Abbazia Santa Maria di Pulsano, Lectio DOMENICA «DI PENTECOSTE»
DOMENICA «DI PENTECOSTE»
Anno B
Giovanni 15,26-27; 16,12-15 Atti. 2,1-11; Salmo 103; Galati 5,16-25
La Pentecoste è la festa dello Spirito santo: la sua discesa nella Chiesa è un avvenimento di salvezza, cioè uno di quegli interventi di Dio che nella realizzazione del piano della salvezza decidono in modo unico e definitivo delle sorti del mondo.
Il senso della Pentecoste quale avvenimento di salvezza è dato dai seguenti aspetti:
1. Effusione dello Spirito santo quale segno degli ultimi tempi. La Pentecoste realizza le promesse di Dio secondo cui negli ultimi tempi lo Spirito sarebbe stato dato a tutti (cf. Ez 36,27). Giovanni Battista aveva annunciato che Cristo avrebbe battezzato nello Spirito santo (Mc 1,8). Gesù risorto conferma: «Tra pochi giorni sarete battezzati nello Spirito santo» (At 1,5). I Padri hanno paragonato questo «battesimo nello Spirito santo», che segna l'investitura apostolica della chiesa, al battesimo di Gesù, il quale segnò l'inizio del ministero pubblico del Signore. La Pentecoste, perciò, dai Padri è stata vista come il dono della nuova legge alla Chiesa secondo gli annunci profetici (cf. Ger 31,33; Ez 36,27). La legge della chiesa infatti non è più la legge scritta, ma lo stesso Spirito santo: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato» (Rm 5,5).
2. Coronamento della pasqua di Cristo. Il Cristo morto, risorto e glorificato alla destra del Padre porta a termine la sua opera di salvezza effondendo lo Spirito sulla comunità apostolica. La Pentecoste è pertanto la pienezza della pasqua, il mistero pasquale totale.
3. Raduno della comunità messianica. I profeti avevano ripetutamente annunciato che i dispersi sarebbero stati radunati sul monte Sion: in questo modo l'assemblea di Israele sarebbe stata unita attorno al Signore. La Pentecoste realizza a Gerusalemme l'unità spirituale dei giudei e dei proseliti di tutte le nazioni: docili all'insegnamento degli apostoli, essi partecipano insieme e nella comunione fraterna alla mensa eucaristica e alla preghiera comune.
4. Comunità aperta a tutti i popoli. Lo Spirito santo è donato per una testimonianza che deve essere portata fino alle estremità della terra. Il fatto che gente di diversa lingua comprenda la lingua nella quale parlano gli apostoli, dice che la prima comunità messianica si estenderà a tutti i popoli. La Pentecoste dei pagani lo dimostrerà (cf At 10,44ss.). La divisione operata a Babele (Gen. 11, 19) trova qui la sua antitesi e il suo termine positivo. Il miracolo della Pentecoste è perciò la risposta divina alla confusione e alla dispersione.
5. Partenza e missione. La Pentecoste raduna la comunità messianica e segna il punto di partenza della sua missione. Il discorso di Pietro «in piedi con gli undici» è il primo atto della missione affidata da Gesù agli apostoli: «Riceverete una forza, lo Spirito santo... Allora sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At. 1,8). Il senso dell'avvenimento pentecostale è sottolineato da un duplice miracolo: gli apostoli ripieni di Spirito santo cantano le meraviglie di Dio esprimendosi in «lingue», forma carismatica di preghiera comune nelle prime comunità cristiane; questo «parlare in lingua», anche se non intelligibile (cf 1 Cor 14,1-25), nella Pentecoste è compreso dalle persone presenti provenienti dalle più diverse regioni: è un segno della vocazione universale della Chiesa.
Mai va comunque dimenticato che la Pentecoste è essenzialmente una Domenica. Essa è la Domenica 8a (7 + 1 = 8) dopo la Resurrezione. La Domenica è il Io Giorno eguale all'8° Giorno. Così queste 7 + 1 Domeniche formano 50 giorni, dove 1 = 50, segno di pienezza. La Domenica Ia è la Resurrezione, identica alla Domenica 8a, la Pentecoste: unico Giorno di 50 Giorni. Il N. T. con il simbolismo dice: è sempre Resurrezione, è sempre Pentecoste. Perché permanente è la potenza dello Spirito Santo che operò la Resurrezione e la Pentecoste.
Antifona d’Ingresso Sap 1,7
Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo,
egli che tutto unisce,
conosce ogni linguaggio. Alleluia.
La visuale di Sap 1,7 è grandiosa. Lo Spirito del Signore, la Sapienza divina eterna, è Presenza divina come Creatore permanente dell’universo. Lo domina, lo contiene e lo comprende tutto, e conosce alla perfezione ogni sua minima “voce” o notizia, o dato o realtà. E presente, ma senza confondersi con la creatura, alla quale dona l’esistenza (vedi qui anche Gen 1,1-3). In alternativa:
Antif. D’ingresso Rm 5,5; 8,11
L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito,
che ha stabilito in noi la sua dimora. Alleluia.
Canto all’Evangelo
Alleluia, alleluia.
Vieni, Santo Spirito,
riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Alleluia.
Nell’alleluia all’Evangelo l’epiclesi più famosa «Vieni, Spirito Santo» per ottenere la visita fedele del Paraclito. Il testo con tre verbi all’imperativo chiede direttamente allo Spirito Santo di venire per riempire della sua divina Pienezza il cuore dei suoi fedeli in attesa e di accendere in essi il Fuoco della sua Carità (Lc 24,32 e At 2,1-4). Il tratto viene da Rm 5,5 (che con 8,11 è anche l’antifona d’ingresso alternativa), e qui è concreto: Paolo mostra che è avvenuto da parte del Padre una volta per sempre.
Si sono compiuti i 50 giorni di festa e di gioia; la celebrazione della Pasqua del Signore raggiunge in questo giorno il suo culmine col ricordo della venuta dello Spirito Santo. Del resto, sia la prima lettura che il carattere eminentemente pneumatologico della pericope evangelica non lasciano spazio a dubbi di sorta: il personaggio di cui si parla è lo Spirito Santo!
Gv 15,26-16,15 è il brano giovanneo, nel quale si parla con maggior diffusione della persona e dell’azione dello Spirito Santo. Per il contesto vale quanto detto per la pericope della Dom. V di Pasqua B.
Il tema dell’odio e delle persecuzioni del mondo contro i cristiani (cfr. vv. 18.20b) conduce Gesù a parlare dello Spirito Paráclito.
L’azione speciale dello Spirito di Dio nella coscienza dei credenti, soprattutto durante le persecuzioni, costituisce un elemento sicuro della tradizione antica. Anche i sinottici infatti mettono in bocca a Gesù espressioni simili a quelle giovannee sull’opera specifica dello Spirito Santo, allorché i discepoli dovranno rendere testimonianza al Cristo davanti al mondo ostile, nei processi intentati contro di loro dai sinedri giudaici e dai presidi o re pagani (cfr. Mc 13,9-13; Mt 10,19-20 e Lc 12,12 dove insegna loro quello che dovranno dire).
In quest’ora di prova dolorosa, in cui si scatenerà l’odio dei nemici, il discepolo non sarà abbandonato a se stesso: con lui lotterà lo spirito del Padre, in lui parlerà lo Spirito Santo, rendendolo testimone forte e coraggioso del Signore Gesù.
Il brano liturgico che oggi esaminiamo costituisce quindi la continuazione logica del brano immediatamente precedente, al quale si collega letterariamente con la tematica delle persecuzioni dei cristiani (Gv 15,20; 16,1), formando con esso una grande unità. Già nel primo discorso Gesù aveva parlato del Paráclito (cfr. Gv 14,16s.25), però in una luce diversa; qui infatti la funzione dello Spirito Santo è presentata nella prospettiva di chi “ispira la pace”: questa persona divina svolgerà la funzione di Maestro interiore dei discepoli, continuando l’azione didattica di Gesù.
Nel nostro brano (che appartiene al secondo discorso dell’ultima cena) il clima di odio e di persecuzioni induce Gesù a parlare di una funzione specifica dello Spirito in queste circostanze avverse all’evangelo. Questa considerazione ci sconsiglia dal considerare questo brano un doppione di Gv 14,16ss.
Osservando ancora la pericope possiamo notare come questa sia racchiusa da una appariscente inclusione tematica tra il passo iniziale e quello finale, incentrata nella venuta dello Spirito Paráclito (15,26 e 16,13s).
Quest’argomento è trattato anche al centro del brano e per di più nella medesima forma stilistica (16,7s), come si vede dal confronto dei testi:
Gv 15,26
Quando verrà
IL PARÁCLITO
che io vi manderò,,.,
LO SPIRITO
DELLA VERITÀ*...
quegli mi
renderà testimonianza.
Gv 16,7s
IL PARÁCLITO
non verrà a voi...,
io manderò a voi.
E venendo,
quegli convincerà il mondo.
Gv 16,l3s
Quando
verrà quegli,
LO SPIRITO
DELLA VERITÀ’...
quegli mi glorificherà
Perciò la venuta dello Spirito nei discepoli, per rendere testimonianza a Gesù e per glorificarlo, convincendo il mondo di peccato, forma realmente il tema centrale del brano in esame, costituendone i tre piloni portanti.
Esaminiamo il brano
15,26 - «Paráclito»: gr. paráklētos, termine giovanneo che non deriva da paráklesis: «consolazione»; è un termine giuridico che designa colui che è «chiamato accanto» (klētos = chiamato e para = vicino) ad un accusato per difenderlo e aiutarlo (lat. ad-vocatus). In 1 Gv 2,1 lo stesso titolo viene attribuito a Cristo Risorto: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto». Per l’ambiente giudaico, in cui era sconosciuta la figura dell’avvocato in giudizio, si dovrebbe parlare piuttosto di «testimone».
Il Paraclito, venendo sui discepoli, svolgerà la sua missione a favore di Gesù, rendendogli testimonianza: egli infatti orienta la sua funzione verso il Cristo che è la Verità personificata.
Per tale ragione si chiama anche Spirito della verità, «verità»: il vocabolo greco è alḗtheia che letteralmente significa “svelare qualcosa di nascosto”, “ciò che non è più nascosto”.
Il termine ha avuto un rilievo altissimo nella ricerca filosofica greca ove indicava appunto la scoperta dell’essere profondo insito nella realtà.
Per comprendere questa dichiarazione di Gesù, più che il senso “greco” e filosofico, si deve guardare alle matrici bibliche degli scrittori sacri. Nel linguaggio dell’AT la “verità” è molto meno ideologica e più esistenziale; essa indica la fedeltà, l’amore di Dio, la sua salvezza.
La “verità” di Gesù è la sua parola, il suo evangelo, la sua opera di salvezza, la sua persona.
v. 27 - «mi renderete testimonianza»: la testimonianza divina è posta in parallelo con quella degli apostoli, con una leggera colorazione di opposizione a motivo della particella avversativa però («dè»), «perché siete stati con me fin dal principio»: il fondamento della testimonianza non è una conoscenza mistica, ma l’esperienza storica di Gesù, fin dall’inizio del suo ministero. Per l’importanza di ciò nella Chiesa primitiva si legga in At 1,21-22 come avvenne la sostituzione di Giuda.
16,12 - «per il momento non siete capaci di portarne il peso»: i discepoli non possono comprendere se non dopo la Resurrezione e la venuta del Paráclito.
v. 13 - «vi guiderà alla verità tutta intera»: la missione del Paráclito presso i discepoli è parallela a quella di Gesù». Anche lui è maestro e guida. L’ambito della guida è però la rivelazione di Gesù: non è un’altra verità che viene a rivelare, ma la stessa rivelazione di Gesù, pienamente compresa.
«non parlerà da sé, ma dirà ciò che avrà udito»: Gesù definisce allo stesso modo la sua rivelazione nei confronti del Padre:
«Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza» (3,32);
«Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (5,30). Qui però non è identificata la persona da cui sente, ma non ha grande importanza perché il Padre e il Figlio «sono uno».
«vi annunzierà le cose future»: il verbo usato «annunzierà» (anangéllō) proviene dalla tradizione apocalittica dove indica l’interpretazione delle visioni o la rivelazione dei misteri (cfr. Dn 2,2.4.7.9). In questo senso lo Spirito non rivelerebbe qualcosa di nuovo, ma interpreterebbe la rivelazione storica di Gesù, in relazione al futuro escatologico. Lo Spirito espleterà questa funzione mediante gli apostoli, che avranno una missione particolare nei riguardi della rivelazione storica di Gesù in quanto furono testimoni fin dall’inizio. Anche Paolo, da questo punto di vista, si considera «apostolo» in quanto testimone diretto del «Signore risorto» (cfr. 1 Cor 15,8; leggi Gal 1,11-17.2,7-9). Non solo mediante gli apostoli, ma anche nella vita della Chiesa lo Spirito espleterà la sua missione di verità mediante la guida nell’interpretare la rivelazione di Gesù in relazione al futuro e al futuro ultimo.
Lo Spirito Santo agisce profondamente nel cuore dei credenti. La sequenza di oggi è una grande, continua e articolata epiclesi rivolta allo Spirito Santo per la sua venuta, rievocando non solo i suoi titoli divini ma soprattutto le sue operazioni trasformanti nelle anime dei fedeli.
L’uomo però ha il dovere di collaborare, di essere docile all’azione dello Spirito, perché può sempre opporre resistenza all’opera di questo artista divino. Quanto Stefano disse dei giudei, può valere anche per tanti cristiani: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi» (At 7,51).
La collaborazione del credente all’azione dello Spirito è indispensabile e consiste nella docilità, nel lasciarsi guidare da questa persona divina verso il cuore della rivelazione di Gesù. E a proposito del ruolo dello Spirito ecco cosa scrive Paolo in Rm 8,26-27: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio».
vv. 14-15 - Questi ultimi vv. sottolineano l’unità totale che esiste tra Padre e Figlio. La rivelazione è dunque perfettamente una: avendo origine nel Padre e realizzandosi per mezzo del Figlio, si compie nello Spirito, per la gloria del Figlio e del Padre.
Per questo nella preghiera di colletta invochiamo il Padre affinchè il dono di oggi nei suoi effetti vivificanti discenda ancora nel cuore dei fedeli, nel nostro cuore, e si prolunghi.
Colletta
O Padre, che nel mistero della Pentecoste
santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione,
diffondi sino ai confini della terra
i doni dello Spirito Santo,
e continua oggi,
nella comunità dei credenti,
i prodigi che hai operato
agli inizi della predicazione del Vangelo.
Per il nostro Signore...
Lunedì 14 maggio 2018
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Fonte:http://www.abbaziadipulsano.org
Anno B
Giovanni 15,26-27; 16,12-15 Atti. 2,1-11; Salmo 103; Galati 5,16-25
La Pentecoste è la festa dello Spirito santo: la sua discesa nella Chiesa è un avvenimento di salvezza, cioè uno di quegli interventi di Dio che nella realizzazione del piano della salvezza decidono in modo unico e definitivo delle sorti del mondo.
Il senso della Pentecoste quale avvenimento di salvezza è dato dai seguenti aspetti:
1. Effusione dello Spirito santo quale segno degli ultimi tempi. La Pentecoste realizza le promesse di Dio secondo cui negli ultimi tempi lo Spirito sarebbe stato dato a tutti (cf. Ez 36,27). Giovanni Battista aveva annunciato che Cristo avrebbe battezzato nello Spirito santo (Mc 1,8). Gesù risorto conferma: «Tra pochi giorni sarete battezzati nello Spirito santo» (At 1,5). I Padri hanno paragonato questo «battesimo nello Spirito santo», che segna l'investitura apostolica della chiesa, al battesimo di Gesù, il quale segnò l'inizio del ministero pubblico del Signore. La Pentecoste, perciò, dai Padri è stata vista come il dono della nuova legge alla Chiesa secondo gli annunci profetici (cf. Ger 31,33; Ez 36,27). La legge della chiesa infatti non è più la legge scritta, ma lo stesso Spirito santo: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato» (Rm 5,5).
2. Coronamento della pasqua di Cristo. Il Cristo morto, risorto e glorificato alla destra del Padre porta a termine la sua opera di salvezza effondendo lo Spirito sulla comunità apostolica. La Pentecoste è pertanto la pienezza della pasqua, il mistero pasquale totale.
3. Raduno della comunità messianica. I profeti avevano ripetutamente annunciato che i dispersi sarebbero stati radunati sul monte Sion: in questo modo l'assemblea di Israele sarebbe stata unita attorno al Signore. La Pentecoste realizza a Gerusalemme l'unità spirituale dei giudei e dei proseliti di tutte le nazioni: docili all'insegnamento degli apostoli, essi partecipano insieme e nella comunione fraterna alla mensa eucaristica e alla preghiera comune.
4. Comunità aperta a tutti i popoli. Lo Spirito santo è donato per una testimonianza che deve essere portata fino alle estremità della terra. Il fatto che gente di diversa lingua comprenda la lingua nella quale parlano gli apostoli, dice che la prima comunità messianica si estenderà a tutti i popoli. La Pentecoste dei pagani lo dimostrerà (cf At 10,44ss.). La divisione operata a Babele (Gen. 11, 19) trova qui la sua antitesi e il suo termine positivo. Il miracolo della Pentecoste è perciò la risposta divina alla confusione e alla dispersione.
5. Partenza e missione. La Pentecoste raduna la comunità messianica e segna il punto di partenza della sua missione. Il discorso di Pietro «in piedi con gli undici» è il primo atto della missione affidata da Gesù agli apostoli: «Riceverete una forza, lo Spirito santo... Allora sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At. 1,8). Il senso dell'avvenimento pentecostale è sottolineato da un duplice miracolo: gli apostoli ripieni di Spirito santo cantano le meraviglie di Dio esprimendosi in «lingue», forma carismatica di preghiera comune nelle prime comunità cristiane; questo «parlare in lingua», anche se non intelligibile (cf 1 Cor 14,1-25), nella Pentecoste è compreso dalle persone presenti provenienti dalle più diverse regioni: è un segno della vocazione universale della Chiesa.
Mai va comunque dimenticato che la Pentecoste è essenzialmente una Domenica. Essa è la Domenica 8a (7 + 1 = 8) dopo la Resurrezione. La Domenica è il Io Giorno eguale all'8° Giorno. Così queste 7 + 1 Domeniche formano 50 giorni, dove 1 = 50, segno di pienezza. La Domenica Ia è la Resurrezione, identica alla Domenica 8a, la Pentecoste: unico Giorno di 50 Giorni. Il N. T. con il simbolismo dice: è sempre Resurrezione, è sempre Pentecoste. Perché permanente è la potenza dello Spirito Santo che operò la Resurrezione e la Pentecoste.
Antifona d’Ingresso Sap 1,7
Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo,
egli che tutto unisce,
conosce ogni linguaggio. Alleluia.
La visuale di Sap 1,7 è grandiosa. Lo Spirito del Signore, la Sapienza divina eterna, è Presenza divina come Creatore permanente dell’universo. Lo domina, lo contiene e lo comprende tutto, e conosce alla perfezione ogni sua minima “voce” o notizia, o dato o realtà. E presente, ma senza confondersi con la creatura, alla quale dona l’esistenza (vedi qui anche Gen 1,1-3). In alternativa:
Antif. D’ingresso Rm 5,5; 8,11
L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito,
che ha stabilito in noi la sua dimora. Alleluia.
Canto all’Evangelo
Alleluia, alleluia.
Vieni, Santo Spirito,
riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Alleluia.
Nell’alleluia all’Evangelo l’epiclesi più famosa «Vieni, Spirito Santo» per ottenere la visita fedele del Paraclito. Il testo con tre verbi all’imperativo chiede direttamente allo Spirito Santo di venire per riempire della sua divina Pienezza il cuore dei suoi fedeli in attesa e di accendere in essi il Fuoco della sua Carità (Lc 24,32 e At 2,1-4). Il tratto viene da Rm 5,5 (che con 8,11 è anche l’antifona d’ingresso alternativa), e qui è concreto: Paolo mostra che è avvenuto da parte del Padre una volta per sempre.
Si sono compiuti i 50 giorni di festa e di gioia; la celebrazione della Pasqua del Signore raggiunge in questo giorno il suo culmine col ricordo della venuta dello Spirito Santo. Del resto, sia la prima lettura che il carattere eminentemente pneumatologico della pericope evangelica non lasciano spazio a dubbi di sorta: il personaggio di cui si parla è lo Spirito Santo!
Gv 15,26-16,15 è il brano giovanneo, nel quale si parla con maggior diffusione della persona e dell’azione dello Spirito Santo. Per il contesto vale quanto detto per la pericope della Dom. V di Pasqua B.
Il tema dell’odio e delle persecuzioni del mondo contro i cristiani (cfr. vv. 18.20b) conduce Gesù a parlare dello Spirito Paráclito.
L’azione speciale dello Spirito di Dio nella coscienza dei credenti, soprattutto durante le persecuzioni, costituisce un elemento sicuro della tradizione antica. Anche i sinottici infatti mettono in bocca a Gesù espressioni simili a quelle giovannee sull’opera specifica dello Spirito Santo, allorché i discepoli dovranno rendere testimonianza al Cristo davanti al mondo ostile, nei processi intentati contro di loro dai sinedri giudaici e dai presidi o re pagani (cfr. Mc 13,9-13; Mt 10,19-20 e Lc 12,12 dove insegna loro quello che dovranno dire).
In quest’ora di prova dolorosa, in cui si scatenerà l’odio dei nemici, il discepolo non sarà abbandonato a se stesso: con lui lotterà lo spirito del Padre, in lui parlerà lo Spirito Santo, rendendolo testimone forte e coraggioso del Signore Gesù.
Il brano liturgico che oggi esaminiamo costituisce quindi la continuazione logica del brano immediatamente precedente, al quale si collega letterariamente con la tematica delle persecuzioni dei cristiani (Gv 15,20; 16,1), formando con esso una grande unità. Già nel primo discorso Gesù aveva parlato del Paráclito (cfr. Gv 14,16s.25), però in una luce diversa; qui infatti la funzione dello Spirito Santo è presentata nella prospettiva di chi “ispira la pace”: questa persona divina svolgerà la funzione di Maestro interiore dei discepoli, continuando l’azione didattica di Gesù.
Nel nostro brano (che appartiene al secondo discorso dell’ultima cena) il clima di odio e di persecuzioni induce Gesù a parlare di una funzione specifica dello Spirito in queste circostanze avverse all’evangelo. Questa considerazione ci sconsiglia dal considerare questo brano un doppione di Gv 14,16ss.
Osservando ancora la pericope possiamo notare come questa sia racchiusa da una appariscente inclusione tematica tra il passo iniziale e quello finale, incentrata nella venuta dello Spirito Paráclito (15,26 e 16,13s).
Quest’argomento è trattato anche al centro del brano e per di più nella medesima forma stilistica (16,7s), come si vede dal confronto dei testi:
Gv 15,26
Quando verrà
IL PARÁCLITO
che io vi manderò,,.,
LO SPIRITO
DELLA VERITÀ*...
quegli mi
renderà testimonianza.
Gv 16,7s
IL PARÁCLITO
non verrà a voi...,
io manderò a voi.
E venendo,
quegli convincerà il mondo.
Gv 16,l3s
Quando
verrà quegli,
LO SPIRITO
DELLA VERITÀ’...
quegli mi glorificherà
Perciò la venuta dello Spirito nei discepoli, per rendere testimonianza a Gesù e per glorificarlo, convincendo il mondo di peccato, forma realmente il tema centrale del brano in esame, costituendone i tre piloni portanti.
Esaminiamo il brano
15,26 - «Paráclito»: gr. paráklētos, termine giovanneo che non deriva da paráklesis: «consolazione»; è un termine giuridico che designa colui che è «chiamato accanto» (klētos = chiamato e para = vicino) ad un accusato per difenderlo e aiutarlo (lat. ad-vocatus). In 1 Gv 2,1 lo stesso titolo viene attribuito a Cristo Risorto: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto». Per l’ambiente giudaico, in cui era sconosciuta la figura dell’avvocato in giudizio, si dovrebbe parlare piuttosto di «testimone».
Il Paraclito, venendo sui discepoli, svolgerà la sua missione a favore di Gesù, rendendogli testimonianza: egli infatti orienta la sua funzione verso il Cristo che è la Verità personificata.
Per tale ragione si chiama anche Spirito della verità, «verità»: il vocabolo greco è alḗtheia che letteralmente significa “svelare qualcosa di nascosto”, “ciò che non è più nascosto”.
Il termine ha avuto un rilievo altissimo nella ricerca filosofica greca ove indicava appunto la scoperta dell’essere profondo insito nella realtà.
Per comprendere questa dichiarazione di Gesù, più che il senso “greco” e filosofico, si deve guardare alle matrici bibliche degli scrittori sacri. Nel linguaggio dell’AT la “verità” è molto meno ideologica e più esistenziale; essa indica la fedeltà, l’amore di Dio, la sua salvezza.
La “verità” di Gesù è la sua parola, il suo evangelo, la sua opera di salvezza, la sua persona.
v. 27 - «mi renderete testimonianza»: la testimonianza divina è posta in parallelo con quella degli apostoli, con una leggera colorazione di opposizione a motivo della particella avversativa però («dè»), «perché siete stati con me fin dal principio»: il fondamento della testimonianza non è una conoscenza mistica, ma l’esperienza storica di Gesù, fin dall’inizio del suo ministero. Per l’importanza di ciò nella Chiesa primitiva si legga in At 1,21-22 come avvenne la sostituzione di Giuda.
16,12 - «per il momento non siete capaci di portarne il peso»: i discepoli non possono comprendere se non dopo la Resurrezione e la venuta del Paráclito.
v. 13 - «vi guiderà alla verità tutta intera»: la missione del Paráclito presso i discepoli è parallela a quella di Gesù». Anche lui è maestro e guida. L’ambito della guida è però la rivelazione di Gesù: non è un’altra verità che viene a rivelare, ma la stessa rivelazione di Gesù, pienamente compresa.
«non parlerà da sé, ma dirà ciò che avrà udito»: Gesù definisce allo stesso modo la sua rivelazione nei confronti del Padre:
«Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza» (3,32);
«Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (5,30). Qui però non è identificata la persona da cui sente, ma non ha grande importanza perché il Padre e il Figlio «sono uno».
«vi annunzierà le cose future»: il verbo usato «annunzierà» (anangéllō) proviene dalla tradizione apocalittica dove indica l’interpretazione delle visioni o la rivelazione dei misteri (cfr. Dn 2,2.4.7.9). In questo senso lo Spirito non rivelerebbe qualcosa di nuovo, ma interpreterebbe la rivelazione storica di Gesù, in relazione al futuro escatologico. Lo Spirito espleterà questa funzione mediante gli apostoli, che avranno una missione particolare nei riguardi della rivelazione storica di Gesù in quanto furono testimoni fin dall’inizio. Anche Paolo, da questo punto di vista, si considera «apostolo» in quanto testimone diretto del «Signore risorto» (cfr. 1 Cor 15,8; leggi Gal 1,11-17.2,7-9). Non solo mediante gli apostoli, ma anche nella vita della Chiesa lo Spirito espleterà la sua missione di verità mediante la guida nell’interpretare la rivelazione di Gesù in relazione al futuro e al futuro ultimo.
Lo Spirito Santo agisce profondamente nel cuore dei credenti. La sequenza di oggi è una grande, continua e articolata epiclesi rivolta allo Spirito Santo per la sua venuta, rievocando non solo i suoi titoli divini ma soprattutto le sue operazioni trasformanti nelle anime dei fedeli.
L’uomo però ha il dovere di collaborare, di essere docile all’azione dello Spirito, perché può sempre opporre resistenza all’opera di questo artista divino. Quanto Stefano disse dei giudei, può valere anche per tanti cristiani: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi» (At 7,51).
La collaborazione del credente all’azione dello Spirito è indispensabile e consiste nella docilità, nel lasciarsi guidare da questa persona divina verso il cuore della rivelazione di Gesù. E a proposito del ruolo dello Spirito ecco cosa scrive Paolo in Rm 8,26-27: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio».
vv. 14-15 - Questi ultimi vv. sottolineano l’unità totale che esiste tra Padre e Figlio. La rivelazione è dunque perfettamente una: avendo origine nel Padre e realizzandosi per mezzo del Figlio, si compie nello Spirito, per la gloria del Figlio e del Padre.
Per questo nella preghiera di colletta invochiamo il Padre affinchè il dono di oggi nei suoi effetti vivificanti discenda ancora nel cuore dei fedeli, nel nostro cuore, e si prolunghi.
Colletta
O Padre, che nel mistero della Pentecoste
santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione,
diffondi sino ai confini della terra
i doni dello Spirito Santo,
e continua oggi,
nella comunità dei credenti,
i prodigi che hai operato
agli inizi della predicazione del Vangelo.
Per il nostro Signore...
Lunedì 14 maggio 2018
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Fonte:http://www.abbaziadipulsano.org
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