don Marco Pedron, "Trasfigurazioni"II Domenica di Quaresima

Trasfigurazioni
don Marco Pedron
II Domenica di Quaresima (Anno B) 

  Visualizza Mc 9,2-10
Domenica scorsa c’era l’immagine del deserto, della solitudine, della fatica, della possibilità di fare altre scelte, la tentazione di scegliere vie facili, apparenti ma ingannevoli. Oggi, invece, c’è
l’immagine della luce, della gioia, della felicità, della pienezza, del “toccare il cielo, Dio, con un dito”. Domenica scorsa la solitudine, oggi un gruppo di persone (ci sono Giacomo, Giovanni, Pietro). Lì la voce e la visione del diavolo, qui la voce e la visione di Dio. Ieri la sofferenza, oggi la gioia e la festa. Lì il buio, qui tanta luce. Se domenica scorsa era il vangelo del buio e delle tenebre, oggi è il vangelo della luce e del volto.

Questo vangelo tenta di dare una risposta alla domanda su che cosa rende veramente felici nella vita. La trasfigurazione è vedere cose che non si possono vedere con gli occhi fisici e che si possono vedere solo con il cuore. E siccome molti non hanno gli occhi del cuore, non hanno queste visioni.

Questo vangelo descrive come si appare quando ci si sente in cielo, cioè pieni e posseduti dalla felicità, da una presenza, da un’abitazione, da un amore.
Vi siete mai innamorati?

Se vi siete innamorati, se avete perso la testa e fatto cose pazze per qualcuno, se vi è capitato una volta di vedere il mondo come un paradiso e un immenso giardino fiorito perché qualcuno vi ha detto che vi ama, allora potete sperare di capire il vangelo e questo brano. Se non vi siete mai innamorati, non potrete mai conoscere il vangelo, perché Gesù fu un innamorato, un passionale, un fuoco che riscaldava, che bruciava, che infuocava chi lo incontrava. Ma come fa uno a cambiare d’aspetto? Come fa uno a cambiare il suo volto? Come fa un volto ad essere splendente come il sole? E le vesti candide come la luce?

Non si possono capire queste cose. E’ inutile che tu faccia tutte le alchimie e le supposizioni fisiche e scientifiche per capire come si può trasfigurare un volto o in cosa consista.

Hai mai visto certi volti dopo l’amore? Hai mai visto certe facce piene di vita, di solarità, di voglia di vivere? Hai mai visto il volto di un bambino cullato nelle braccia di sua madre? Hai mai visto gli occhi di una donna quando vede suo figlio dopo il travaglio e il parto?

Se tu conosci l’amore, se tu sai cosa vuol dire innamorarsi, tu comprendi benissimo cosa vuol dire vedere il sole nel volto della tua amata, la luce negli occhi di tuo figlio, l’immenso nella faccia di tuo marito, le stelle, l’universo e tutti i soli che ci sono negli occhi di qualcuno che ti vuole bene.

L’evangelista Giovanni dice che “Dio è amore”. Cioè: solo chi sa aprirsi e vivere l’amore può capire Dio. E tutti quelli che non sanno dischiudere il loro cuore, non potranno che avere il concetto di Dio, ma non sentirlo; e tutti quelli freddi e incapaci di commuoversi non potranno mai sentire quanto sia grande; e tutti quelli che non sanno provare, abbandonarsi e permettersi i sentimenti continueranno a cercare invano.

Vi succede mai di piangere davanti ad un volto, ad un tramonto? Vi sentite mai così pieni di gioia, da commuovervi, da non poter trattenere le lacrime?

Quando io guardo i ragazzi a scuola o nelle attività parrocchiali e vedo quanto sono belli nel loro cuore, quante ricchezze, quali doti hanno, e poi vedo le loro famiglie, i problemi, le situazioni (e tu sai che in quel terreno sarà difficile crescere, che in quell’altro sarà quasi impossibile, che in quello sarà semplice), io non posso non amarli, io mi commuovo, io sento che vorrei abbracciarli tutti, baciarli e dire loro: “Siete grandi, diventate le bellezza che siete”.

Quando io ascolto le persone che vengono a parlare e sento le loro storie, le loro ferite, i loro traumi, i loro pianti (e volte ci sono delle vere tragedie); quando sento cos’hanno passato o vissuto, io sono toccato nel profondo, io non posso non piangere e commuovermi dentro, perché io sento il loro dolore, lo avverto, lo percepisco. O quando si vincono delle battaglie, si fanno delle conquiste, si superano delle paure, delle barriere che sembravano insuperabili, quando succedono delle cose impensabili o si aprono degli spiragli inaspettati, o si guarisce fisicamente o nell’anima o ci trasforma e si diventa belli e splendenti come il sole o si ritrova finalmente la propria vera figura, allora io non posso non piangere dalla felicità, dalla gioia e dalla commozione. Oppure di fronte alle conquiste di un bambino, alle sue “uscite”, ai suoi occhi, di fronte a certe situazioni, a certi momenti, non si può che stupirsi, che meravigliarsi e sentire tutta la forza, tutta la bellezza e l’intensità della vita che ti entra dentro.

Una volta pensavo che commuoversi volesse dire essere deboli. Ma oggi so che vuol dire essere vivi, vuol dire sentire ciò che tu vivi, ciò che gli altri vivono, vuol dire lasciarsi toccare, lasciarsi colpire da ciò che succede, non essere duri come il ghiaccio o impenetrabili come il marmo, in ogni caso freddi.

Sono questi i momenti di “trasfigurazione”; sono i momenti in cui si afferma con assoluta certezza che vale la pena di vivere, anche solo per questi momenti; sono i momenti in cui ci si sente grati di essere a questo mondo e di aver avuto la grande possibilità di esistere.

Sono i momenti che ti danno l’energia, la forza e il coraggio di andare avanti e di affrontare le “discese”, le croci, le crocifissioni di ogni giorno. Senza questi sprazzi di gioia, di felicità, di vita, di infinito, di “Dio” tutto diventa drammatico, angoscioso, “nero”, indegno di vivere, uno schifo. Ma bisogna permettere alla felicità di entrarci dentro; bisogna lasciare che la vita ci invada, bisogna lasciare che la vita viva in noi, che sussulti, che si muova (e-mozione), che nasca. Altrimenti, immersi nell’oceano, cercheremo l’acqua. E se tutto questo, qualche volta, non vi succede è meglio che vi facciate curare. Se non vi accade, è meglio che vi chiediate se il vostro cuore vive ancora o se è già morto. Perché lo stupore, la capacità di emozionarsi dice quanto siamo vivi.

Quando ci innamoriamo noi facciamo esperienza di trasfigurazione.

Cioè: vediamo nell’altra persona delle cose che solo noi vediamo (a dir la verità, a volte può anche succedere che vediamo cose che neppure ci sono!!!). Quando nel buio di una situazione entra una luce; quando eravamo persi e ci ritroviamo, noi facciamo esperienza di trasfigurazione (“ero perso, ma tu mi hai ridonato la luce”); quando scopriamo che la nostra vita così piccola e insignificante rispetto al mondo e ai sei miliardi uomini, ha un senso e uno scopo preciso, noi facciamo esperienza di trasfigurazione. Quando vediamo, percepiamo la bellezza di una persona, la sua forza, la sua sensibilità anche se da fuori non si vede, questa è trasfigurazione. Trasfigurazione è vedere le persone per quello che realmente sono, per quello che realmente sarebbero; è vedere la loro faccia vera, il loro vero volto, la loro figura come creata da Dio, quella non deformata dai giorni, dalle paure, dal dolore, dalle ansie e dalle angosce della vita.

Se vi capita di piangere di gioia, di sentirvi così felici da toccare il cielo, da poter dire: “Signore sono così felice, che adesso potrei anche morire, perché quanto ho vissuto mi basta, mi riempie”; se vi capita di essere così pieni, così ricchi da sentirvi in cielo, immensi, da chiamare le stelle sorelle, e i pianeti fratelli, da sentirvi caldi come il sole, o profondi come il mare, beh sappiate che questa è trasfigurazione. Il mondo dirà che siete matti, e continuerà ad essere infelice. Ma voi continuate a sentirvi matti, forse vi sentirete un po’ diversi, ma sarete tanto, tanto felici.

Tabor, il monte della trasfigurazione, significa sia “ombelico” che “principio di luce”.

La vita ci chiama a tagliare tutti i cordoni ombelicali (dipendenze) per poter nascere e vivere ogni giorno. Se il cordone ombelicale non fosse tagliato, il bambino morirebbe: non tagliare certi legami (cioè cambiarli, renderli più liberi o veri, chiuderli, perdonarli, modificarli, trasformarli) ci fa solo morire.

Bisogna tagliare il cordone con l’infanzia per diventare adolescenti; e poi questo per diventare adulti. Perché c’è un tempo per essere bambini ma non si può esserlo per sempre (quanti persone infantili!); c’è un tempo per essere adolescenti, spensierati, per trovare chi si è e ciò che si può fare, per trasgredire, ma poi bisogna crescere.

Bisogna tagliare con la madre e con il padre per potere essere se stessi. Bisogna tagliare i cordoni ombelicali con le esperienze che ci hanno fatto male, con i traumi, con ciò che ci sarebbe piaciuto essere e che non è mai stato e che mai sarà, con tutto ciò che ci fa male. Perché se non tagliamo con ciò che ci fa male, anche se è successo tanti anni fa, ogni mattina ci farà di nuovo male; perché altrimenti continuiamo ad inseguire cose che esistono solo nella nostra mente e non nella realtà. La vita è un continuo tagliare cordoni ombelicali per poter crescere.

Ma c’è un cordone ombelicale che non si taglia. Il legame con Dio rimane per sempre. Il Tabor, l’ombelico del mondo, ti dice: “Se sei attaccato qui, legato a me (re-ligione: essere legati), allora sei al sicuro. Questo legame rimane in eterno, questo cordone è d’acciaio e non si può troncare. Per quanto in basso tu cada o vada, questa corda ti terrà, e tu non ti perderai”. Quand’ero bambino il nonno si calò per pulire un pozzo (non era molto fondo, 4-5 metri, ma ai bambini tutto sembra enorme). Si legò alla vita e lo calarono giù. La mia paura era: “E se la corda si rompe?”. E loro mi tranquillizzavano: “Questa corda non si spezza mai”.

Ma Tabor significa anche “principio di luce”. E’ vero che le tenebre contengono la luce ma nessuno può discendere nelle tenebre se prima non ha visto la luce.

E’ stato così per ogni grande uomo: prima di compiere la sua missione c’è stato un sogno, una rivelazione, un incontro, una illuminazione che è diventata la forza, l’energia, la decisione per il viaggio. Giacobbe sognò la scala; Mosé vide il roveto ardente; Giuseppe e Maria fecero sogni su chi era quel loro figlio. Dopo quest’esperienza Gesù va deciso verso Gerusalemme, verso la morte e resurrezione. Ma è solo grazie a questa luce, a ciò che ha visto, a ciò che ha colto, a questa forza che qui gli è stata trasmessa che può affrontare il rifiuto, l’ostilità, la cattiveria e la morte degli uomini. Cioè: noi abbiamo bisogno di esperienze che ci illuminino su chi siamo, che ci facciano vedere quanto grandi siamo, che ci facciano vedere che noi abbiamo un grande potere, che noi siamo forti, che noi siamo figli dell’Altissimo, che noi possiamo.

Abbiamo bisogno di sentire la nostra forza, che “non è vero che siamo così e che non c’è niente da fare”; che “non è vero che non possiamo cambiare la nostra condizione”; che “non è vero che non possiamo essere felici da straripare di felicità e di vita”; che “non è vero che siamo destinati a vivere nella mediocrità, nel tirare avanti”. Abbiamo bisogno di persone che ci guardino negli occhi e che di dicano: “Tu lo puoi”; che ci dicano: “No, tu puoi essere diverso, tu puoi vivere di più”; che ci strattonino e ci sveglino: “Osa, vola, non adattarti; sei un’aquila non vivere come un pollo per paura!”; di persone che ci dicano: “Tu hai la luce negli occhi, io la vedo: sprigionala, tirala fuori, falla uscire”. Di persone che credano in noi e che ci dicano: “Io vedo la forza in te, anche se è nascosta; io vedo quello che puoi essere: non ti arrendere, non ti conformare, diventa la sorgente di vita che sei”. Abbiamo bisogno di persone che ci dicano: “Tu sei sempre stato così ma questa non è una condanna o un destino ineluttabile: tu puoi vivere, tu puoi tornare ad amare e a sentire il battito e la forza del tuo cuore, tu puoi tornare ad emozionarti e svegliarti la mattina con la sensazione che sia bello e che meriti infinitamente vivere”. Abbiamo bisogno di incontri, di esperienze, di persone che ci ricontattino con ciò che siamo davvero nel profondo, che ci mostrino quello che siamo, che ci facciano vedere la luce che c’è in noi, la forza, le risorse e i tesori che sono sepolti nella terra della nostra vita. Abbiamo bisogno di “madri” che ci amino, che ci stimino, che ci accolgano, che siano per noi un abbraccio caldo e accogliente per la nostra paura e un porto sicuro nel momento di sconforto, di tristezza, di buio e di difficoltà. Abbiamo bisogno di “madri” che noi sappiamo ci saranno sempre, che anche se noi andremo al largo loro lì ci saranno, se ne avessimo bisogno. Così possiamo spingerci al largo consapevoli che il porto c’è sempre, ed è sempre pronto ad ospitarci. Abbiamo bisogno di “madri” che ci diano quell’amore che ci fa credere in noi, che ci fa sentire belli, buoni, desiderabili, importanti, preziosi, così da poter anche noi un giorno credere in noi e andare. Questa è la “trasfigurazione”: trovare una madre, un luogo dove ci sente importati, dove ci sente amati per ciò che si è, dove ci si può abbandonare ed esser se stessi, dove si è al sicuro.

Abbiamo bisogno di “padri” che ci trasmettano la forza di andare al largo, di non vivacchiare, che ci diano l’entusiasmo e la passione di vivere al 100%, con energia, con tutto noi stessi; di “padri” che ci invitino ad osare, a provare, a non aver paura, che ci contattino con il nostro potenziale e che ci suscitino il desiderio di realizzarlo. “Padri” che ci amino invitandoci ad essere come Elia e Mosè; che la loro massima aspirazione per noi non sia il lavoro in banca (lo era una volta ma con il clima che c’è nelle banche oggi!), il posto sicuro, la vita tranquilla e il conto rimpinguato; ma che ci spingano e che ci diano come modello Elia o Mosè, uomini decisi, forti, che non ebbero paura, che cercarono di essere liberi, di aiutare i loro popoli, che smascherarono le idolatrie e le infedeltà, le corruzioni e le ipocrisie.

Questa è “trasfigurazione”: un padre che creda nella nostra forza e che ci faccia prendere consapevolezza di cosa possiamo essere (un Elia, un Mosè). Allora poi si può andare anche verso la passione; allora poi si possono affrontare anche momenti duri o difficili; allora si possono affrontare anche le difficoltà e i venti contrari perché dentro si ha un’energia, una forza, una motivazione forte: si ha Dio nel cuore.

Quando ero adolescente un giorno andai a trovare una ragazza che era al mare con i suoi genitori. Presi il treno alle 6 di mattina, cambiai e presi il pullman, poi mi feci alcuni chilometri a piedi e arrivai per le 2 del pomeriggio. Stetti insieme a lei un’ora (c’erano anche i suoi!) e poi tornai indietro arrivando a casa quasi a mezzanotte (persi anche il treno). Ne valeva la pena? Sì. Quando hai visto la luce, quando hai una motivazione forte, quando hai una grande energia, allora qualunque ostacolo è affrontabile. Solo perché Gesù ha vissuto un’esperienza forte e profonda come questa (e altre) ha potuto poi avere il coraggio e la forza di affrontare ciò che doveva affrontare.

Noi continuiamo a preoccuparci di cosa ci potrà accadere e speriamo che ci “vada bene”: cioè che ci succedano cose non troppo pericolose. E così continuiamo ad essere in balia dell’esterno, della paura degli eventi, di cosa ci toccherà vivere, di cosa ci potrebbe capitare. Ma la questione è un’altra: cos’hai dentro tu?. Non “cosa ci succederà?” ma “quanta forza hai?”. Perché prima o poi la tempesta arriva. Non si può essere così illusi da credere che non pioverà mai, che non arriverà la burrasca, la grandine, il gelo. E allora che si farà? Si vive sperando che ci vada sempre bene? La questione è quanto fonde sono le tue radici.

Io ho bisogno di “trasfigurazioni” di situazioni, di incontri, di persone che mi mostrino, che mi facciano vedere, toccare la mia forza, ciò che posso essere, che mi tirino fuori la luce, la passione, la motivazione che io ho dentro, perché così, quando verrà la difficoltà, io abbia l’energia sufficiente per affrontarla.


Pensiero della Settimana

Se non ci sono stati i frutti è valsa la bellezza dei fiori...
Se non ci sono stati i fiori e valsa l’ombra delle foglie...

Se non ci sono state le foglie è valsa l’intenzione del seme.

Fonte:

Commenti

Post più popolari