Don Marco Ceccarelli, " Dio è amore "
VI Pasqua “B” – 6 Maggio 2018
I Lettura: At 10,25-27.34-35.44-48
II Lettura: 1Gv 4,7-10
Vangelo: Gv 15,9-17
Testi di riferimento: Gen 18,17; Es 33,11; Dt 34,10; 2Cro 20,7; Sal 25,14; 41,10; 55,14; Sap 7,27-
28; Sir 6,6-17; Is 41,8; Am 3,7; Mt 13,11; 26,50; Lc 12,4; Gv 3,16; 10,11.15; 14,16-17.21; 15,4-7;
17,6-8.23.26; Rm 8,15; 1Cor 2,9-12; Ef 3,5; Gc 2,23; 1Gv 3,16; 5,3
1. Dio è amore (1Gv 4,8). È l’affermazione centrale della seconda lettura ed è uno dei passi biblici
più conosciuti e ripetuti, tanto da correre il rischio di risuonare quasi scontato o banale. La parola
“amore” è talmente inflazionata, così usata in tutte le salse, da non dire ormai quasi più nulla. E rischiamo
di non cogliere nemmeno le briciole di tutto il valore che ha una affermazione come questa.
Dobbiamo innanzitutto tenere presente che l’equivalenza Dio = amore è qualcosa che esula dalla
nostra concettualità. Noi possiamo dire infatti: Francesco è buono, è amorevole; ma ci risulterebbe
strano dire: Francesco è amore. Inoltre, se già è difficile dare una definizione di amore a livello
umano (ognuno darebbe una definizione diversa), come lo si deve intendere applicato a Dio? Insomma,
che significa che Dio è amore? A questa domanda risponde lo stesso Giovanni al v. 10: «In
questo sta l’amore: … Lui ci ha amati inviando suo Figlio come espiazione per i nostri peccati». È
chiaro allora che non si può applicare a Dio una qualsiasi concezione di amore (e qui spesso si
commette lo sbaglio). L’amore di Dio consiste in una cosa ben precisa: nel fatto che Egli ha sacrificato
per noi il suo Figlio. Però l’equivalenza Dio = amore dice appunto qualcosa di più; cioè non
soltanto cos’è l’amore di Dio, ma che Dio stesso è amore. Ciò significa che la natura stessa di Dio è
l’amore, è cioè questa donazione totale di se stesso. Questa è una delle rivelazioni più grandi che
Dio ha fatto di se stesso. Ed è il fondamento per la conoscenza di Dio come Trinità, perché l’amore
esclude la solitudine.
2. L’amicizia.
- Il brano di Vangelo odierno è l’immediata continuazione di quello della domenica precedente e ne
prolunga anche la tematica. L’unione fra Cristo e il discepolo si può esprimere, oltre che con la metafora
della vite, anche con l’immagine dell’amicizia. Il rapporto di amicizia, secondo la mentalità
biblica, ha come principale implicazione il dialogo relativo alle cose intime, personali, private.
L’amico è colui che ti mette a conoscenza dei suoi pensieri, progetti, segreti. È colui del quale ti
puoi fidare e a cui ti puoi confidare. Per questo non c’è niente di peggio che il tradimento di un
amico (Sal 41,10; 55,14); perché mentre dal nemico si sta in guardia, si è invece del tutto impreparati
ad affrontare il male che viene da parte di un amico. Per questo «nessuno ha un amore più grande
di questo: dare la vita per i propri amici» che lo tradiscono (v. 13). Possiamo ricordare che Gesù
chiama Giuda “amico” nel momento in cui lo tradisce (Mt 26,50). Da qui si capisce perché occorra
essere molto prudenti nella scelta degli amici (Sir 6,6-7).
- Più un mio amico è potente, saggio, colto, e più potrò partecipare di grandi conoscenze. Più importante
è l’amico che ho e più benefici ne avrò. L’amico più grande che si può avere è quindi Dio;
e che Dio onori un uomo della Sua amicizia è certamente un enorme privilegio. Due personaggi si
distinguono nel rapporto privilegiato di amicizia con Dio: Abramo e Mosè. Con essi Dio parlava
apertamente manifestando loro le sue intenzioni, dialogando, accogliendo le loro richieste. In particolare
Abramo è chiamato l’amico di Dio (Gc 2,23) per due motivi: 1) Dio gli rivela le sue intenzioni,
gli “fa conoscere” ciò che vuole fare e lo consulta prima di prendere una decisione importante
come quella di punire Sodoma (Gen 18,17). 2) Il motivo di ciò risiede nel fatto che fra Abramo e
Dio c’è una alleanza (Gen 18,19) che dà il “diritto” al primo di sapere ciò che il Secondo fa.
- Questo costituisce lo sfondo del discorso che Gesù fa riguardo all’amicizia. Gesù stesso spiega in
che senso i discepoli sono suoi amici; essi lo sono perché egli ha fatto conoscere loro tutto ciò che
ha ascoltato dal Padre. L’amicizia ha a che fare con la conoscenza delle cose intime. In questo caso
Gesù è il grande rivelatore delle cose di Dio. Egli che è nel seno del Padre conosce ciò che è di più
intimo nel Padre e quindi è in grado di far conoscere ai suoi amici le cose di Dio. Gli amici di Cristo
sono dunque coloro che hanno quell’unione stretta con lui come è per il tralcio con la vite, e per
mezzo della quale possono conoscere la realtà del Padre e i suoi disegni. Dopo che aveva parlato alle
folle in parabole, Gesù in disparte parla solo ai suoi discepoli per spiegare loro le parabole, perché
a loro è dato di conoscere i misteri del regno (Mt 13,11). Questo è dunque un enorme privilegio
che Gesù offre ai suoi discepoli. La conoscenza di Dio è il fondamento della vita eterna (Gv 17,3)
perché “conoscere” Dio equivale ad aver “fatto esperienza” di Lui. E siccome Dio è amore, chi lo
ha conosciuto rimane nell’Amore e può amare gli amici nello stesso modo in cui ha fatto Gesù.
L’intimità, l’unione a lui, è la base, la condizione fondamentale per amarsi come lui ci ha amato.
Questo è il frutto che coloro che sono stati costituiti da Cristo – la Chiesa – devono portare.
- L’amicizia con Cristo, e tutto quanto essa comporta, si realizza attraverso lo Spirito Santo che viene
infuso nei credenti. Lo Spirito è quella Sapienza che «entrando nelle anime sante forma amici di
Dio» (Sap 7,27). Lo Spirito infatti ricorda tutto ciò che Cristo ha detto (Gv 14,26); guida alla verità
tutta intera (Gv 16,13). Per mezzo di lui abbiamo la mente di Cristo (1Cor 2,16), il suo stesso modo
di pensare, di valutare la realtà. I cristiani ricevono lo Spirito di Dio per conoscere i doni di Dio
(1Cor 2,11-12). Lo Spirito di Dio che conosce i segreti di Dio ci è stato donato per capire la realtà
così come la vede Dio. Egli è lo Spirito di verità che ci permette di avere una conoscenza vera della
realtà. E poiché lo Spirito Santo che il singolo credente riceve non può essere in contrasto con lo
Spirito Santo che abita nella Chiesa presieduta dagli apostoli, non può esserci un rapporto d’unione
con Cristo e con lo Spirito Santo senza la comunione con la Chiesa. Lo Spirito dato al singolo è
sempre lo Spirito della Chiesa e trasmesso dalla Chiesa. Si conosce veramente Dio soltanto se si
tratta dello stesso Dio che ha conosciuto la Chiesa.
- La cosa più stupida che potremmo fare è perdere il privilegio della amicizia con Cristo, è tradire la
sua fiducia. I discepoli mettono a repentaglio l’amicizia con Gesù (sempre ovviamente secondo il
significato che abbiamo esposto) nel momento in cui pretendono di essere loro a dover insegnare a
Cristo cosa deve fare, vale a dire quale sia la volontà di Dio per lui. Quando Pietro dice a Gesù
«Questo non ti deve succedere» (Mt 16,22), quando Giuda lo tradisce forse per forzarlo ad assumere
un atteggiamento diverso, in fondo pretendono di conoscere meglio di lui i disegni di Dio. Vogliono
consigliarlo per il suo bene, come farebbero dei veri amici, ma in realtà si stanno separando
da lui. Così ci separiamo da Cristo e perdiamo la sua amicizia, cioè la possibilità di conoscere le
realtà intime di Dio, la Sua volontà, i Suoi disegni, il Suo modo di vedere la realtà, ogni volta che
poniamo il nostro modo di pensare davanti al Suo. Si perde l’amicizia con Cristo quando non si è
disposti veramente ad ascoltare la sua voce, preferendo invece prestare attenzione ad altre voci, ad
altri “spiriti”.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it
I Lettura: At 10,25-27.34-35.44-48
II Lettura: 1Gv 4,7-10
Vangelo: Gv 15,9-17
Testi di riferimento: Gen 18,17; Es 33,11; Dt 34,10; 2Cro 20,7; Sal 25,14; 41,10; 55,14; Sap 7,27-
28; Sir 6,6-17; Is 41,8; Am 3,7; Mt 13,11; 26,50; Lc 12,4; Gv 3,16; 10,11.15; 14,16-17.21; 15,4-7;
17,6-8.23.26; Rm 8,15; 1Cor 2,9-12; Ef 3,5; Gc 2,23; 1Gv 3,16; 5,3
1. Dio è amore (1Gv 4,8). È l’affermazione centrale della seconda lettura ed è uno dei passi biblici
più conosciuti e ripetuti, tanto da correre il rischio di risuonare quasi scontato o banale. La parola
“amore” è talmente inflazionata, così usata in tutte le salse, da non dire ormai quasi più nulla. E rischiamo
di non cogliere nemmeno le briciole di tutto il valore che ha una affermazione come questa.
Dobbiamo innanzitutto tenere presente che l’equivalenza Dio = amore è qualcosa che esula dalla
nostra concettualità. Noi possiamo dire infatti: Francesco è buono, è amorevole; ma ci risulterebbe
strano dire: Francesco è amore. Inoltre, se già è difficile dare una definizione di amore a livello
umano (ognuno darebbe una definizione diversa), come lo si deve intendere applicato a Dio? Insomma,
che significa che Dio è amore? A questa domanda risponde lo stesso Giovanni al v. 10: «In
questo sta l’amore: … Lui ci ha amati inviando suo Figlio come espiazione per i nostri peccati». È
chiaro allora che non si può applicare a Dio una qualsiasi concezione di amore (e qui spesso si
commette lo sbaglio). L’amore di Dio consiste in una cosa ben precisa: nel fatto che Egli ha sacrificato
per noi il suo Figlio. Però l’equivalenza Dio = amore dice appunto qualcosa di più; cioè non
soltanto cos’è l’amore di Dio, ma che Dio stesso è amore. Ciò significa che la natura stessa di Dio è
l’amore, è cioè questa donazione totale di se stesso. Questa è una delle rivelazioni più grandi che
Dio ha fatto di se stesso. Ed è il fondamento per la conoscenza di Dio come Trinità, perché l’amore
esclude la solitudine.
2. L’amicizia.
- Il brano di Vangelo odierno è l’immediata continuazione di quello della domenica precedente e ne
prolunga anche la tematica. L’unione fra Cristo e il discepolo si può esprimere, oltre che con la metafora
della vite, anche con l’immagine dell’amicizia. Il rapporto di amicizia, secondo la mentalità
biblica, ha come principale implicazione il dialogo relativo alle cose intime, personali, private.
L’amico è colui che ti mette a conoscenza dei suoi pensieri, progetti, segreti. È colui del quale ti
puoi fidare e a cui ti puoi confidare. Per questo non c’è niente di peggio che il tradimento di un
amico (Sal 41,10; 55,14); perché mentre dal nemico si sta in guardia, si è invece del tutto impreparati
ad affrontare il male che viene da parte di un amico. Per questo «nessuno ha un amore più grande
di questo: dare la vita per i propri amici» che lo tradiscono (v. 13). Possiamo ricordare che Gesù
chiama Giuda “amico” nel momento in cui lo tradisce (Mt 26,50). Da qui si capisce perché occorra
essere molto prudenti nella scelta degli amici (Sir 6,6-7).
- Più un mio amico è potente, saggio, colto, e più potrò partecipare di grandi conoscenze. Più importante
è l’amico che ho e più benefici ne avrò. L’amico più grande che si può avere è quindi Dio;
e che Dio onori un uomo della Sua amicizia è certamente un enorme privilegio. Due personaggi si
distinguono nel rapporto privilegiato di amicizia con Dio: Abramo e Mosè. Con essi Dio parlava
apertamente manifestando loro le sue intenzioni, dialogando, accogliendo le loro richieste. In particolare
Abramo è chiamato l’amico di Dio (Gc 2,23) per due motivi: 1) Dio gli rivela le sue intenzioni,
gli “fa conoscere” ciò che vuole fare e lo consulta prima di prendere una decisione importante
come quella di punire Sodoma (Gen 18,17). 2) Il motivo di ciò risiede nel fatto che fra Abramo e
Dio c’è una alleanza (Gen 18,19) che dà il “diritto” al primo di sapere ciò che il Secondo fa.
- Questo costituisce lo sfondo del discorso che Gesù fa riguardo all’amicizia. Gesù stesso spiega in
che senso i discepoli sono suoi amici; essi lo sono perché egli ha fatto conoscere loro tutto ciò che
ha ascoltato dal Padre. L’amicizia ha a che fare con la conoscenza delle cose intime. In questo caso
Gesù è il grande rivelatore delle cose di Dio. Egli che è nel seno del Padre conosce ciò che è di più
intimo nel Padre e quindi è in grado di far conoscere ai suoi amici le cose di Dio. Gli amici di Cristo
sono dunque coloro che hanno quell’unione stretta con lui come è per il tralcio con la vite, e per
mezzo della quale possono conoscere la realtà del Padre e i suoi disegni. Dopo che aveva parlato alle
folle in parabole, Gesù in disparte parla solo ai suoi discepoli per spiegare loro le parabole, perché
a loro è dato di conoscere i misteri del regno (Mt 13,11). Questo è dunque un enorme privilegio
che Gesù offre ai suoi discepoli. La conoscenza di Dio è il fondamento della vita eterna (Gv 17,3)
perché “conoscere” Dio equivale ad aver “fatto esperienza” di Lui. E siccome Dio è amore, chi lo
ha conosciuto rimane nell’Amore e può amare gli amici nello stesso modo in cui ha fatto Gesù.
L’intimità, l’unione a lui, è la base, la condizione fondamentale per amarsi come lui ci ha amato.
Questo è il frutto che coloro che sono stati costituiti da Cristo – la Chiesa – devono portare.
- L’amicizia con Cristo, e tutto quanto essa comporta, si realizza attraverso lo Spirito Santo che viene
infuso nei credenti. Lo Spirito è quella Sapienza che «entrando nelle anime sante forma amici di
Dio» (Sap 7,27). Lo Spirito infatti ricorda tutto ciò che Cristo ha detto (Gv 14,26); guida alla verità
tutta intera (Gv 16,13). Per mezzo di lui abbiamo la mente di Cristo (1Cor 2,16), il suo stesso modo
di pensare, di valutare la realtà. I cristiani ricevono lo Spirito di Dio per conoscere i doni di Dio
(1Cor 2,11-12). Lo Spirito di Dio che conosce i segreti di Dio ci è stato donato per capire la realtà
così come la vede Dio. Egli è lo Spirito di verità che ci permette di avere una conoscenza vera della
realtà. E poiché lo Spirito Santo che il singolo credente riceve non può essere in contrasto con lo
Spirito Santo che abita nella Chiesa presieduta dagli apostoli, non può esserci un rapporto d’unione
con Cristo e con lo Spirito Santo senza la comunione con la Chiesa. Lo Spirito dato al singolo è
sempre lo Spirito della Chiesa e trasmesso dalla Chiesa. Si conosce veramente Dio soltanto se si
tratta dello stesso Dio che ha conosciuto la Chiesa.
- La cosa più stupida che potremmo fare è perdere il privilegio della amicizia con Cristo, è tradire la
sua fiducia. I discepoli mettono a repentaglio l’amicizia con Gesù (sempre ovviamente secondo il
significato che abbiamo esposto) nel momento in cui pretendono di essere loro a dover insegnare a
Cristo cosa deve fare, vale a dire quale sia la volontà di Dio per lui. Quando Pietro dice a Gesù
«Questo non ti deve succedere» (Mt 16,22), quando Giuda lo tradisce forse per forzarlo ad assumere
un atteggiamento diverso, in fondo pretendono di conoscere meglio di lui i disegni di Dio. Vogliono
consigliarlo per il suo bene, come farebbero dei veri amici, ma in realtà si stanno separando
da lui. Così ci separiamo da Cristo e perdiamo la sua amicizia, cioè la possibilità di conoscere le
realtà intime di Dio, la Sua volontà, i Suoi disegni, il Suo modo di vedere la realtà, ogni volta che
poniamo il nostro modo di pensare davanti al Suo. Si perde l’amicizia con Cristo quando non si è
disposti veramente ad ascoltare la sua voce, preferendo invece prestare attenzione ad altre voci, ad
altri “spiriti”.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it
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