Ufficio Liturgico Nazionale CEI"RISURREZIONE DEL SIGNORE"

Pasqua 2018. Commento alle letture della Messa a cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale CEI

DOMENICA DI PASQUA
RISURREZIONE DEL SIGNORE

Parola di Dio
At 10,34a.37-43: Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti
Sal 117: Rit. Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo oppure Alleluia, alleluia, alleluia
Col 3,1-4: Cercate le cose di lassù, dove è Cristo oppure 1Cor 5,6b-8 Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova
Gv 20,1-9: Egli doveva risuscitare dai morti (nella Messa del giorno)
Lc 24,13-35: Resta con noi perché si fa sera (nella Messa vespertina)

Commento
Nella celebrazione del giorno di Pasqua troviamo come brano evangelico la scoperta del sepolcro
vuoto il primo giorno dopo il sabato nel Vangelo di Giovanni (Gv 20,1-9). Gli altri testi della liturgia della Parola di questo giorno sottolineano alcuni aspetti del mistero che si celebra. Il brano degli Atti degli Apostoli (At 10,34a.37-43) riporta il quinto discorso di Pietro nel quale l’apostolo ripercorre la vita di Gesù che passò facendo del bene e risanando. Pietro lega gli eventi pasquali all’intera esistenza di Gesù a partire dal battesimo predicato da Giovanni. I discepoli che hanno vissuto con Gesù non sono solo testimoni della sua risurrezione, ma della sua intera esistenza. In questo modo viene sottolineato come tutta la vita di Gesù è stata segnata dalla logica pasquale del dono di sé. Nella Lettera ai Colossesi (1Cor 5,6-8) si proclama che la risurrezione del Signore è ormai un fatto che riguarda la vita di tutti i credenti, che sono «risorti con Cristo» (Col 3,1). Questa realtà illumina di luce nuova la loro esistenza e deve segnare concretamente la loro vita. In fondo nella prima e nella seconda lettura si proclama che come la realtà della Pasqua ha segnato l’intera esistenza terrena di Gesù, così deve anche trasformare ed illuminare quella dei cristiani.

Non dobbiamo leggere il brano evangelico come una cronaca di ciò che avvenne il giorno della risurrezione del Signore, bensì come un itinerario di fede verso l’incontro con lui che i discepoli di ogni tempo possono e devono vivere. Protagonisti di questo itinerario di fede sono Maria Maddalena, la prima testimone della tomba vuota, Pietro e il discepolo che Gesù amava.

Il primo tratto dell’itinerario di fede che il brano evangelico vuole farci compiere è affidato alla figura di Maria Maddalena. Essa si reca al sepolcro spinta dal legame che aveva con il Maestro defunto. È ancora buio e siamo nel primo giorno della settimana, il primo giorno della creazione. Per la prima volta troviamo nel testo il verbo vedere [blepo], che nel Vangelo di Giovanni appartiene al vocabolario della fede. Questa sguardo di Maria, avvolto dal buio esteriore ed interiore nel quale essa si trova, è un modo di guardare che sta ancora all’inizio del cammino di fede. Lo sguardo di Maria è ancora segnato da «una visione materiale, una visione che non comprende» (B. Maggioni). Maria non entra nemmeno nel sepolcro, ma va a dare l’annuncio ai discepoli. La sua incomprensione emerge dalle parole che rivolge ai discepoli: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro» (Gv 20,2).

Alle parole di Maria, Pietro e il discepolo amato corrono alla tomba. I due discepoli corrono al sepolcro e uno dei due, il discepolo amato, corre più forte di Pietro e raggiunge per primo la tomba. Egli tuttavia non entra, ma si china e vede. La sua esperienza è simile a quella di Maria Maddalena: il testo greco usa lo stesso verbo. Tuttavia egli vede qualcosa di più di Maria: si avvicina alla tomba vuota, si china e vede le tele che ricoprivano il cadavere del Signore.

Poi alla tomba giunge anche Pietro. Egli, a differenza dell’altro discepolo, entra nella tomba e vede [theoreo] le bende e il sudario. In questo caso non si usa più lo stesso verbo che abbiamo trovato a proposito di Maria e del discepolo amato. Si tratta di un verbo che indica qualcosa di diverso rispetto a quello usato nei casi precedenti. Non siamo ancora alla meta del cammino, «non è ancora lo sguardo della fede, ma è pur sempre uno sguardo attento, che suscita il problema e rende perplessi» (B. Maggioni).

Infine, entra anche l’altro discepolo. Egli entra, davanti ai suoi occhi trova le stesse cose che vide Pietro, ma di lui si dice che vide (orao) e credette, oppure, potremmo anche dire, «vedendo credette». Qui si usa un terzo verbo che indica la vista, il verbo greco orao. Questo verbo indica «il vedere penetrante di chi sa cogliere il significato profondo di ciò che materialmente appare» (B. Maggioni).

Usando questi verbi diversi per indicare l’unica esperienza del vedere è come se l’evangelista Giovanni volesse indicarci appunto un itinerario di fede. Ci sono personaggi differenti tra loro, che vedono in modo differente anche a seconda della loro vicinanza alla tomba vuota: solo quando entra nel sepolcro vuoto il discepolo che Gesù amava riesce ad avere lo sguardo della fede. Ciò che i discepoli fanno non è altro che l’esperienza di un grande vuoto, l’esperienza di una assenza. Vedono solo i segni dell’assente. Ma entrando nella profondità di quel vuoto e di quell’assenza, lo sguardo può divenire capace di vedere veramente il senso di ciò che è accaduto.

Ma non possiamo dimenticare un altro particolare decisivo: colui che arriva allo sguardo della fede non è, per ora, né Maria Maddalena – di lei il Vangelo di Giovanni parlerà più avanti – né Pietro, bensì quel discepolo senza nome che viene chiamato il discepolo che Gesù amava. Non bastano i segni dell’assenza, occorrono gli occhi dell’amato per arrivare allo sguardo della fede.

L’assemblea liturgica nel giorno di Pasqua è invitata a compiere lo stesso itinerario di fede del discepolo amato per giungere ad uno sguardo che sa penetrare il mistero dell’assenza e del vuoto per arrivare ad una visione diversa della realtà e alla fede. E’ in una conversione dello sguardo alla luce della risurrezione che la liturgia pasquale ci invita ad entrare sulle orme di Maria, Pietro e quel discepolo che Gesù amava.

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