JUAN J. BARTOLOME sdb, Lectio 5a Domenica di Quaresima B

18 marzo 2018   - 5a Domenica di Quaresima B 
LECTIO DIVINA: Gv 12,20-32

Dopo la sua entrata trionfale a Gerusalemme, alcuni greci sono curiosi di vedere Gesù. In questo,
Gesù riconosce l'imminenza della sua ora; che gli estranei lo cerchino, avvicina il momento della sua morte. E sente reale paura, benché la superi anticipando il senso della sua tragica fine: la necessità della sua morte è conseguenza della necessità della vita di molti. Di passaggio, Gesù esplicita chiaramente che questa legge di vita non è esclusiva, raggiunge chiunque voglia servirlo. La passione di Gesù è la sua glorificazione e la salvezza per tutti: in lei si uniscono la gloria del Padre e la redenzione dell'uomo. Essere innalzato sulla croce valse a Gesù a vincere la paura della morte, a dare gloria al suo Dio e ad attrarre a sé tutto il mondo. Un mondo che perde interesse per la causa di Gesù è un mondo perso: solo la consegna della propria vita potrà salvarlo. Noi cristiani, invece di dispiacerci degli altri, dovremmo ricordare meglio i nostri doveri: trovare chi vuole vedere Gesù e portarlo fino a lui, affinché continui a salvare tutti.

In quel tempo
20 tra quelli che erano venuti a celebrare la Festa vi erano alcuni Greci; 21questi, avvicinandosi a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, gli domandarono: "Signore, vogliamo vedere Gesù",
22 Filippo andò a dirlo ad Andrea; Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
23 Gesù rispose loro: "E' venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato.
24 Vi assicuro che se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane infecondo; ma se muore, dà molto frutto.
25 Chi ama la propria vita, la perderà, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
26 Se uno mi vuole servire mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servitore; chi mi serve, il Padre lo onorerà.
27 Ora la mia anima è turbata e, che cosa dirò?: Padre, liberami da quest'ora. Ma è per questo che sono venuto, per quest'ora.
28 Padre, glorifica il tuo nome.
Allora venne una voce dal cielo: "l'ho glorificato e lo glorificherò ancora!".
29 La gente che stava lì e aveva sentito diceva che era stato un tuono; altri dicevano che gli aveva parlato un angelo.
30 Gesù prese la parola e disse: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi".
31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il Principe di questo mondo sarà gettato fuori. Ed io, quando sarò elevato da terra, attrarrò tutti a me.
32 Questo diceva facendo capire di quale morte doveva morire.
1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

L'entrata di Gesù a Gerusalemme, la sua strada verso la tomba, interessa tutte le persone che lo circondano e vogliono avvicinarsi a lui attraverso due dei suoi primi discepoli. La curiosità di alcuni greci è il motivo dell'ultimo discorso pubblico di Gesù, prima diretto ai suoi discepoli (Gv 12,23-32), dopo, in risposta alla gente (Gv 12,35-36). Gesù che è seguito senza essere capito (Gv 12,29.34), è interrotto, prima dalla voce celeste (Gv 12,28), dopo dalla gente (Gv 12,29). Per chiarire il malinteso, Gesù deve spiegarsi di più e meglio (Gv 12,30).
Alcuni greci, proseliti gentili che partecipavano alla festa, desiderano vedere Gesù (Gv 12,21). Per Giovanni vedere, oltre ad esprimere il desiderio di entrare in contatto con Gesù, denota la disposizione per credere in lui, ed è parte iniziale del processo personale di fede (Gv 9,37; 20,29).
Le prime parole di Gesù ai discepoli che gli presentano il desiderio dei greci, sono inaspettate (Gv 12,23-26). Né sono risposta all'informazione dei discepoli, né rispondono al desiderio dei greci. Gesù parla di sé, senza che gli importi molto quelli che lo circondano e lo cercano. È arrivata l'ora della glorificazione del Figlio dell'Uomo (Gv 12,23.28; 17,1) un tempo fino ad ora atteso (cf. Jn 2,4; 7,6.8.30; 8,20) e d'ora in poi realizzato (Gv 13,1; 17,1). Implicitamente si sta dicendo che l'accorrere della gente col desiderio di vederlo è ciò che ha convinto Gesù nel vedere la sua ora arrivata.
E dato che quell'ora coincide con la morte, Gesù introduce solennemente la similitudine del grano. La necessaria distruzione del grano è condizione previa del frutto che si aspetta. Senza morte non c'è vita; la fecondità vitale va unita alla consegna della vita (12,24): se non muore�, ma se muore... Morire da solo produce molte vite.
Ma Gesù dice di più, a sorpresa dell'uditore, stabilisce che la legge che dirige la sua esistenza e la "condanna" alla morte, deve segnare l'esistenza dei suoi. La morte di uno affinché vivano tutti è legge che raggiunge in pieno il cristiano: solo chi è disposto a consegnare la propria vita, la salva per sempre (Gv 12,25). Questa norma dell'esistere cristiano, paradossale non solo nella sua espressione chi ama la sua vita, la perde; chi la odia, la conserva, è convinzione fondamentale cristiana, presente in tutta la tradizione evangelica, (cf. Mc 8,34-35; Mt 10,38-39; 16,24-25; Lc 9,23-24; 17,33). Il destino di Gesù, dunque, raggiunge in pieno il discepolo; la morte di Gesù non smette di avere conseguenze: non esiste un altro percorso di vita per il credente diverso dal percorso di Gesù. Unicamente chi lo serve, perché lo segue in quella strada, arriverà ad essere dove il Figlio è: chi lo segue nella morte lo seguirà nella gloria. La sequela è qui identificata con il servizio personale (cf. Gv 13,16; 15,15.20) e questo, inteso come consegna di vita. L'adesione personale comporta l'abnegazione personale: la croce, anche per il servo di Gesù, è cammino di glorificazione (Gv 12,26).
La gravità del momento rimane sottolineata per il turbamento di Gesù (Gv 12,27), un raro istante di fragilità di Gesù in tutto il vangelo (Gv 11,33; 13,21; 14,1.27) davanti alla presunta morte: la sua tristezza mortale lo porta a pregare. Questo 'Getsemani giovanneo' (cfr. Mc 14,33-36; Mt 26,36-46; Lc 22,39-46) breve episodio di dubbio e di angoscia, è improvvisamente superato. Il discorso lascia vedere la convinzione di uscire vittorioso sulla morte; in bocca dell'inviato di Dio non vi è altra supplica che l'accettazione (Gv 12,27). Neanche nel momento di maggiore debolezza Gesù perde il contatto con suo Padre: cerca la gloria del Padre ed è quanto chiede (Gv 12,28a). Nelle opere del Figlio è stato continuamente glorificato il Padre (cfr. Gv 4,34; 5,36; 9,4; 10,25.37; 11,40; 17,4). Per quel motivo, nell'opera definitiva di Gesù, la sua morte, Dio si glorificherà definitivamente.
La risposta di Dio non si lascia aspettare. Il quarto vangelo che non ha narrato la trasfigurazione di Gesù (Mc 9,2-10; Mt 17,5; Lc 9,35) né ha menzionato la voce di Dio durante il battesimo (Mc 1,9-11; Mt 3,17; Lc 3,22) racconta ora la presenza di una voce celeste che risponde alla sua richiesta (Gv 12,28b): la stessa voce che lo presentò al Battista (Gv 1,33) risuonerà di nuovo per assicurargli la gloria: l'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò. Così rimane trasfigurata l'unica scena di debolezza ed angoscia del vangelo.
Il popolo si divide davanti al fatto (Gv12,29) chi pensa ad un tuono, voce di Dio (cf. Es 9,28; 19,16) chi ad un angelo (Atti 22,9). Entrambe le reazioni ratificano la realtà dell'evento e, contemporaneamente, confermano l'incapacità di comprenderlo. Il malinteso provoca il commento di Gesù che spiega che la voce (Dn 4,28) non è per lui, che si sa ascoltato sempre (Gv 11,42), bensì per essi (Gv 12,30). Dopo aver pregato la sua angoscia, Gesù si trasforma nell'interprete di quanto dice Dio.
L'accettazione della morte da parte del Figlio e la risposta glorificatrice del Padre comporta il giudizio del mondo e la vittoria sul principe di questo mondo (Gv 12,31), condannato ad essere espulso. Non c'è oramai scampo. La passione imminente accelera l'ora della crisi definitiva. Ora è arrivato il momento della decisione: chiunque potrà sentirsi attratto verso di lui (Gv 12,32; 8,28) quando sarà elevato. Tanto il redattore come i suoi lettori capiscono quell'essere elevato come allusione alla morte di Gesù (Gv 12,33). Per essi, dalla croce, posto del trionfo e della gloria, Gesù attrae i suoi, riunendo i dispersi affinché, seguendolo fino alla croce, ottengano la gloria. Gesù crocifisso è faro di attrazione universale. L'unico scoglio insuperabile lo formano ancora gli increduli. Ciò è oggi, severa avvertenza per noi.

2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Il vangelo di oggi è preso dalla narrazione che fa Giovanni della settimana santa, degli ultimi giorni di Gesù a Gerusalemme. Quello che ci è raccontato, fatti e parole, è di grande valore, perché ci è trasmessa una parte dei ricordi che i discepoli hanno conservato di quei giorni e di quel Gesù, tanto disposto a morire per noi; possiamo unirci così un po' di più al mistero personale di Gesù, scoprendo meglio i sentimenti del suo cuore e contemplando le ragioni che lo portarono ad accettare la sua morte in nostro favore.
Ricordando come Gesù affrontò la sua propria fine dovremmo commuoverci: dovremmo oggi, alla sua presenza, domandarci se la nostra vita è cambiata in qualcosa durante questo tempo di quaresima, se ci siamo aperti alle sue esigenze, se riusciamo ad accettare la sua volontà, se ci siamo lasciati afferrare dal suo amore. Perché non arriveremo ad essere autenticamente cristiani, se continuiamo vivendo oggi come ieri, questo anno come il passato, senza introdurre nessun miglioramento nella nostra vita, senza rinunciare a quei mali che ci dominano, senza optare per il bene, sapendo che Gesù ha rinunciato alla sua vita e che ha optato per consegnarla a nostro favore e al nostro posto. Il racconto evangelico di oggi ci parla, precisamente, della volontà di Gesù di morire per noi e ci indica la croce come il segno ed il posto della sua consegna, la conferma del suo amore.
Per paradossale che ci sembri, se dovessimo sentirci ancora lontani da Dio, che rinasca la voglia di convertirci a lui: è significativo che il vangelo di oggi abbia menzionato alcuni stranieri che volevano vedere Gesù. Tra tanta gente che era andata a Gerusalemme per la festa, solo alcuni sconosciuti si informarono su Gesù e vollero conoscerlo; gli altri, tutta una folla, non si preoccuparono di Gesù, occupati come erano a celebrare la festa. E non facevano niente di male, perché per questo erano andati a Gerusalemme. Ci risulta oggi facile censurare i contemporanei di Gesù la loro indifferenza per lui; crediamo di poter rimproverare loro quello che si sono persi, quando persero l'occasione di trovarlo faccia a faccia. Non ci rendiamo conto che essi, come noi oggi, credevano di conoscere Gesù quanto basta perché richiamasse troppo la loro attenzione; senza aspettarci niente di nuovo - niente di buono - da lui, difficilmente ci metteremo alla sua ricerca.
E così, come ieri i suoi contemporanei, noi cristiani di oggi stiamo lasciandocelo strappare da quelli che sono più lontani, da chi non lo conosce troppo, da chi viene da lontano per vederlo meglio da vicino. Abituati come siamo ad averlo vicino, non abbiamo più curiosità per lui: non c'è dubbio, dovremmo riconoscere che i nostri molti anni di pratica religiosa stanno soffocandoci la voglia di scoprirlo di nuovo; stiamo perdendolo a poco a poco, solo perché lo trattiamo giorno per giorno con disinteresse ed indifferenza. Per considerarlo come ovvio, per non prendere sul serio la sua volontà di amarci più che la sua propria vita, siamo sul punto di perderlo e perdere noi stessi: perché se perdiamo Gesù, chi ci salverà? o forse conosciamo qualcuno meglio di lui che sia disposto fino a dare la sua vita per noi?
Quando Gesù fu informato della presenza di alcuni che lo volevano vedere, si rese conto che l'ora della prova era arrivata: la sua morte e la sua glorificazione erano alle porte. Che qualcuno lo cerchi in realtà lo convince della prossimità della fine della sua vita: se qualcuno tra di noi è interessato a Gesù, deve sapere che la ragione non sta nella sua curiosità personale, bensì nella volontà di Gesù di offrirsi per ognuno; lo affermò Gesù: 'quando io sarò elevato da terra, attrarrò tutti a me.' La morte di Gesù per noi in croce è la fonte ed il motivo del nostro interesse per lui; nonostante la nostre incostanze e dimenticanze, Gesù ha pagato un alto prezzo per guadagnarsi le nostre attenzioni: dimenticarsi di ciò rende più difficile ritornare a lui; per far si che ci interessiamo di lui, Cristo è morto in croce.
C'è un altro dato curioso nel vangelo di oggi: quelli che venivano da lontano non andarono direttamente da Gesù; domandarono ai discepoli che lo accompagnavano. Essi erano coloro che meglio lo conoscevano che avevano fatto più strada vicino a lui che sapevano dove trovarlo e come parlargli. Chi cerca Dio in Gesù, dovrà andare attraverso coloro che vivono in compagnia di Dio: cercare Dio da soli, liberi, nella propria intimità, senza intermediari, non ci dà garanzie di trovare il Dio vero. E' Lui che è più grande della nostra speranza, è Lui che rimpicciolisce la nostra immaginazione, è Lui del quale noi siamo immagine e somiglianza, è Lui, in una parola, che si trova dove un uomo ci ha amato fino a dare la sua vita per noi in una croce.
Quanti cerchiamo Gesù abbiamo bisogno di trovare chi ci conduca verso di lui, credenti che abbiano percorso la strada che noi tentiamo di iniziare; condotti dalle loro mani, senza obbligarli ad essere migliori di noi, camminare al loro fianco, approfittando della loro esperienza, ci eviterà di sbagliare strada. E chi ha ottenuto la compagnia di un discepolo ed ha trovato Gesù, dovrebbe offrirsi a chi ancora lo cerca, come compagno di passaggio verso Gesù. Se siamo sicuri di averlo trovato, perché non sentirci orgogliosi di guidare altri verso Gesù? Che diritto abbiamo di far morire la nostra scoperta in noi? Per quale strana ragione non ci dedichiamo ad aiutare coloro che lo cercano per fargli trovare Gesù?
Tutti abbiamo avuto la necessità di qualcuno per incontrarci con Dio. E' perché non risulta facile arrivare fino a Lui. La similitudine del chicco di grano che Gesù usa quando vengono a dirgli che lo stanno cercando, ci fa capire che chi si avvicina a Gesù lo vedrà, non come se lo aspettava, glorioso, potente, attraente, stupendo, bensì nascosto, sconosciuto, seppellito, sospeso ad una croce. La croce, fa notare Gesù a quanti oggi abbiamo sentito il desiderio di cercarlo e di darci appuntamento con lui, è il suo posto di residenza, il segno per riconoscerlo: cercarsi un Dio che non stia in croce è condannarsi a non trovare mai il Dio di Gesù. E qui sta la radice del nostro male: vogliamo avere un Dio, è vero, ma odiamo averlo in una croce; a che motivo può servire un Dio tanto debole, tanto impotente? Se neanche poté liberarsi dalla sofferenza e dall'umiliazione, come potrà difenderci da esse?
E tuttavia, perché cerchiamo disperatamente di salvarci, salvare la vita, perché fuggiamo tanto coraggiosamente dal consegnarla per gli altri, la perdiamo senza rimedio, e non solo 'l'altra', ma anche questa: prodigandoci di conservare la vita, stiamo sprecandola e compromettendo quella eterna. Sognando salvezze che escludano la croce, non ci svegliamo alla vera vita: che tipo di servi, amici, siamo che desideriamo di essere migliori del signore amico? Se oggi ci siamo sentiti lontani da Dio che sta in croce, torniamo a lui: sta aspettandoci, precisamente per quel motivo è rimasto in una croce.

Juan Jose BARTOLOME SDB
Fonte:http://www.donbosco-torino.it

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