Paolo Curtaz,Sul monte Gesù si trasfigura."

Commento al Vangelo del 25 Febbraio 2018 – Metamorfosi

Metamorfosi
Sul monte Gesù si trasfigura.

Non come un super-eroe che si toglie l’abito da lavoro per mostrare chi è veramente.

È lo sguardo dei discepoli che vede Gesù in maniera nuova, luminosa.


Come se, finalmente, si accorgessero della possente luce interiore che emerge dalla persona di Gesù. Oltre il rabbino, il Maestro, il profeta, per la prima volta vedono con uno sguardo nuovo il volto di Gesù.

Trasfigurato.

Anche se, nell’originale, si parla di metamorfosi.

Un cambiamento della condizione in cui si viene a trovare Gesù. Colmo di luce.

Fa strano, ad essere sinceri, ritrovare questo vangelo così strabordante di gioia durante il percorso di quaresima che, invece, rappresentiamo come una mesta processione di penitenti dalla faccia lunga ed emaciata.

È pieno il mondo e sono piene le chiese di cristiani seriosi e depressi, tormentati e rassegnati. Abbiamo perso lungo la strada la straordinaria novità del Vangelo, la sua diffusione dilagante ad opera degli sguardi pieni di gioia di coloro che hanno incontrato il Dio di Gesù.

Ma è proprio il Tabor la meta del nostro cammino.

Per sopportare e superare il Golgota abbiamo bisogno di impregnarci di luce, di fare memoria della gioia, di inebriarci di festa, di lasciarci abbracciare dall’infinita bellezza del Dio di Gesù.

Il dolore lo si può affrontare solo se le nostre sporte di speranza sono colme.

Ma c’è una condizione necessaria per contemplare la bellezza di Dio.

Salire.

Dalla pianura
Gesù prende con sé tre dei suoi discepoli per salire sul Tabor.

Per vedere la bellezza di Dio dobbiamo osare ed abbandonare la pianura della quotidianità della ripetitività, dell’assuefazione. La vita ormai ci divora l’anima, la fagocita, la svilisce. Tanti giorni ripetitivi passati a correre per sopravvivere, per sbrigare le troppe cose che dobbiamo fare. Questo grande dono che è il tempo della Quaresima ci aiuta ad andare oltre, più in alto.

Alzare lo sguardo magari prendendoci mezza giornata vera di pausa, di silenzio, di pace.

Le nostre anime languono se non abbiamo il coraggio di porre una diga al delirio delle cose da fare.

Su quella piccola collina – chiamarlo un alto monte è più un riferimento al Sinai che una precisazione topografica – i tre discepoli vedono Gesù in una maniera nuova, diversa. È sempre lui ma non è lui. Lo sguardo delle altezze ha loro affinato l’anima. Vedono tutta la luce che emana dalla persona del Maestro.

Gesù parla con Mosè ed Elia. La Legge e i Profeti.

Per la comunità che legge il vangelo di Marco è un’evidente conferma dell’identità nascosta del Nazareno. Per noi, oggi, è un invito a metterci sulla strada della liberazione come il popolo di Israele e ad accogliere ed ascoltare le tante profezie che ancora ci giungono.

Luca, tenero, ci aggiorna sull’argomento del colloquio: parlano con Gesù della sua dipartita, della sua Passione. Come ad incoraggiarlo.

È bello
È Pietro a parlare, ora.

A dire il vero non sa nemmeno cosa dire, balbetta, farfuglia.

È bello per noi stare qui.

Ci sono momenti, nella preghiera, nella meditazione, durante una passeggiata in mezzo alla natura, in cui abbiamo la percezione profonda e precisa della bellezza di Dio. Essere invasi, abitati dalla sua immensa luce, avere la netta percezione di altro da noi stessi, di Qualcuno che ci sfiora, è un dono delicato dello Spirito.

È un momento indescrivibile e che, pure, chi ha vissuto riconosce.

Ma guai a farne la stabile dimora. Guai a cedere al sentimentalismo, alla gioia per la gioia.

Se Dio ci concedere attimi di gioia intensa e inattesa, di percezione della bellezza, è per suscitare i noi il desiderio del cammino.



Che prosegue se abbiamo la costanza di ascoltare il Figlio amato. di scrutarla ed accoglierla questa Parola che ribalta la vita. Parola che emerge dalla nube che richiama la teofania di Dio sul monte nel deserto.

Non possediamo la Parola, la accogliamo, la riceviamo come un dono prezioso da scrutare.

E che ci nutre di bellezza.

Risorgere dai morti

Scendono, ora, i discepoli.

Felici e storditi. Colmi di un gravido e complice silenzio.

Non si può dimorare sempre sulla cima del monte. Bisogna scendere. Perché Gesù, ora, scende in mezzo alla folla amata. Il Tabor si può prescrivere solo a piccole dosi.

E chiede di non raccontare nulla fino alla sua resurrezione.

Annuiscono, i discepoli.

Ma, annota Marco, non sanno cosa significhi risorgere dai morti.

Risorgere significa trasfigurarsi, una vera metamorfosi del corpo e dell’anima.

A noi, in questa quaresima, è chiesto di cambiare, di fare metamorfosi del nostro modo di vedere le cose e gli altri.
Verso il Tabor definitivo.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/



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