Paolo Curtaz, "Di corsa"

Commento al Vangelo di domenica 1 Aprile 2018 - Paolo Curtaz
Di corsa

Corrono.

Anche se non ha senso. Corrono mentre il sole accarezza le bianche pietre di Gerusalemme.



Calpestano i vicoli che cominciano a rianimarsi dopo la grande festa di Pesah.

La paura che li ha spinti a nascondersi come dei topi si è liquefatta.

È bastata la parola di Maria di Migdal, anche lei col fiatone, quando è corsa al quartiere degli esseni, sul Monte Sion, nella stanza del piano alto così densa di ricordi.

Lo hanno portato via!

Lo stupore per quella notizia inattesa li ha spinti a correre. E ancora corrono finché escono dalla porta della città che conduce verso Giaffa. Alla loro destra, lugubre, il calvario con i segni del sangue rappreso dei crocefissi. Atroce vendemmia dell’odio e della violenza.

Intorno al piccolo promontorio di roccia fallata lasciato indietro dagli scalpellini della cava in disuso, ormai, cresce un giardino e, sfruttando il dislivello che con gli anni si è creato cavando le pietre a ridosso della collina, alcuni ricchi abitanti della città si sono fatti intagliare preziose tombe addossate alla roccia.

Una di queste, quella di Giuseppe di Arimatea, è servita per accogliere il corpo straziato del Nazareno.

La pesante pietra che ne bloccava l’accesso, per impedire agli animali selvatici di fare scempio dei cadaveri, è ribaltata.

Si fermano, ora, i due discepoli.

Riprendono fiato.

Guardano senza entrare.



È risorto!

Non è statica la fede, non impaludata, non inchiodata. È una corsa a perdifiato per andare a verificare.

Per misurare la verità delle parole che altri testimoni ci hanno comunicato.

Una donna, in questo caso. Maria di Migdal, l’apostola degli apostoli.

Quando qualcuno ci racconta di avere incontrato un Dio che gli ha ribaltato la vita si corre.

Eccome se si corre. L’amore mette le ali e fa volare.

Lasciando alle nostre spalle tutte le paure e le incongruenze, i limiti e i peccati.

Ancora non sanno.

Ancora non immaginano.

Solo la notizia di un’assenza. Spiegabile in mille, ragionevolissimi modi.

Un furto da parte del Sinedrio. Un furto da parte degli avversari. O qualche discepolo esaltato.

Spiegazioni plausibili. Tutte. Meno una.

La più assurda: Gesù è risorto, come aveva detto.

Non rianimato, risorto. Non come Lazzaro, ma in una nuova dimensione a noi totalmente sconosciuta.

È vivo.



Nessun segno

Corrono, e prima arriva il discepolo che Gesù ama, tradizionalmente indentificato con l’evangelista Giovanni. È più giovane, certo, ma è anche un modo delicato per dire che l’amore corre e arriva sempre prima. Che l’amore si fida e crede.

Prima di Pietro, dell’autorità, della Chiesa, del ministero, dell’istituzione.

C’è sempre questo duplice aspetto nella vita di fede: intuizione e istituzione, carisma e magistero, Giovanni e Pietro.

Ma è l’amore che precede.

Nessuno si converte al risorto sul ragionamento o sull’abitudine.

È anarchico l’amore, creativo, intuisce, arriva subito alla conclusione.

Corre.

Ma, è questo è bellissimo, Giovanni si ferma e lascia passare Pietro.

Lo rispetta. Sa che entrambe le dimensioni sono essenziali.

Il carisma brucia, l’esperienza pondera.

L’amore è folle, la prudenza lo incarna.



Segni

Piccoli segni. Il lenzuolo, le bende, il sudario.

Alcuni azzardano una descrizione anomala, come se il lenzuolo si fosse svuotato. Possibile.

Ma sono segni poveri quelli che indicano la verità della resurrezione.

Nessun segno eclatante, porte ribaltate, esplosioni atomiche, luci abbaglianti.

Niente.

Perché la resurrezione è così: spinge a credere. Ma senza obbligare.

Anche noi, se vogliamo, possiamo imitare Giovanni.

Vedere e credere.

Non vedere il risorto, ma i segni della sua assenza.



Così inizia il nostro cammino di Pasqua.

Cinquanta giorni, dieci in più della quaresima!, per convertirci alla gioia.

Per passare dalla visione crocefissa della fede ad una luminosa e gioiosa.

Non è evidente e se ne accorgeranno i discepoli.

Ma questa è un’altra storia.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/



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