Paolo Curtaz, "Una nuova prospettiva"


Commento al Vangelo di domenica 15 Aprile 2018 - Paolo Curtaz
Una nuova prospettiva

Parlano in fretta, i due tardoni di Emmaus.

Si sovrappongono, esagitati, scossi dall’incontro col pellegrino.



Il loro incontro col risorto è stato segnato da quella frase sconcertante: noi speravamo.

La speranza declinata al passato.

Poi lo scossone di quel forestiero che, no, non sapeva cosa era accaduto a Gerusalemme, anche se parlavano della sua morte. E che li aveva amabilmente presi in giro e catechizzati.

Poi, allo spezzare del pane, tutto era diventato evidente, appena prima che egli sparisse.



Bevono le loro parole, i pavidi apostoli.

Ascoltano e confermano le tante notizie. Ora sono due maschi a parlarne, non le donne che, si sa, sono sempre emotivamente instabili.

E mentre parlano arriva.

Lui, il risorto. Il presente. Il Signore.

Quando raccontiamo agli altri la nostra esperienza di fede, quando l’incontro con Dio trasuda dalle nostre parole, Gesù si manifesta nel cuore di chi ci ascolta.

È così, la fede, un comunicare da bocca a orecchio. Da cuore a cuore.



Paura

Ma hanno paura. Troppa per credere.

Paura che sia un’illusione, una finta, un trucco, un inganno. E i dubbi, pronti, sono lì a battere cassa, a fare l’elenco dell’improbabilità di quanto successo. I nostri dubbi.

Hanno paura di credere, di osare, i discepoli.

Troppo bello per essere vero.

È un fantasma.

Evanescente.

Un ricordo. Un’allucinazione. Un ectoplasma.

Come pensiamo, sul serio, che sia Gesù.

Un bravo tipo perso nei fumi sacri della Storia.

Un fantasma.

Così riduciamo, troppe volte, il nostro Maestro.



Gesù, come con Tommaso, insiste, osa, scuote, obbliga.

Guardate, toccate, vedete.

Ma è un po’ di pesce arrostito condiviso a convincerli.

Un gesto di assoluta concretezza.

Solo nei colori, nei suoni, negli odori, nei ricordi, possiamo riconoscere il Risorto.

È concreta la fede. Fatta di sudore e sangue.



I doni

Ci riempie di doni, il Signore.

La pace, anzitutto. Quella che ci deriva dalla certezza di essere amati.

La pace che non è un’irrealistica utopia di un mondo che, invece di andare verso l’unità, sembra esplodere nell’odio e nella violenza.

Il cristiano è pacifista perché pacificato, perché, in Cristo risorto, sa che nessuna croce è definitiva.

La pace, che non esclude momenti di sconforto, di dubbio, di rabbia, è un dono che va accolto e conquistato. Il primo dono ai credenti.

Dimorare nella pace significa mettere Cristo al centro, prenderlo come punto di riferimento definitivo e vincolante.

Amare. Vivere da risorti.

La resurrezione non è qualcosa che ci capiterà un giorno, se facciamo i bravi.

Ma la condizione in cui siamo posti da ora, se credenti.



Una mente spalancata

Per poter vivere da persone riconciliate col mondo e con gli altri, con noi stessi e col nostro passato, siamo chiamati a interpretare e leggere la nostra vita alla luce della resurrezione.

Difficile, ovvio.

Mi consola il fatto che gli apostoli, prima di noi, abbiano dubitato, come me.

Eppure quella è la strada, l’unica percorribile, l’unica vera.

Il mondo da sempre è divorato dalla violenza e dall’egoismo e l’uomo, nonostante le periodiche e illusorie prospettive che vedono in esso una bontà naturale nei fatti indimostrabile, è segnato dall’ombra del peccato e della morte.

Eppure siamo salvati e redenti.

Risorti con Cristo, cerchiamo le cose di lassù, dove è seduto il Cristo.

Lo Spirito, dono del risorto, ci permette, attraverso la meditazione della Scrittura, di leggere la nostra vita ad un livello più profondo e autentico.

Ed è quello che stiamo facendo qui, ora.



Solo alla luce del risorto possiamo gettare leggere la Storia dalla prospettiva di Dio.

Una gran bella prospettiva.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it



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