don Giacomo Falco Brini, "Per questo sono venuto"

Per questo sono venuto
don Giacomo Falco Brini  
V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/02/2018)

  Visualizza Mc 1,29-39
Gesù predicava nelle sinagoghe, ma passava molto tempo del suo ministero anche nelle case. Il
vangelo di oggi ci dice che uscendo dalla sinagoga di Cafarnao subito si recò in casa di due dei suoi primi chiamati (Mc 1,29). E' bello sapere che Gesù non era legato al luogo “ufficiale” in cui ci si riuniva, ma che la sua parola e la sua azione si diffondevano dappertutto: non c'era luogo in cui il Signore non potesse istruire e compiere prodigi. Infatti, dopo la liberazione dell'uomo posseduto dal demonio in sinagoga, vediamo che Gesù guarisce la suocera di Pietro con la febbre (Mc 1,30-31). Ci si aspetterebbe, all'inizio del vangelo, un miracolo più “miracoloso”. E invece niente di strabiliante. Ma allora perché Marco riporta con tale puntualità, sia pur breve, questa guarigione? Per lo stesso motivo per cui alla fine, prima del discorso escatologico e del racconto della passione-morte e resurrezione del Signore, ci narra l'episodio di una povera vedova inosservata da tutti, ma additata da Gesù come sua discepola e testimone autentica (Mc 12,43-44). Il Signore non è venuto sulla terra per compiere miracoli davanti a tutti e dimostrare chi è e di cosa è capace. Fosse stato così, non avrebbe sempre intimato ai demoni, qui e altrove, di non rivelare la sua identità (Mc 1,34). L'episodio è dunque molto istruttivo. Se i miracoli sono sempre segni mai fini a se stessi, ma servono per edificare la fede rimandando piuttosto a realtà spirituali superiori, allora questo piccolissimo segno ha una grandezza di significato su cui conviene soffermarsi attentamente. Cioè Marco qui ci vuole dire che il significato di tutti i miracoli che seguiranno nel suo racconto è sempre lo stesso: Gesù guarisce per restituire a ciascuno la cosa più importante, che è la capacità di servire ovvero di amare. In un certo senso, il vero grande miracolo che il Signore è venuto a compiere per gli uomini non ha nulla di sensazionale. Eppure amare/servire è l'unica realtà che ci rende immagine e somiglianza sua!

Sul personale e iniziale cammino di conversione, Gesù ha posto una realtà ecclesiale che mi ha aiutato molto a risvegliare la fede proprio attraverso l'esercizio di carismi che producevano clamorose guarigioni. Ho visto improvvisamente il vangelo passare ad essere da un libro lontano nel tempo e senza vita a una pagina di storia contemporanea percorsa da una forza misteriosa. Quel che però mi ha più colpito nell'arco dei miei primi anni di cammino, è stato lo scoprire progressivo di come taluni esercitavano un carisma straordinario in un modo molto umile, amoroso e compassionevole, verso l'umanità dolente che accorreva in preghiera. E tanti altri invece esercitare lo stesso carisma circondati da un alone di sacralità, di inaccessibilità, accompagnati da un curriculum di poteri particolari e letteralmente inavvicinabili, se non per mezzo di particolari intercessioni di coloro che costituivano il proprio “entourage”. Quali di essi agivano veramente da discepoli di Gesù, penso di averlo intuito solo retrospettivamente, man mano che approfondivo la sua storia nei vangeli. Perché se non si diventa come la suocera di Pietro che riacquista la salute per donarla subito agli altri, oppure come la povera vedova capace di lasciare il tutto della sua vita a Dio in quella monetina offerta al tesoro del tempio, guarire gli ammalati e liberare gli indemoniati ci serve a poco: non è questo che ci salva!

Cosa ne pensate voi che leggete? Perplessi? Andate a dare uno sguardo a Mt 7,21-23 e 1Cor 13,1-3. Poi magari ne riparleremo qui o in altri contesti. Comunque il brano di oggi, nella parte centrale, ci ricorda come nel ministero di Gesù guarire malati e indemoniati fosse al centro della sua azione (Mc 1,32-34), e come la sorgente di essa fosse sempre la preghiera, il suo incontro con il Padre (Mc 1,35). Cosa estremamente rilevante per noi uomini della società occidentale che da un lato continuiamo a professare una certa identità o una certa fede, e dall'altro offriamo e teniamo in piedi stili di vita che si propongono come se Dio non ci fosse. Il vangelo di oggi ci interroga: la preghiera è per noi fonte e termine di tutto ciò che facciamo? Un accenno importante all'ultima parte del vangelo. Pietro e gli altri rintracciano Gesù per portargli un'eco: tutti ti cercano! (Mc 1,37). Lo fanno in buona fede, pensano che sia bene corrispondere a tutti i bisogni della gente, per amore del successo apostolico del loro maestro. Comincia qui velatamente quell'incomprensione che caratterizzerà la successiva relazione tra i discepoli e Gesù. Si presenta ancora qui al Signore, la prima tentazione nel deserto: cercare il successo personale anche nell'operare il bene. Ma Gesù non è venuto per avere successo nel fare il bene. Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto! (Mc 1,38). La missione di Gesù è rivelare il volto e l'amore di Dio per ogni uomo. Questa è la buona notizia, il cuore del vangelo che Gesù, e poi i suoi discepoli, devono annunciare uscendo anche fuori dai propri confini. Questa missione incontrerà nel tempo anche insuccessi, ma non si fermerà mai davanti ad essi se veramente, come comunità dei discepoli, non cercheremo quello che Gesù ha scartato nelle sue tentazioni.

Fonte:/www.qumran2.net

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