ORDINE DEI CARMELITANI,Lectio "Venite e vedrete"
Lectio: Domenica, 14 Gennaio, 2018
Venite e vedrete
La chiamata dei primi discepoli
Giovanni 1, 35-42
1. Orazione iniziale
Pastore buono, Padre mio, tu anche oggi scendi dai monti eterni e porti con te il tuo gregge e lo
conduci verso i pascoli verdeggianti, di erbe fresche, di acque buone. Tu oggi mandi avanti a te la tua pecora prediletta, l’Agnello che ami di incommensurabile amore; Tu ci doni il tuo Figlio Gesù, il Messia. Eccolo, è qui. Ti prego, aiutami a riconoscerlo, a fissare su di Lui il mio sguardo, il mio desiderio, la mia attesa. Fa’ che io lo segua, che non mi distacchi da Lui, che entri a casa sua e lì rimanga, per sempre. La sua casa, o Padre, sei Tu stesso. In te io voglio entrare, voglio vivere. Il soffio del tuo santo Spirito mi attiri, mi sospinga e mi unisca in amore a Te e al Figlio tuo, il mio Signore, oggi e per tutti i secoli dei secoli. Amen.
2. Lettura
a) Per inserire il brano nel suo contesto:
Questo brano ci immette all’inizio della narrazione evangelica di Giovanni, scandita dal susseguirsi di una settimana, giorno dopo giorno. Qui siamo già al terzo giorno da quando Giovanni il Battista ha iniziato a dare la sua testimonianza su Gesù, giunta ormai a pienezza, con l’invito ai discepoli a seguire il Signore, l’Agnello di Dio. In questi giorni si inaugura il ministero di Gesù, Parola del Padre che scende in mezzo agli uomini per incontrarli e parlare con loro e dimorare in mezzo a loro.
Il luogo è Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni battezzava: qui avviene l’incontro col Verbo di Dio e inizia la vita nuova.
b) Per aiutare nella lettura del brano:
vv. 35-36: Giovanni Battista vive un’esperienza fortissima di incontro con Gesù; infatti è precisamente qui, al terzo giorno, che egli lo riconosce pienamente, che lo proclama con tutte le forze e lo indica come vera via da seguire, come vita da vivere. Qui Giovanni diminuisce fino a scomparire e giganteggia come testimone della luce.
vv. 37-39: Avendo accolto la testimonianza del loro maestro, i discepoli di Giovanni cominciano a seguire Gesù; dopo aver ascoltato la voce, essi incontrano la Parola e si lasciano da essa interrogare. Gesù li guarda, li conosce e inizia il suo dialogo con loro. Egli li porta con sé, li introduce nel luogo della sua dimora e li fa stare con Lui. L’evangelista registra l’ora precisa di questo incontro faccia a faccia, di questo scambio di vita tra Gesù e i primi discepoli.
vv. 40-42: Subito la testimonianza divampa; Andrea non può tacere ciò che ha udito e visto, ciò che ha sperimentato e vissuto e diventa subito missionario, chiamando suo fratello Pietro all’incontro con Gesù. Egli, fissando il suo sguardo su quell’uomo, lo chiama e trasforma la sua vita: era Simone, ora è diventato Pietro.
c) Il testo:
Giovanni 1, 35-4235Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» 42e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)».
3. Un momento di silenzio orante
Prendo il mio cuore, il mio intimo e mi conduco ancora più in profondità nelle parole di questo vangelo; entro nel luogo e nel tempo in cui il Signore passa, guarda, parla, chiama, interroga, invita, fa entrare, cambia il nome, cambia la vita e fa risorgere. Quanto accadde quel giorno sulle rive del fiume Giordano, oggi accade anche qui, per me, in me. Sto in silenzio e lascio che queste parole così semplici, ma potenti, mi avvolgano, prendendo possesso della mia vita. Lascio che Gesù, venendo, fissi su di me il suo sguardo, lascio che mi chieda, come a loro: “Che cerchi?” e lascio che mi porti con sé, a casa sua. Perché, sì, voglio dimorare presso di Lui…
4. Alcune domande
Cerco, ora, di ascoltare ancora meglio questo brano, raccogliendo ogni parola, ogni verbo, stando attento ai movimenti, agli sguardi. Cerco di incontrare davvero il Signore in questa pagina, lasciandomi scrutare e conoscere da Lui.
a) “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là”.
Sento, in queste parole, l’insistenza della ricerca, dell’attesa; sento la fede di Giovanni Battista che cresce. I giorni stanno passando, l’esperienza dell’incontro con Gesù si intensifica: Giovanni non molla, non si stanca, anzi, diventa sempre più sicuro, più convinto, luminoso. Lui sta, rimane. Mi viene in mente un passo della lettera agli Ebrei, che può illuminare la mia mente, in questo momento: “Non abbandonate la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa. Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e non tarderà. Il mio giusto vivrà mediante la fede; ma se indietreggia, la mia anima non si compiace in lui. Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima”. Mi pongo a confronto con queste parole e con la figura del Battista: io sono uno che sta, che rimane? Oppure indietreggio, mi stanco, mi infiacchisco e lascio che la mia fede si spenga? Io sto, o mi siedo, attendo o non spero più?
b) “Fissando lo sguardo su Gesù”.
Qui c’è un verbo bellissimo, che significa “guardare con intensità”, “penetrare con lo sguardo” e viene ripetuto anche al v. 42, riferito a Gesù, che guarda Pietro per cambiargli la vita. Molte volte, nei vangeli, è detto che Gesù fissa il suo sguardo sui discepoli (Mt 19, 26), o su una persona in particolare (Mc 10, 21); sì, Lui fissa per amare, per chiamare, per illuminare. Il suo sguardo non si stacca mai da noi, da me. So che posso trovare pace solo ricambiando questo sguardo, come ha fatto Stefano (At 7, 55). La Parola stessa mi invita così: “Fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate bene lo sguardo in Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo” (Eb 3, 1). Come posso far finta di non udire? Perché continuare a volgere il mio sguardo di qua e di là, sfuggendo l’amore del Signore, che si è posato su di me e mi ha scelto? “Guardate a Lui e sarete raggianti; non saranno confusi i vostri volti”, dice il salmo ed è proprio vero. Chiudo gli occhi e guardo nel profondo del mio cuore: lì incontro il Signore; guardo nel volto dei fratelli: lì è Lui; guardo con attenzione e nella preghiera gli eventi della storia di oggi: Lì trovo ancora Cristo, il vivente risorto. E prego così: “Aprimi gli occhi, Signore, perché io veda le meraviglie della tua legge. Distogli i miei occhi dalle cose vane, fammi vivere sulla tua via” (Sal 118, 18. 37). Sì, mi decido: “Io tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede” (Sal 24, 15). Grazie, Signore Gesù, grazie mia luce!
c) “Seguirono Gesù”.
Questa espressione, riferita ai discepoli, non significa solamente che essi cominciano a camminare nella stessa direzione di Cristo, ma molto di più: che essi si consacrano a Lui, che impegnano la loro vita con Lui, per Lui. Come è detto delle pecore: esse conoscono e ascoltano la voce del Pastore e lo seguono (Gv 10, 4. 27). Mi chiedo se veramente io sto seguendo il Signore, se sto camminando nella sua stessa direzione, stando attento a porre i miei piedi sulle orme che Lui lascia dietro a Sé. Mi chiedo se davvero conosco e riconosco la sua voce che mi parla in mille modi, ogni giorno, senza stancarsi. E’ Lui che prende l’iniziativa, lo so e che mi dice: “Tu seguimi”, come al giovane ricco (Mt 19, 21), come a Pietro (Gv 21, 22); ma io, come rispondo, in verità? Ho il coraggio, l’amore, l’ardore, per dirgli: “Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai” (Mt 8, 19), confermando queste parole con i fatti? Oppure dico anch’io, come quel tale del vangelo: “Ti seguirò, ma lascia prima che…” (Lc 9, 61)? Sento la mia debolezza, la mia paura, la mia inconsistenza, la mia poca fede. Chiedo aiuto allo Spirito del Signore e prego così: “Attirami dietro a te, Signore!”, come la sposa del Cantico.
d) “Che cercate?”
Ecco, il Signore Gesù pronuncia le sue prime parole, nel vangelo di Giovanni e sono una domanda ben precisa, rivolta ai discepoli che lo stanno seguendo, rivolta a noi, a me personalmente. Il Signore fissa il suo sguardo su di me, dentro di me e mi chiede: “Che cosa stai cercando?”. Non è facile rispondere a questa domanda; devo scendere dentro il mio cuore e lì ascoltarmi, misurarmi, verificarmi. Che cosa io cerco veramente? Le mie energie, i miei desideri, i miei sogni, i miei investimenti a che cosa sono rivolti? Il Signore tornerà ancora su questa domanda nel corso del Vangelo: al Getsemani chiede ai soldati: “Chi cercate?” e presso il sepolcro chiede a Maria Maddalena: “Chi cerchi?” Il “che cosa” si trasforma in “chi”, ma la domanda è sempre la stessa. Mi vengono in mente alcuni versetti di salmi, che possono aiutarmi in questo momento di verifica: “Chi cerca il Signore non manca di nulla” (Sal 33, 11); “Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore” (Sal 118, 2). Davvero è così: si ravviva e gioisce il cuore di chi cerca il Signore (Sal 68, 33; 104, 3). Voglio pormi anch’io in questa ricerca?
e) “Si fermarono presso di lui”.
I discepoli rimangono con Gesù, iniziano a dimorare presso di Lui, ad avere la casa in comune con Lui. Anzi, forse, iniziano a sentire e sperimentare che il Signore stesso è la loro nuova casa. Rifletto un po’ sul verbo che Giovanni qui usa; un verbo intenso, ricco. Può significare semplicemente abitare, fermarsi, ma anche dimorare, nel senso fortissimo di inabitare l’uno nell’altro. Gesù inabita nel grembo del Padre e offre anche a noi la possibilità di inabitare in Lui e in tutta la Trinità. Egli si offre oggi, qui, a me, per vivere insieme questa indicibile, splendida esperienza d’amore. Cosa decido, dunque? Mi fermo anch’io, come i discepoli e rimango presso di Lui, in Lui? Oppure me ne vado, mi sottraggo all’amore e corro a cercare qualcos’altro? Guardo l’orologio, prendo nota dell’ora, come ha fatto Giovanni; può essere il momento più felice della mia vita, se decido di entrare e inabitare nel Signore, ma può essere anche un momento triste, spento, come infiniti altri momenti, se passo oltre e non rispondo al suo invito. …
f) “E lo condusse da Gesù”.
Vedo come il cammino di conversione, su questa pagina di Vangelo, si sviluppi sempre più. Qui mi trovo davanti alla conclusione naturale di questo evento di grazia che è l’incontro col Signore e la decisione di seguirlo; sono giunto al punto dell’annuncio. Andrea corre a chiamare suo fratello Simone, perché vuole condividere con lui il dono infinito che ha ricevuto. Dà l’annuncio, proclama il Messia, il Salvatore e ha la forza di portare con sé il fratello. Diventa guida, diventa luce, strada sicura. E’ il contrario di scandalo, che è un inciampo, una caduta, una perdizione. E’ un passaggio molto importante, questo: dall’incontro e dalla conoscenza di Gesù all’annuncio. Non so se sono pronto per questo, non so se sono sufficientemente aperto e luminoso per farmi testimone di Lui, che si è rivelato a me in tanta chiarezza. Forse ho paura, mi vergogno, non ho forza, sono pigro, sono menefreghista. Eppure sento che se non dono, a mia volta, il dono che ho ricevuto, presto ne rimarrò privo anch’io. Come la manna: non poteva essere conservata per il giorno dopo, tenuta da parte, riposta in un fazzoletto. Lo stesso vale per questo Pane di vita vera, che è il Signore Gesù: deve essere condiviso, donato; bisogna chiamare tutti gli invitati al banchetto dell’amore.
Aiutami, Signore! Fa’ che io ti annunci con la mia vita, con le mie scelte, le mie abitudini, col mio modo di parlare, di lavorare, di stare con gli amici. Permettimi di vivere l’esperienza dolcissima che ha fatto Andrea: condurre a te i miei fratelli. Altrimenti non sarò mai pienamente felice. Amen.
5. Una chiave di lettura
a) L’Agnello di Dio:
Al v. 36 Giovanni annuncia Gesù come l’agnello di Dio, ripetendo il grido già emesso in precedenza, il giorno prima: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. L’identificazione di Gesù con l’agnello è traboccante di rimandi biblici, sia nell’Antico che nel nuovo Testamento, per questo sento l’invito che la Parola stessa mi rivolge a prestare un’attenzione particolare a questa espressione. Provo a interrogare, allora, le Scritture per farmi attento alla venuta dell’agnello, per imparare a riconoscerlo e a seguirlo.
L’agnello compare già nel libro della Genesi, al cap. 22, nel momento del sacrificio di Isacco; Dio provvede un agnello, perché sia offerto come olocausto invece del figlio. L’agnello scende dal cielo e prende su di sé la morte dell’uomo; l’agnello è immolato, perché il figlio viva.
Nel libro dell’Esodo, al cap. 12, viene offerto l’agnello pasquale, senza macchia, perfetto; il suo sangue versato salva i figli di Israele dallo sterminatore, che passa di casa in casa, nella notte. Da quel momento ogni figlio di Dio rimarrà segnato, sigillato, da quel sangue di salvezza. Così viene aperta la strada alla libertà, la via dell’esodo, per raggiungere Dio, per entrare nella terra da Lui promessa. Inizia qui la sequela, che conduce fino all’Apocalisse, fino alla realtà del cielo.
L’elemento del sacrificio, dello sgozzamento, del dono totale accompagna costantemente la figura dell’agnello; i libri del Levitico e dei Numeri ci pongono davanti continuamente questa presenza santa dell’agnello: esso viene offerto ogni giorno nell’olocausto quotidiano; viene immolato in tutti i sacrifici espiatori, di riparazione, di santificazione.
Anche i profeti parlano di un agnello preparato per il sacrificio: pecora muta, tosata senza che apra la sua bocca, agnello mansueto condotto al macello (Is 53, 7; Ger 11, 19). Agnello sacrificato sull’altare, ogni giorno.
Nel vangelo, è Giovanni il Battista che annuncia e svela Gesù quale vero agnello di Dio, che prende su di sé il peccato dell’uomo e lo cancella con l’effusione del suo sangue prezioso e puro. E’ Lui, infatti, l’agnello immolato al posto di Isacco; è Lui l’agnello arrostito sul fuoco la notte di Pasqua, Agnello della liberazione; è Lui il sacrificio perenne al Padre, offerto per noi; è Lui il servo sofferente, che non si ribella, non recrimina, ma si consegna, silenzioso, per amore nostro.
San Pietro lo dice apertamente: “Voi siete stati liberati dalla vostra vuota condotta grazie al sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1 Pt 1, 19).
E l’Apocalisse rivela ogni cosa, apertamente, riguardo all’Agnello. Egli è Colui che può aprire i sigilli della storia, della vita di ogni uomo, del cuore nascosto, della verità (Ap 7, 1.3.5.7.9.12; 8, 1); è il vincitore, colui che siede sul trono (Ap 5, 6), è il re, degno di onore, lode, gloria, adorazione (Ap 5, 12); Egli è lo Sposo, che invita al suo banchetto di Nozze (Ap 19, 7); è la lampada (Ap 21, 23), il tempio (Ap 21, 22), il luogo della nostra dimora eterna; Egli è il pastore (Ap 7, 17), che seguiremo ovunque andrà (Ap 14, 4).
b) Vedere:
In questo brano ritornano per cinque volte espressioni riguardanti il vedere, l’incontro degli sguardi. Il primo è Giovanni, che ha già l’occhio abituato a vedere nel profondo e a riconoscere il Signore che viene e passa; egli doveva rendere testimonianza alla luce e per questo ha gli occhi illuminati dal di dentro. Infatti, presso il fiume Giordano, egli vide lo Spirito posarsi su Gesù (Mt 3, 16); lo riconobbe quale agnello di Dio (Gv 1, 29) e continuò a fissare lo sguardo (v. 36) su di Lui per indicarlo ai suoi discepoli. E se Giovanni vede così, se è capace di penetrare le apparenze, significa che già prima egli era stato raggiunto dallo sguardo d’amore di Gesù, già prima era stato illuminato. Come siamo anche noi. Appena lo sguardo del testimone si spegne, ci raggiunge la luce degli occhi di Cristo. Al v. 38 è detto che Gesù vede i discepoli che lo seguono e l’evangelista usa un verbo molto bello, che significa “fissare lo sguardo su qualcuno, guardare con penetrazione e intensità”. Il Signore fa davvero così con noi: Egli si volta verso di noi, si avvicina, si prende a cuore la nostra presenza, la nostra vita, il nostro cammino dietro a Lui e ci guarda, a lungo, con amore soprattutto, ma anche con intensità, con coinvolgimento, con profonda attenzione. Il suo sguardo non ci lascia mai soli. I suoi occhi sono fissi dentro di noi; sono disegnati nelle nostre viscere, come canta san Giovanni della Croce nel suo Cantico Spirituale.
E poi il Signore ci invita ad aprire a nostra volta gli occhi, a cominciare a guardare davvero; dice: “Venite e vedrete”. Ogni giorno ce lo ripete, senza stancarsi di rivolgerci questo invito tenero e forte, traboccante di promesse e di doni. “Videro dove abitava”, annota Giovanni, usando un verbo ancora diverso, molto forte, che indica un vedere profondo, che va al di là delle superfici e dei contatti, che entra nella comprensione, nella conoscenza e nella fede di ciò che si vede. I discepoli – e noi con loro, in loro – videro, quel pomeriggio, dove Gesù abitava, cioè compresero e conobbero qual è la sua vera dimora, non un luogo, non uno spazio…
Infine torna di nuovo il verbo dell’inizio. Gesù fissa lo sguardo su Simone (v. 42) e con quella luce, con quell’incontro di occhi, di anime, lo chiama per nome e gli cambia la vita, lo rende un uomo nuovo. Gli occhi del Signore sono aperti così anche su di noi e ci lavano dalle brutture della nostra tenebra, illuminandoci d’amore; con quegli occhi Egli ci sta chiamando, sta facendo di noi una nuova creazione, sta dicendo: “Sia luce” e luce fu.
c) Rimanere – dimorare:
Questo è un altro verbo importantissimo, fortissimo, un’altra perla preziosa del Vangelo di Giovanni. Nel nostro brano ritorna tre volte, con due significati diversi: abitare e rimanere. I discepoli chiedono immediatamente a Gesù dove egli dimori, dove sia la sua casa ed egli li invita ad andare, ad entrare, a rimanere: “Rimasero presso di lui quel giorno” (v. 39). Non è un fermarsi fisico, temporaneo; i discepoli non sono solo degli ospiti di passaggio, che presto andranno via. No, il Signore ci fa spazio nel suo luogo interiore, nel suo rapporto col Padre e lì ci accoglie per sempre; dice infatti: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi… io in loro e tu in me…” (Gv 17, 21. 23). Ci lascia entrare ed entra; ci lascia bussare e bussa Lui stesso; ci fa dimorare in Lui e pone in noi la sua dimora insieme al Padre (Gv 14, 23). La nostra chiamata ad essere discepoli di Cristo e ad essere suoi annunciatori presso i nostri fratelli ha la sua origine, il suo fondamento, la sua vitalità precisamente qui, in questa realtà della reciproca in abitazione del Signore in noi e di noi in Lui. La nostra felicità vera e duratura sgorga dalla realizzazione di questo nostro permanere in Lui. Abbiamo visto dove egli dimora, abbiamo conosciuto il luogo della sua presenza e abbiamo deciso di rimanere con Lui, oggi e per sempre.
“Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato… Rimanete nel mio amore” (Gv 15).
No, non andrò da nessun altro, non mi recherò in alcun altro luogo se non da te, o Signore, mia dimora, mio luogo di salvezza! Permetti, ti prego, che io rimanga qui, presso di te, per sempre. Amen.
6. Un momento di preghiera: Salmo 34
Rit. Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
L'angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l'uomo che in lui si rifugia.
Temete il Signore, suoi santi,
nulla manca a coloro che lo temono.
I ricchi impoveriscono e hanno fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla.
Venite, figli, ascoltatemi;
v'insegnerò il timore del Signore.
Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Gridano e il Signore li ascolta,
li salva da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti.
Molte sono le sventure del giusto,
ma lo libera da tutte il Signore.
7. Orazione finale
Padre, ti ringrazio per avermi donato la presenza del tuo Figlio Gesù nelle parole luminose di questo vangelo; grazie per avermi fatto ascoltare la sua voce, per aver aperto i miei occhi per riconoscerlo; grazie per avermi messo sulla sua strada per seguirlo e per entrare a casa sua. Grazie perché posso dimorare con Lui, in Lui e perché Lui, con te, siete in me. Grazie per avermi, ancora una volta, chiamato, facendo nuova la mia vita. Fa’ di me, ti prego, uno strumento del tuo amore: che io non smetta mai di annunciare il Cristo che viene; che io non mi vergogni, non mi chiuda, non mi spenga, ma diventi sempre più felice, per condurre a Lui, a Te i fratelli e le sorelle che tu ogni giorno mi fai incontrare. Amen.
Fonte:http://ocarm.org/it
Venite e vedrete
La chiamata dei primi discepoli
Giovanni 1, 35-42
1. Orazione iniziale
Pastore buono, Padre mio, tu anche oggi scendi dai monti eterni e porti con te il tuo gregge e lo
conduci verso i pascoli verdeggianti, di erbe fresche, di acque buone. Tu oggi mandi avanti a te la tua pecora prediletta, l’Agnello che ami di incommensurabile amore; Tu ci doni il tuo Figlio Gesù, il Messia. Eccolo, è qui. Ti prego, aiutami a riconoscerlo, a fissare su di Lui il mio sguardo, il mio desiderio, la mia attesa. Fa’ che io lo segua, che non mi distacchi da Lui, che entri a casa sua e lì rimanga, per sempre. La sua casa, o Padre, sei Tu stesso. In te io voglio entrare, voglio vivere. Il soffio del tuo santo Spirito mi attiri, mi sospinga e mi unisca in amore a Te e al Figlio tuo, il mio Signore, oggi e per tutti i secoli dei secoli. Amen.
2. Lettura
a) Per inserire il brano nel suo contesto:
Questo brano ci immette all’inizio della narrazione evangelica di Giovanni, scandita dal susseguirsi di una settimana, giorno dopo giorno. Qui siamo già al terzo giorno da quando Giovanni il Battista ha iniziato a dare la sua testimonianza su Gesù, giunta ormai a pienezza, con l’invito ai discepoli a seguire il Signore, l’Agnello di Dio. In questi giorni si inaugura il ministero di Gesù, Parola del Padre che scende in mezzo agli uomini per incontrarli e parlare con loro e dimorare in mezzo a loro.
Il luogo è Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni battezzava: qui avviene l’incontro col Verbo di Dio e inizia la vita nuova.
b) Per aiutare nella lettura del brano:
vv. 35-36: Giovanni Battista vive un’esperienza fortissima di incontro con Gesù; infatti è precisamente qui, al terzo giorno, che egli lo riconosce pienamente, che lo proclama con tutte le forze e lo indica come vera via da seguire, come vita da vivere. Qui Giovanni diminuisce fino a scomparire e giganteggia come testimone della luce.
vv. 37-39: Avendo accolto la testimonianza del loro maestro, i discepoli di Giovanni cominciano a seguire Gesù; dopo aver ascoltato la voce, essi incontrano la Parola e si lasciano da essa interrogare. Gesù li guarda, li conosce e inizia il suo dialogo con loro. Egli li porta con sé, li introduce nel luogo della sua dimora e li fa stare con Lui. L’evangelista registra l’ora precisa di questo incontro faccia a faccia, di questo scambio di vita tra Gesù e i primi discepoli.
vv. 40-42: Subito la testimonianza divampa; Andrea non può tacere ciò che ha udito e visto, ciò che ha sperimentato e vissuto e diventa subito missionario, chiamando suo fratello Pietro all’incontro con Gesù. Egli, fissando il suo sguardo su quell’uomo, lo chiama e trasforma la sua vita: era Simone, ora è diventato Pietro.
c) Il testo:
Giovanni 1, 35-4235Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» 42e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)».
3. Un momento di silenzio orante
Prendo il mio cuore, il mio intimo e mi conduco ancora più in profondità nelle parole di questo vangelo; entro nel luogo e nel tempo in cui il Signore passa, guarda, parla, chiama, interroga, invita, fa entrare, cambia il nome, cambia la vita e fa risorgere. Quanto accadde quel giorno sulle rive del fiume Giordano, oggi accade anche qui, per me, in me. Sto in silenzio e lascio che queste parole così semplici, ma potenti, mi avvolgano, prendendo possesso della mia vita. Lascio che Gesù, venendo, fissi su di me il suo sguardo, lascio che mi chieda, come a loro: “Che cerchi?” e lascio che mi porti con sé, a casa sua. Perché, sì, voglio dimorare presso di Lui…
4. Alcune domande
Cerco, ora, di ascoltare ancora meglio questo brano, raccogliendo ogni parola, ogni verbo, stando attento ai movimenti, agli sguardi. Cerco di incontrare davvero il Signore in questa pagina, lasciandomi scrutare e conoscere da Lui.
a) “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là”.
Sento, in queste parole, l’insistenza della ricerca, dell’attesa; sento la fede di Giovanni Battista che cresce. I giorni stanno passando, l’esperienza dell’incontro con Gesù si intensifica: Giovanni non molla, non si stanca, anzi, diventa sempre più sicuro, più convinto, luminoso. Lui sta, rimane. Mi viene in mente un passo della lettera agli Ebrei, che può illuminare la mia mente, in questo momento: “Non abbandonate la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa. Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e non tarderà. Il mio giusto vivrà mediante la fede; ma se indietreggia, la mia anima non si compiace in lui. Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima”. Mi pongo a confronto con queste parole e con la figura del Battista: io sono uno che sta, che rimane? Oppure indietreggio, mi stanco, mi infiacchisco e lascio che la mia fede si spenga? Io sto, o mi siedo, attendo o non spero più?
b) “Fissando lo sguardo su Gesù”.
Qui c’è un verbo bellissimo, che significa “guardare con intensità”, “penetrare con lo sguardo” e viene ripetuto anche al v. 42, riferito a Gesù, che guarda Pietro per cambiargli la vita. Molte volte, nei vangeli, è detto che Gesù fissa il suo sguardo sui discepoli (Mt 19, 26), o su una persona in particolare (Mc 10, 21); sì, Lui fissa per amare, per chiamare, per illuminare. Il suo sguardo non si stacca mai da noi, da me. So che posso trovare pace solo ricambiando questo sguardo, come ha fatto Stefano (At 7, 55). La Parola stessa mi invita così: “Fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate bene lo sguardo in Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo” (Eb 3, 1). Come posso far finta di non udire? Perché continuare a volgere il mio sguardo di qua e di là, sfuggendo l’amore del Signore, che si è posato su di me e mi ha scelto? “Guardate a Lui e sarete raggianti; non saranno confusi i vostri volti”, dice il salmo ed è proprio vero. Chiudo gli occhi e guardo nel profondo del mio cuore: lì incontro il Signore; guardo nel volto dei fratelli: lì è Lui; guardo con attenzione e nella preghiera gli eventi della storia di oggi: Lì trovo ancora Cristo, il vivente risorto. E prego così: “Aprimi gli occhi, Signore, perché io veda le meraviglie della tua legge. Distogli i miei occhi dalle cose vane, fammi vivere sulla tua via” (Sal 118, 18. 37). Sì, mi decido: “Io tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede” (Sal 24, 15). Grazie, Signore Gesù, grazie mia luce!
c) “Seguirono Gesù”.
Questa espressione, riferita ai discepoli, non significa solamente che essi cominciano a camminare nella stessa direzione di Cristo, ma molto di più: che essi si consacrano a Lui, che impegnano la loro vita con Lui, per Lui. Come è detto delle pecore: esse conoscono e ascoltano la voce del Pastore e lo seguono (Gv 10, 4. 27). Mi chiedo se veramente io sto seguendo il Signore, se sto camminando nella sua stessa direzione, stando attento a porre i miei piedi sulle orme che Lui lascia dietro a Sé. Mi chiedo se davvero conosco e riconosco la sua voce che mi parla in mille modi, ogni giorno, senza stancarsi. E’ Lui che prende l’iniziativa, lo so e che mi dice: “Tu seguimi”, come al giovane ricco (Mt 19, 21), come a Pietro (Gv 21, 22); ma io, come rispondo, in verità? Ho il coraggio, l’amore, l’ardore, per dirgli: “Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai” (Mt 8, 19), confermando queste parole con i fatti? Oppure dico anch’io, come quel tale del vangelo: “Ti seguirò, ma lascia prima che…” (Lc 9, 61)? Sento la mia debolezza, la mia paura, la mia inconsistenza, la mia poca fede. Chiedo aiuto allo Spirito del Signore e prego così: “Attirami dietro a te, Signore!”, come la sposa del Cantico.
d) “Che cercate?”
Ecco, il Signore Gesù pronuncia le sue prime parole, nel vangelo di Giovanni e sono una domanda ben precisa, rivolta ai discepoli che lo stanno seguendo, rivolta a noi, a me personalmente. Il Signore fissa il suo sguardo su di me, dentro di me e mi chiede: “Che cosa stai cercando?”. Non è facile rispondere a questa domanda; devo scendere dentro il mio cuore e lì ascoltarmi, misurarmi, verificarmi. Che cosa io cerco veramente? Le mie energie, i miei desideri, i miei sogni, i miei investimenti a che cosa sono rivolti? Il Signore tornerà ancora su questa domanda nel corso del Vangelo: al Getsemani chiede ai soldati: “Chi cercate?” e presso il sepolcro chiede a Maria Maddalena: “Chi cerchi?” Il “che cosa” si trasforma in “chi”, ma la domanda è sempre la stessa. Mi vengono in mente alcuni versetti di salmi, che possono aiutarmi in questo momento di verifica: “Chi cerca il Signore non manca di nulla” (Sal 33, 11); “Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore” (Sal 118, 2). Davvero è così: si ravviva e gioisce il cuore di chi cerca il Signore (Sal 68, 33; 104, 3). Voglio pormi anch’io in questa ricerca?
e) “Si fermarono presso di lui”.
I discepoli rimangono con Gesù, iniziano a dimorare presso di Lui, ad avere la casa in comune con Lui. Anzi, forse, iniziano a sentire e sperimentare che il Signore stesso è la loro nuova casa. Rifletto un po’ sul verbo che Giovanni qui usa; un verbo intenso, ricco. Può significare semplicemente abitare, fermarsi, ma anche dimorare, nel senso fortissimo di inabitare l’uno nell’altro. Gesù inabita nel grembo del Padre e offre anche a noi la possibilità di inabitare in Lui e in tutta la Trinità. Egli si offre oggi, qui, a me, per vivere insieme questa indicibile, splendida esperienza d’amore. Cosa decido, dunque? Mi fermo anch’io, come i discepoli e rimango presso di Lui, in Lui? Oppure me ne vado, mi sottraggo all’amore e corro a cercare qualcos’altro? Guardo l’orologio, prendo nota dell’ora, come ha fatto Giovanni; può essere il momento più felice della mia vita, se decido di entrare e inabitare nel Signore, ma può essere anche un momento triste, spento, come infiniti altri momenti, se passo oltre e non rispondo al suo invito. …
f) “E lo condusse da Gesù”.
Vedo come il cammino di conversione, su questa pagina di Vangelo, si sviluppi sempre più. Qui mi trovo davanti alla conclusione naturale di questo evento di grazia che è l’incontro col Signore e la decisione di seguirlo; sono giunto al punto dell’annuncio. Andrea corre a chiamare suo fratello Simone, perché vuole condividere con lui il dono infinito che ha ricevuto. Dà l’annuncio, proclama il Messia, il Salvatore e ha la forza di portare con sé il fratello. Diventa guida, diventa luce, strada sicura. E’ il contrario di scandalo, che è un inciampo, una caduta, una perdizione. E’ un passaggio molto importante, questo: dall’incontro e dalla conoscenza di Gesù all’annuncio. Non so se sono pronto per questo, non so se sono sufficientemente aperto e luminoso per farmi testimone di Lui, che si è rivelato a me in tanta chiarezza. Forse ho paura, mi vergogno, non ho forza, sono pigro, sono menefreghista. Eppure sento che se non dono, a mia volta, il dono che ho ricevuto, presto ne rimarrò privo anch’io. Come la manna: non poteva essere conservata per il giorno dopo, tenuta da parte, riposta in un fazzoletto. Lo stesso vale per questo Pane di vita vera, che è il Signore Gesù: deve essere condiviso, donato; bisogna chiamare tutti gli invitati al banchetto dell’amore.
Aiutami, Signore! Fa’ che io ti annunci con la mia vita, con le mie scelte, le mie abitudini, col mio modo di parlare, di lavorare, di stare con gli amici. Permettimi di vivere l’esperienza dolcissima che ha fatto Andrea: condurre a te i miei fratelli. Altrimenti non sarò mai pienamente felice. Amen.
5. Una chiave di lettura
a) L’Agnello di Dio:
Al v. 36 Giovanni annuncia Gesù come l’agnello di Dio, ripetendo il grido già emesso in precedenza, il giorno prima: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. L’identificazione di Gesù con l’agnello è traboccante di rimandi biblici, sia nell’Antico che nel nuovo Testamento, per questo sento l’invito che la Parola stessa mi rivolge a prestare un’attenzione particolare a questa espressione. Provo a interrogare, allora, le Scritture per farmi attento alla venuta dell’agnello, per imparare a riconoscerlo e a seguirlo.
L’agnello compare già nel libro della Genesi, al cap. 22, nel momento del sacrificio di Isacco; Dio provvede un agnello, perché sia offerto come olocausto invece del figlio. L’agnello scende dal cielo e prende su di sé la morte dell’uomo; l’agnello è immolato, perché il figlio viva.
Nel libro dell’Esodo, al cap. 12, viene offerto l’agnello pasquale, senza macchia, perfetto; il suo sangue versato salva i figli di Israele dallo sterminatore, che passa di casa in casa, nella notte. Da quel momento ogni figlio di Dio rimarrà segnato, sigillato, da quel sangue di salvezza. Così viene aperta la strada alla libertà, la via dell’esodo, per raggiungere Dio, per entrare nella terra da Lui promessa. Inizia qui la sequela, che conduce fino all’Apocalisse, fino alla realtà del cielo.
L’elemento del sacrificio, dello sgozzamento, del dono totale accompagna costantemente la figura dell’agnello; i libri del Levitico e dei Numeri ci pongono davanti continuamente questa presenza santa dell’agnello: esso viene offerto ogni giorno nell’olocausto quotidiano; viene immolato in tutti i sacrifici espiatori, di riparazione, di santificazione.
Anche i profeti parlano di un agnello preparato per il sacrificio: pecora muta, tosata senza che apra la sua bocca, agnello mansueto condotto al macello (Is 53, 7; Ger 11, 19). Agnello sacrificato sull’altare, ogni giorno.
Nel vangelo, è Giovanni il Battista che annuncia e svela Gesù quale vero agnello di Dio, che prende su di sé il peccato dell’uomo e lo cancella con l’effusione del suo sangue prezioso e puro. E’ Lui, infatti, l’agnello immolato al posto di Isacco; è Lui l’agnello arrostito sul fuoco la notte di Pasqua, Agnello della liberazione; è Lui il sacrificio perenne al Padre, offerto per noi; è Lui il servo sofferente, che non si ribella, non recrimina, ma si consegna, silenzioso, per amore nostro.
San Pietro lo dice apertamente: “Voi siete stati liberati dalla vostra vuota condotta grazie al sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1 Pt 1, 19).
E l’Apocalisse rivela ogni cosa, apertamente, riguardo all’Agnello. Egli è Colui che può aprire i sigilli della storia, della vita di ogni uomo, del cuore nascosto, della verità (Ap 7, 1.3.5.7.9.12; 8, 1); è il vincitore, colui che siede sul trono (Ap 5, 6), è il re, degno di onore, lode, gloria, adorazione (Ap 5, 12); Egli è lo Sposo, che invita al suo banchetto di Nozze (Ap 19, 7); è la lampada (Ap 21, 23), il tempio (Ap 21, 22), il luogo della nostra dimora eterna; Egli è il pastore (Ap 7, 17), che seguiremo ovunque andrà (Ap 14, 4).
b) Vedere:
In questo brano ritornano per cinque volte espressioni riguardanti il vedere, l’incontro degli sguardi. Il primo è Giovanni, che ha già l’occhio abituato a vedere nel profondo e a riconoscere il Signore che viene e passa; egli doveva rendere testimonianza alla luce e per questo ha gli occhi illuminati dal di dentro. Infatti, presso il fiume Giordano, egli vide lo Spirito posarsi su Gesù (Mt 3, 16); lo riconobbe quale agnello di Dio (Gv 1, 29) e continuò a fissare lo sguardo (v. 36) su di Lui per indicarlo ai suoi discepoli. E se Giovanni vede così, se è capace di penetrare le apparenze, significa che già prima egli era stato raggiunto dallo sguardo d’amore di Gesù, già prima era stato illuminato. Come siamo anche noi. Appena lo sguardo del testimone si spegne, ci raggiunge la luce degli occhi di Cristo. Al v. 38 è detto che Gesù vede i discepoli che lo seguono e l’evangelista usa un verbo molto bello, che significa “fissare lo sguardo su qualcuno, guardare con penetrazione e intensità”. Il Signore fa davvero così con noi: Egli si volta verso di noi, si avvicina, si prende a cuore la nostra presenza, la nostra vita, il nostro cammino dietro a Lui e ci guarda, a lungo, con amore soprattutto, ma anche con intensità, con coinvolgimento, con profonda attenzione. Il suo sguardo non ci lascia mai soli. I suoi occhi sono fissi dentro di noi; sono disegnati nelle nostre viscere, come canta san Giovanni della Croce nel suo Cantico Spirituale.
E poi il Signore ci invita ad aprire a nostra volta gli occhi, a cominciare a guardare davvero; dice: “Venite e vedrete”. Ogni giorno ce lo ripete, senza stancarsi di rivolgerci questo invito tenero e forte, traboccante di promesse e di doni. “Videro dove abitava”, annota Giovanni, usando un verbo ancora diverso, molto forte, che indica un vedere profondo, che va al di là delle superfici e dei contatti, che entra nella comprensione, nella conoscenza e nella fede di ciò che si vede. I discepoli – e noi con loro, in loro – videro, quel pomeriggio, dove Gesù abitava, cioè compresero e conobbero qual è la sua vera dimora, non un luogo, non uno spazio…
Infine torna di nuovo il verbo dell’inizio. Gesù fissa lo sguardo su Simone (v. 42) e con quella luce, con quell’incontro di occhi, di anime, lo chiama per nome e gli cambia la vita, lo rende un uomo nuovo. Gli occhi del Signore sono aperti così anche su di noi e ci lavano dalle brutture della nostra tenebra, illuminandoci d’amore; con quegli occhi Egli ci sta chiamando, sta facendo di noi una nuova creazione, sta dicendo: “Sia luce” e luce fu.
c) Rimanere – dimorare:
Questo è un altro verbo importantissimo, fortissimo, un’altra perla preziosa del Vangelo di Giovanni. Nel nostro brano ritorna tre volte, con due significati diversi: abitare e rimanere. I discepoli chiedono immediatamente a Gesù dove egli dimori, dove sia la sua casa ed egli li invita ad andare, ad entrare, a rimanere: “Rimasero presso di lui quel giorno” (v. 39). Non è un fermarsi fisico, temporaneo; i discepoli non sono solo degli ospiti di passaggio, che presto andranno via. No, il Signore ci fa spazio nel suo luogo interiore, nel suo rapporto col Padre e lì ci accoglie per sempre; dice infatti: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi… io in loro e tu in me…” (Gv 17, 21. 23). Ci lascia entrare ed entra; ci lascia bussare e bussa Lui stesso; ci fa dimorare in Lui e pone in noi la sua dimora insieme al Padre (Gv 14, 23). La nostra chiamata ad essere discepoli di Cristo e ad essere suoi annunciatori presso i nostri fratelli ha la sua origine, il suo fondamento, la sua vitalità precisamente qui, in questa realtà della reciproca in abitazione del Signore in noi e di noi in Lui. La nostra felicità vera e duratura sgorga dalla realizzazione di questo nostro permanere in Lui. Abbiamo visto dove egli dimora, abbiamo conosciuto il luogo della sua presenza e abbiamo deciso di rimanere con Lui, oggi e per sempre.
“Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato… Rimanete nel mio amore” (Gv 15).
No, non andrò da nessun altro, non mi recherò in alcun altro luogo se non da te, o Signore, mia dimora, mio luogo di salvezza! Permetti, ti prego, che io rimanga qui, presso di te, per sempre. Amen.
6. Un momento di preghiera: Salmo 34
Rit. Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
L'angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l'uomo che in lui si rifugia.
Temete il Signore, suoi santi,
nulla manca a coloro che lo temono.
I ricchi impoveriscono e hanno fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla.
Venite, figli, ascoltatemi;
v'insegnerò il timore del Signore.
Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Gridano e il Signore li ascolta,
li salva da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti.
Molte sono le sventure del giusto,
ma lo libera da tutte il Signore.
7. Orazione finale
Padre, ti ringrazio per avermi donato la presenza del tuo Figlio Gesù nelle parole luminose di questo vangelo; grazie per avermi fatto ascoltare la sua voce, per aver aperto i miei occhi per riconoscerlo; grazie per avermi messo sulla sua strada per seguirlo e per entrare a casa sua. Grazie perché posso dimorare con Lui, in Lui e perché Lui, con te, siete in me. Grazie per avermi, ancora una volta, chiamato, facendo nuova la mia vita. Fa’ di me, ti prego, uno strumento del tuo amore: che io non smetta mai di annunciare il Cristo che viene; che io non mi vergogni, non mi chiuda, non mi spenga, ma diventi sempre più felice, per condurre a Lui, a Te i fratelli e le sorelle che tu ogni giorno mi fai incontrare. Amen.
Fonte:http://ocarm.org/it
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