Padre Paolo Berti, “Gli rispose Tommaso: ‹Mio Signore e mio Dio›”

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia           
Gv.20,19-31 
“Gli rispose Tommaso: ‹Mio Signore e mio Dio›”


Omelia
Avevano paura di essere catturati e messi a morte quali complici di Cristo gli apostoli, per questo restavano nel cenacolo, a porte chiuse.
Tommaso con un gesto di rottura con gli altri apostoli era uscito. Gli pareva che nel cenacolo non ci si potesse stare poi più di tanto. Le notizie che Gesù era risorto l'avevano persuaso che stando in quella situazione tutti avrebbero perso la testa. E così era uscito. Quando ritornò e sentì che Gesù era entrato nel cenacolo pensò che tutti i dieci fossero più o meno ammattiti. L'unico esente da allucinazioni, con i piedi per terra, si sentì lui. Il fatto che i dieci dicevano che Gesù fosse entrato a porte chiuse era per lui la prova che aveva davanti a sé degli ammattiti.
Ma non era così. Era risorto; è veramente risorto!
Vediamo ora di precisare in che cosa consiste la risurrezione gloriosa; quali i passaggi del corpo dissanguato, inerte, ricoperto di bende, a corpo vivo, glorioso. Prima di tutto, il corpo ritornò ad essere atto a ricevere l'anima. Così si ricompose il sangue, il cuore cominciò a battere, la circolazione sanguigna cominciò di nuovo ad essere. Rimase la ferita nel costato, nelle mani, nel cuore, senza che ci fosse dissanguamento. Nessun dissanguamento, perché il corpo mentre ritornava ad essere atto a ricevere l'anima venne reso immortale, cioè posto sotto l'azione divina che lo sottraeva eternamente ai bisogni del nutrimento, dell'ossigeno; lo sottraeva eternamente alla morte senza alterarlo in quanto corpo fisico. L'anima ridondò nel corpo la beatitudine dell'essere nella gloria, a cui si aggiunse la beatitudine di avere di nuovo il corpo, un corpo sottratto ai limiti terreni; un corpo immortale, da vincitore degli urti crudeli della terra. Un corpo da vincitore della morte. Cristo risorto mangiò e bevve (Lc 24,42) davanti ai discepoli, ma non perché avesse bisogno di cibo o di bevanda, ma per attestare ai discepoli che realmente era lui. Qualcuno si potrà domandare quale fine fece il cibo preso da Gesù. La risposta è che venne ridotto al nulla. Se infatti fu capace di moltiplicare pani e pesci vincendo il nulla, poteva ben riportare tutto nel nulla. Il miracolo nella situazione della gloria non è più l'eccezione.
La luce sfolgorante che emanava il corpo del Risorto, non era inerente di necessità al corpo, ma era il riflesso visibile della gloria che il Padre dava al Risorto. Gesù, infatti, quando si fece vedere dalla Maddalena al sepolcro non radiava luce, e neppure quando si accompagnò ai discepoli di Emmaus. Il passare attraverso una parete non è poi proprio di un corpo, ma è un miracolo che Dio operò per far vedere che il Risorto era sottratto ai vincoli della terra.
L'innalzarsi nel cielo di Gesù non è dovuto in sé al corpo, ma era inerente alla gloria che il Padre dava al Figlio.
Tommaso non credette ai dieci apostoli, afferrato dalla sua presa di posizione. “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”, gli disse Gesù di nuovo apparso nel cenacolo. Tommaso non allungò la mano, non esaminò col tatto, disse solo: “Mio Signore e mio Dio!”.
Non era nel cenacolo Tommaso quando i dieci ricevettero lo Spirito Santo in ordine alla remissione dei peccati; lo ricevette in quel momento, ma senza alcun gesto di insufflazione; lo ricevette per la ripresa della comunione con gli altri apostoli. Tommaso credette alla risurrezione e si ricredette riguardo la testimonianza data dagli altri apostoli.
“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”, affermò Gesù a conclusione. Beati perché lo sanno vedere nei credenti, nei testimoni di Cristo, stabilendo con questi un vincolo di appartenenza reciproca in lui, nel dono dello Spirito Santo. La fede non è solo mossa dal vedere, ma dall'amare. Accogliere la testimonianza dei credenti è credere ed è amare. Se mancasse l'amore non ci sarebbe il credere. La fede si mantiene mantenendo il vincolo di carità che lega il battezzato alla Chiesa. La mancanza di carità ottunde la fede, e la fede indebolita porta allo spegnimento della carità. La viva appartenenza alla Chiesa è verificabile da ciascuno, come ci dice san Giovanni: “Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti”. Amare Dio è inscindibilmente connesso all'obbedienza a Dio, che comanda l'amore. Senza l'obbedienza alla Parola non c'è amore, non c'è carità, cioè l'amore dono dello Spirito Santo (Cf. Rm 5,5). La Parola comanda un amore che non è semplicemente umano, ma soprannaturale; e tale amore non può essere vissuto senza l'obbedienza alla Parola che lo comanda e senza il dono dello Spirito Santo che lo permette. Senza obbedienza non c'è l'amore, non c'è vera fede. C'è solo un procedere usando del calore umano unito ad un credere vuoto, intellettuale, che non coinvolge il cuore.
E' la forza della testimonianza che diffonde la fede; Tommaso lo capì, e lo capirono gli altri apostoli udendo le parole di Gesù: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Ci sarebbe da rimanere scoraggiati, inerti, se non sapessimo che la testimonianza e l'annuncio sono la via alla fede; se non sapessimo che all'annuncio di Cristo crocifisso e risorto, alla testimonianza autentica di lui mediante l'imitazione, si accompagna l'azione della grazia, e che da ciò nasce la fede.
La Chiesa si è diffusa per mezzo della testimonianza. Abbiamo ascoltato nella prima lettura che gli apostoli “Con grande forza rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande stima”. Nessuno di loro era pensato come un esaltato; la loro testimonianza si traduceva in concretezza d'amore. Gesù ci dice che chi offende il suo fratello dandogli del pazzo è nel male, non solo perché manca di carità, ma perché mira ad annullare la testimonianza di Cristo che il fratello dona (Cf. Mt 5,22); “Sarà sottoposto al fuoco della Geenna”, ci dice il Signore.
La comunità fondata nella fede nel Risorto è una comunità animata dalla carità, dono dello Spirito Santo. Nel brano degli Atti che abbiamo ascoltato non c'è nessun collettivismo, ma solo solidarietà. Non c'è espropriazione dei beni, ma offerta libera dei beni. I beni non finiscono come proprietà degli apostoli, ma vanno ai poveri, ai bisognosi della comunità. Non c'è un regime di concentrazione dei beni nelle mani degli apostoli per un governo temporale sui fedeli. Questo lo pensarono Anania e Saffira (At 5,4); lo pensò Simon mago (At 8,18), che credette che avrebbe fatto affari dando come gli apostoli lo Spirito. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it

Commenti

Post più popolari