Padre Paolo Berti,“Guarì molti che erano affetti da varie malattie”

V Domenica del T. O. 
Mc 1,29-39 
“Guarì molti che erano affetti da varie malattie”
Omelia 

E' fuori dubbio che un uomo che lavora per ore e ore sotto il sole desideri ripararsi all'ombra, e che un prestatore di lavoro attenda con ansia il giorno del compenso. Fuori dubbio, ci dice Giobbe; ma, ecco, che può succedere che sovente invece del refrigerio, della pace, della sicurezza, ci si trovi di fronte il contrario. Giobbe, dopo essersi adoperato a costruirsi una fortuna, si trovò nella disgrazia: “Notti di affanno mi sono state assegnate...”
Credo, fratelli e sorelle, che non ci sia nessuno che non abbia sentito dire frasi come queste: “Proprio adesso che avevamo messo da parte un po' di beni, ci è capitata questa disgrazia”; “Proprio ora che sono andato in pensione e pensavo di avere pace e tranquillità, mi è accaduto...”. Qualcuno avrà pensato di consolare quei tali con queste fatalistiche e scettiche parole: “E' la vita...!”; ma credo che nessuno ne sia mai rimasto consolato. Emergono, infatti, nelle situazioni difficili dei “perché?”, che non si liquidano con un “E' la vita!”. “Perché?”; dico solo che chi ha commesso dabbenaggini, imprudenze, non deve meravigliarsi dell'esito delle cose, e non deve concludere con bestemmie. Chi invece è stato diligente, onesto, rimane certo interdetto, ma può dire con sicurezza che è una prova, e che Dio lo sosterrà. La moglie di Giobbe concluse con un invito a bestemmiare (2,9): “Rimani ancora saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!”; ma Giobbe rifiutò l'aiuto insensato della moglie e percorse la strada di non dubitare di Dio: non bestemmiò, né si suicidò.
La sua situazione si colloca all'interno di una sfida dell'Accusatore, Satana, a Dio. Una sfida che è questa: “Tu non puoi trarre gloria da Giobbe perché se colpito nei beni e nella carne ti rifiuterà e mi seguirà nella mia ribellione”. Una sfida all'interno della quale tutto il genere umano si trova. Satana vuole portare l'uomo al dolore, alla devastazione, per poterlo trarre dalla sua parte. Prima lo tenta con le cose piacevoli, sapendo che l'uomo dissennato dai piaceri andrà incontro a dolori, e poi lo tenta istigandolo a darne la colpa a Dio. Ma, fratelli e sorelle, Dio ci dona se stesso, la sua forza, per vincere il Male. Dio si è automanifestato in Cristo.
Cosa leggiamo nei Vangeli? Che Gesù è rimasto indifferente di fronte al dolore? No, non è rimasto indifferente. Ha guarito i malati, i ciechi, gli zoppi, dove vedeva l'accoglienza del dono della fede. Dove veniva rifiutato il dono della fede, la guarigione non avrebbe portato a nient'altro che ad un rifiuto ancora più radicale dell'identità di Gesù quale Figlio di Dio. Ma anche se Gesù non ha guarito tutti quelli che credevano in lui, tutti li ha attirati alla fiducia in lui , non nascondendo che per seguirlo bisogna prendere la propria croce; poi ha dato a tutti l'esempio di come si sostiene la croce, e dove attingere la forza per sostenerla. La croce non è segno di sconfitta, ma è segno di vittoria. L'Accusatore vide annientate le sue speranze di piegare anche solo per un istante il Cristo, di poter accusare il Cristo presso il Padre dicendogli che non poteva trarre gloria dal Figlio. Invece il Figlio diede gloria al Padre, e il Padre diede gloria al Figlio con la risurrezione. Così disse Gesù poco prima della sua morte (Gv 17,4): “Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l'opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te”. Ora, fratelli e sorelle, tutti coloro che sono in Cristo sono gloria di Cristo, che tutto ha ottenuto dal Padre, e sono gloria del Padre perché in Cristo nelle difficoltà, nelle croci, adorano il Padre.
La gloria Gesù la trasse dal Padre, la trae dall'uomo che crede in lui, che egli ha fatto rinascere nel Battesimo, che ha corroborato nella Cresima, e che nutre di sé nell'Eucaristia. Non trasse gloria dal mondo. “Tutti ti cercano!”, dissero entusiasti i discepoli; ma Gesù rispose: “Andiamocene altrove, per i villaggi vicini...”. Rispose continuando l'opera che il Padre gli aveva affidato. Non si fermò a gustare il trionfo della folla che lo cercava per eleggerlo proprio capo. Rifiutò quel trionfo, per il trionfo che il Padre gli avrebbe dato.
In Paolo non troviamo un atteggiamento diverso. La sua vita è tutta dedicata al Vangelo. Non si ferma mai ad assaporare onori della terra. Non fa nulla in prospettiva terrena, neppure nella prospettiva di un sostentamento economico pur legittimo, poiché (1Cor 9,13): ”Quelli che celebrano il culto dal culto traggono il vitto, e quelli che servono all’altare, dall’altare ricevono la loro parte". Per Paolo celebrare il culto è anche evangelizzare, come si legge nella lettera ai Romani (1,9): “Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo”. Per Paolo l'evangelizzazione è mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo, è culto reso a Dio. Paolo non annuncia il Vangelo pensando ai disagi che deve affrontare, perché i disagi, le sofferenze vissute per il Vangelo gli sono care: “Tutto io faccio per il Vangelo”. La ricompensa di Paolo sta nel non volere ricompensa perché per lui evangelizzare è un incarico che ha come premio Cristo. Nessun vanto: “E' una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo”.
Paolo dava un senso a tutto, e il senso era Cristo. Non cercava di ritagliarsi un'isola di pace terrena, che al momento più impensabile si dissolve, si dilegua lasciando posto al dolore, allo smarrimento, allo sgomento.
I beni donati da Gesù agli uomini per la loro esistenza terrena sono continui e innumerevoli, ma il più grande bene è lui stesso, ed è lui stesso che dà senso vero a tutti i beni terreni concessi. Per Paolo il dono più grande, infinito, è Cristo, e donare la conoscenza di Cristo è il suo premio. Paolo ha sconfitto l'Accusatore per mezzo della sua adesione a Cristo, per mezzo della partecipazione alle sofferenze di Cristo; così ha dato gloria a Cristo e in Cristo al Padre. Fratelli e sorelle, evangelizzare è un tutt'uno con testimoniare, così, solo così, diventa culto reso a Dio, diventa glorificazione di Dio.
Noi diciamo nell'inno di glorificazione: “Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo...”. Glorifichiamolo dunque Dio, onnipotente creatore; glorifichiamo Dio per la sua gloria immensa, che è Cristo. Glorifichiamolo con la purezza, nei nostri corpi, dice Paolo; glorifichiamolo con fede certa, con la speranza calma, con carità ardente. Glorifichiamolo accettando le sue correzioni; glorifichiamolo con l'accettazione delle malattie; glorifichiamolo nelle persecuzioni a causa del Vangelo e della testimonianza resa a Cristo.
Fratelli e sorelle, neppure un grano d'incenso al Maligno, all'Accusatore, al Bassissimo. Solo a Dio ogni onore e gloria, pregando perché sia resa a lui gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it

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