (cf. Mt 28,19-20). Solo così Gesù può ancora essere l’Emmanuele, il Dio con noi, fino alla fine del tempo, solo se qualcuno ancora lo annuncia, se gli rende testimonianza, se lo mostra vivo e presente nella sua vita.

La pagina di oggi è stata scelta da papa Francesco come icona di riferimento del prossimo Sinodo dei Vescovi sui giovani. Invitiamo perciò a rileggere il documento preparatorio del Sinodo, rivolta ai giovani, che riportiamo ora nella parte che riguarda il nostro testo, e che è centrata sulla figura del “Discepolo amato”.



Da: XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, “I giovani, la fede e
il discernimento vocazionale”, Documento preparatorio

Sulle orme del discepolo amato

Offriamo come ispirazione al percorso che inizia un’icona evangelica: Giovanni, l’apostolo. Nella lettura tradizionale del Quarto Vangelo egli è sia la figura esemplare del giovane che sceglie di seguire Gesù, sia «il discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23; 19,26; 21,7).

«Fissando lo sguardo su Gesù che passava, [Giovanni il Battista] disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,36-39).

Nella ricerca del senso da dare alla propria vita, due discepoli del Battista si sentono rivolgere da Gesù la domanda penetrante: «Che cercate?». Alla loro replica «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?», segue la risposta-invito del Signore: «Venite e vedrete» (vv. 38-39). Gesù li chiama al tempo stesso a un percorso interiore e a una disponibilità a mettersi concretamente in movimento, senza ben sapere dove questo li porterà. Sarà un incontro memorabile, tanto da ricordarne perfino l’ora (v. 39).

Grazie al coraggio di andare e vedere, i discepoli sperimenteranno l’amicizia fedele di Cristo e potranno vivere quotidianamente con Lui, farsi interrogare e ispirare dalle sue parole, farsi colpire e commuovere dai suoi gesti.

Giovanni, in particolare, sarà chiamato a essere testimone della Passione e Resurrezione del suo Maestro. Nell’ultima cena (cfr. Gv 13,21-29), la sua intimità con Lui lo condurrà a reclinare il capo sul petto di Gesù e ad affidarsi alla Sua parola. Nel condurre Simon Pietro presso la casa del sommo sacerdote, affronterà la notte della prova e della solitudine (cfr. Gv 18,13-27). Presso la croce accoglierà il profondo dolore della Madre, cui viene affidato, assumendosi la responsabilità di prendersi cura di lei (cfr. Gv 19,25-27). Nel mattino di Pasqua egli condividerà con Pietro la corsa tumultuosa e piena di speranza verso il sepolcro vuoto (cfr. Gv 20,1-10). Infine, nel corso della straordinaria pesca presso il lago di Tiberiade (cfr. Gv 21,1-14), egli riconoscerà il Risorto e ne darà testimonianza alla comunità.

La figura di Giovanni ci può aiutare a cogliere l’esperienza vocazionale come un processo progressivo di discernimento interiore e di maturazione della fede, che conduce a scoprire la gioia dell’amoree la vita in pienezza nel dono di sé e nella partecipazione all’annuncio della Buona Notizia.

Fonte:http://www.lapartebuona.it

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