P. Marko Ivan Rupnik, Commento Pentecoste – Anno B

Pentecoste – Anno B
Gv 15,26-27; 16,12-15
Congregatio pro Clericis

La Pentecoste si inserisce nella Pentecoste ebraica, la festa di ringraziamento per il dono della legge. Ora però si riceve lo Spirito Santo che ci rende capaci di compiere ciò che Dio chiede. La legge non può dare la vita (cf Gal 3,21), perciò non può veramente redimere (cf Gal 2,16). Mentre lo Spirito Santo “è il Signore che dà la vita”, quella di Dio per poter vivere secondo Dio.

La promessa della discesa dello Spirito Santo è legata, dopo che Cristo è risorto, alla creazione dell’uomo nuovo, al compimento della creazione come redenzione.

 La vita ricevuta è dentro alla cornice della testimonianza, sono praticamente un unico evento, la stessa cosa, si tratta di rendere gloria al Padre, far emergere dentro la nostra vita il volto del Padre, il suo amore, la stessa cosa che ha fatto il Figlio Gesù Cristo. In Lui noi abbiamo ricevuto il respiro del Padre, lui è la nuova legge, quella dello Spirito Santo, quella che fa il cuore nuovo, che fa l’uomo nuovo. Diventiamo veramente nuovi perché abbiamo il respiro del Padre. Lo stesso respiro che fa vivere il Figlio e che proviene dal Padre fa vivere noi: abbiamo la vita del Figlio.

Il vangelo dice che è lo Spirito della verità. Questa è la vita generata dal Padre. È la vita trasmessa, la vita donata, ricevuta. È lo spirito della figliolanza. La fede ci fa scoprire che siamo rigenerati e che riceviamo la vita: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) e  la fede stessa è l’arte di trasmettere questa vita. Non si tratta di trasmettere la fede ma di trasmettere la vita, una vita che viene intesa come amore, una vita che si rivela come amore, come partecipazione alla vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e che perciò si rivela come comunione. Perché ciò che si partecipa e ciò che è partecipato è questa vita di comunione.

È lo Spirito della verità che noi riceviamo, quello che ci fa uomini nella verità perché non parlerà da sé stesso ma prende da quello che è di Cristo e lo annuncia (cf Gv 16,13-14). La verità coincide con Dio e Dio è l’amore. Perciò la verità si esprime nella comunione, considerando l’altro. Vladimir Solovev afferma che intendere la verità come un individuale aver ragione significa sconfessare la verità, perché si isola la verità nell’ideale separandola dalla vita. È il peccato che separa e che ha fatto l’uomo falso. E questo lo si riconosce dalle sue opere (cf Gn 11,1-9), dove il soggetto unilaterale è l’io, io farò, io arriverò, io diventerò. L’uomo falso ascrive un valore assoluto a sé e non riesce a vederlo nell’altro e tanto meno riesce a dare un valore assoluto a Colui che è la fonte della vita dal momento che crede di esserlo lui. L’uomo vero è quello che sa che la vita viene dal Padre perché l’ha accolta: “A quelli che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

Dice ancora “Vi annuncerà le cose future” (Gv 16,13). Un’altra possibile traduzione sarebbe ‘vi interpreterà ciò che deve accadere’, cioè questo Spirito ci farà vedere quale è l’esito, quale è l’ultima tappa, l’epilogo di una vita filiale: ci farà vedere l’unità dei due mondi, ovvero renderà visibile ciò che è Cristo, passato dalla vita nella sua umanità di carne alla sua umanità di gloria, da Risorto. Rimanda a una dimensione escatologica, rimanda al compimento di chi vive da figlio. In questo senso – sulla scia dell’interpretazione che ne davano i padri alessandrini – comprendiamo anche la frase relativa al dare testimonianza “perché siete con me fin dal principio”. Questo non lo si può capire come inizio né intendere cronologicamente ma piuttosto con l’aver partecipato alla sua vita nella carne e ora nella sua gloria. Cioè lo Spirito filiale, la vita filiale, la vita che scorre dal Padre si vive nella carne e porta la carne al di là della morte.

Il discorso è la risurrezione della nostra vita come vita integra. Gli gnosticismi di tutti i tempi cercano di separare la carne e lo Spirito, di far vedere lo Spirito indipendente dal corpo. L’esagerazione moralistica ha inevitabilmente prodotto l’effetto pendolo, di una spinta a un vitalismo pagano che vuole separare lo spirito dal corpo, dove la mia identità non è legata al corpo.

Ciò che sono come persona nello Spirito Santo lo vivo nella mia realtà umana, nella carne. La persona si manifesta e realizza nella sua natura. Questo ci insegna la cristologia dei padri. Non si può disprezzare la realtà corporea, non si può separare. Lo Spirito Santo ci è dato nella nostra carne, per poter vivere noi stessi come dono nell’amore, cioè per la trasfigurazione della nostra realtà. Lo Spirito Santo ci abilita a compiere il comandamento che il Padre ha dato al Figlio di vivere la vita come offerta perché questa è la vita eterna (cf Gv 12,49-50; Gv 10,17-18) e fa passare il nostro corpo corruttibile da qui alla gloria del Padre, al corpo di gloria.



P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va

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