P. Marko Ivan Rupnik, "Santissima Trinità"
Santissima Trinità – Anno B
Mt 28,16-20
Congregatio pro Clericis
La prima festa che si celebra dopo la Pentecoste è quella della SS. Trinità che non contempla un preciso evento della storia della salvezza ma tutta l’opera della salvezza che svela il mistero sulla verità di Dio.
Nella prima lettura Mosè ribadisce che mai si udì che un popolo abbia udito la voce di Dio o che Dio si sia scelto una nazione e si sia comunicato a essa. Questo Signore che “è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” ha dato al suo popolo un ordinamento per regolare le relazioni: verso Dio, tra di loro, verso la terra cioè verso lo spazio e anche verso il tempo che viene scandito da questo nuovo ordinamento. Tutta la vita viene scandita da questa relazionalità della centralità di Dio.
Questa centralità pian piano è stata nascosta dalla centralità della legge e del soggetto che la deve mettere in pratica riducendo Dio a una realtà normativa per l’uomo: tra il reale stato dell’uomo e l’ideale della norma c’è l’enorme spazio di uno scarto che crea una zona di paura e di schiavitù. La relazione fondante finisce in una grave decadenza e Cristo si scontrerà in modo tragico proprio con questa umanità figlia della legge che gli resiste fino alla sua condanna.
Paolo nella lettera ai Romani dice che noi non abbiamo ricevuto uno Spirito che ci fa schiavi ma figli. E questo Spirito, in Cristo, secondo Paolo cambia radicalmente il rapporto tra l’uomo e Dio. Noi nel Figlio, ricevendo lo stesso Spirito, diventiamo figli, abbiamo una vita filiale: Dio Padre ci dona effettivamente, realmente, la stessa vita che lui soffia, dona, genera nel Figlio.
Questo Spirito che ci fa figli è lo stesso Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti (Rm 8,11), lo Spirito che il Padre ci ha dato nel Figlio è lo Spirito di una vita vissuta come dono di sé, perché chiunque si dona muore ma lo Spirito attesta che questa vita incardinata sul modello pasquale una volta morta risuscita. La vita del cristiano è scandita sul modulo battesimale: ogni giorno si muore e ogni giorno si risuscita se si vive con l’epicentro in questa vita da figlio. Il gioco è tra una vita che lotta per difendere sé stessa, l’io legato alla psiche di un corpo votato alla morte oppure una vita dove abbiamo identificato noi stessi con un io che conosce il Padre - dunque un io filiale - un io legato al sangue e al corpo di Cristo che muore e risuscita. Questo è il discernimento nella vita in ogni giorno del battezzato. Ogni mattina bisogna accogliere di nuovo l’identità dell’io: un io individuale, biologico o un io ecclesiale, come direbbe Zizioulas. Di questo si tratta e parte dalla verità della comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in un’unità della natura di Dio posseduta con le personali e diverse impronte della paternità, della figliolanza e della signoria della comunione, quella koinonia che è la peculiarità dello Spirito Santo.
Affermare l’unità di Dio affermando l’unità della natura apre la strada verso un pensare astratto e verso un Dio impersonale che non è Padre. E così è finita la modernità, con un Dio impersonale che ci rende schiavi. Infatti un risvolto della modernità è un razionalismo che produce moralismo e che insieme suscitano il rifiuto di un tale Dio aprendo al trionfo dell’individuo. È logico infatti che se le tre Persone divine sono espressione di questa natura diventano tre individui e non una comunione delle persone.
Ma il “sé” del Figlio non è semplicemente la natura divina, perché Cristo non emerge dalla natura divina, ma è generato dal Padre, il “sé” del Figlio è una natura divina che il figlio possiede integralmente come figlio e che perciò è resa filiale.
Così il Padre e così lo Spirito, ognuno possiede integralmente la natura divina, ciascuno secondo la sua Persona. Il Figlio è integralmente filiale e perciò quando rivela e realizza sé stesso rivela il Padre perché rivela la figliolanza.
Questa è l’esistenza di Dio, uno abita nell’altro. Il “sé” di Cristo fa vedere il Padre, e in questo il Figlio realizza sé stesso in pienezza (cf Gv 14.16.17).
Abitare nell’altro, questa è l’esistenza divina, ognuno realizza sé stesso quando fa emergere l’altro e questa è la vita di Dio che ci viene partecipata, questo è ciò che succede agli uomini quando Dio ci ama: ci fa entrare in questa esistenza e promette “Io sarò con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). In questa vita divina veniamo immersi nel battesimo. Perciò Cristo sottolinea che si comincia con la vita, con il battesimo.
Dio abita l’uomo ma non come in una sorta di tabernacolo che perciò deve esserne degno, moralmente perfetto. Dio abita l’uomo con la vita come inclusione dell’altro, come comunione delle persone. Ciò che veramente conta è far emergere tra di noi la vita ricevuta perché questa vita è la luce che illumina, che fa nuovo un pensiero, permette un nuovo modo di vedere, un nuovo modo di considerarsi l’un l’altro, un nuovo modo di guardare la storia. Questi sono i frutti di una vita che è sinergia con lo Spirito Santo e che ha l’impronta della comunione, impressa attraverso la storia di tanti strati, di tante lacerazioni, ma che trova esito nel Corpo di Cristo.
Per noi la presenza di Dio significa la comunione delle persone e se Dio abita in me questo si vede nella mia ecclesialità, nella mia arte della comunione. Quella che apre al Volto e vede il Volto nei volti, di chi dona sé stesso per essere con gli altri, di chi non occupa lo spazio agli altri perché vive dentro gli altri, di uno che non chiede per sé, uno che gioisce nel vedere gli altri, uno che mangia con gli altri ma non gioisce del cibo quanto del volto di quello che sta seduto di fronte.
Questa è la comunione, questa è la vita di Dio, cui ci apre lo Spirito, come dono del Padre che ci fa figli nel Figlio.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
Mt 28,16-20
Congregatio pro Clericis
La prima festa che si celebra dopo la Pentecoste è quella della SS. Trinità che non contempla un preciso evento della storia della salvezza ma tutta l’opera della salvezza che svela il mistero sulla verità di Dio.
Nella prima lettura Mosè ribadisce che mai si udì che un popolo abbia udito la voce di Dio o che Dio si sia scelto una nazione e si sia comunicato a essa. Questo Signore che “è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” ha dato al suo popolo un ordinamento per regolare le relazioni: verso Dio, tra di loro, verso la terra cioè verso lo spazio e anche verso il tempo che viene scandito da questo nuovo ordinamento. Tutta la vita viene scandita da questa relazionalità della centralità di Dio.
Questa centralità pian piano è stata nascosta dalla centralità della legge e del soggetto che la deve mettere in pratica riducendo Dio a una realtà normativa per l’uomo: tra il reale stato dell’uomo e l’ideale della norma c’è l’enorme spazio di uno scarto che crea una zona di paura e di schiavitù. La relazione fondante finisce in una grave decadenza e Cristo si scontrerà in modo tragico proprio con questa umanità figlia della legge che gli resiste fino alla sua condanna.
Paolo nella lettera ai Romani dice che noi non abbiamo ricevuto uno Spirito che ci fa schiavi ma figli. E questo Spirito, in Cristo, secondo Paolo cambia radicalmente il rapporto tra l’uomo e Dio. Noi nel Figlio, ricevendo lo stesso Spirito, diventiamo figli, abbiamo una vita filiale: Dio Padre ci dona effettivamente, realmente, la stessa vita che lui soffia, dona, genera nel Figlio.
Questo Spirito che ci fa figli è lo stesso Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti (Rm 8,11), lo Spirito che il Padre ci ha dato nel Figlio è lo Spirito di una vita vissuta come dono di sé, perché chiunque si dona muore ma lo Spirito attesta che questa vita incardinata sul modello pasquale una volta morta risuscita. La vita del cristiano è scandita sul modulo battesimale: ogni giorno si muore e ogni giorno si risuscita se si vive con l’epicentro in questa vita da figlio. Il gioco è tra una vita che lotta per difendere sé stessa, l’io legato alla psiche di un corpo votato alla morte oppure una vita dove abbiamo identificato noi stessi con un io che conosce il Padre - dunque un io filiale - un io legato al sangue e al corpo di Cristo che muore e risuscita. Questo è il discernimento nella vita in ogni giorno del battezzato. Ogni mattina bisogna accogliere di nuovo l’identità dell’io: un io individuale, biologico o un io ecclesiale, come direbbe Zizioulas. Di questo si tratta e parte dalla verità della comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in un’unità della natura di Dio posseduta con le personali e diverse impronte della paternità, della figliolanza e della signoria della comunione, quella koinonia che è la peculiarità dello Spirito Santo.
Affermare l’unità di Dio affermando l’unità della natura apre la strada verso un pensare astratto e verso un Dio impersonale che non è Padre. E così è finita la modernità, con un Dio impersonale che ci rende schiavi. Infatti un risvolto della modernità è un razionalismo che produce moralismo e che insieme suscitano il rifiuto di un tale Dio aprendo al trionfo dell’individuo. È logico infatti che se le tre Persone divine sono espressione di questa natura diventano tre individui e non una comunione delle persone.
Ma il “sé” del Figlio non è semplicemente la natura divina, perché Cristo non emerge dalla natura divina, ma è generato dal Padre, il “sé” del Figlio è una natura divina che il figlio possiede integralmente come figlio e che perciò è resa filiale.
Così il Padre e così lo Spirito, ognuno possiede integralmente la natura divina, ciascuno secondo la sua Persona. Il Figlio è integralmente filiale e perciò quando rivela e realizza sé stesso rivela il Padre perché rivela la figliolanza.
Questa è l’esistenza di Dio, uno abita nell’altro. Il “sé” di Cristo fa vedere il Padre, e in questo il Figlio realizza sé stesso in pienezza (cf Gv 14.16.17).
Abitare nell’altro, questa è l’esistenza divina, ognuno realizza sé stesso quando fa emergere l’altro e questa è la vita di Dio che ci viene partecipata, questo è ciò che succede agli uomini quando Dio ci ama: ci fa entrare in questa esistenza e promette “Io sarò con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). In questa vita divina veniamo immersi nel battesimo. Perciò Cristo sottolinea che si comincia con la vita, con il battesimo.
Dio abita l’uomo ma non come in una sorta di tabernacolo che perciò deve esserne degno, moralmente perfetto. Dio abita l’uomo con la vita come inclusione dell’altro, come comunione delle persone. Ciò che veramente conta è far emergere tra di noi la vita ricevuta perché questa vita è la luce che illumina, che fa nuovo un pensiero, permette un nuovo modo di vedere, un nuovo modo di considerarsi l’un l’altro, un nuovo modo di guardare la storia. Questi sono i frutti di una vita che è sinergia con lo Spirito Santo e che ha l’impronta della comunione, impressa attraverso la storia di tanti strati, di tante lacerazioni, ma che trova esito nel Corpo di Cristo.
Per noi la presenza di Dio significa la comunione delle persone e se Dio abita in me questo si vede nella mia ecclesialità, nella mia arte della comunione. Quella che apre al Volto e vede il Volto nei volti, di chi dona sé stesso per essere con gli altri, di chi non occupa lo spazio agli altri perché vive dentro gli altri, di uno che non chiede per sé, uno che gioisce nel vedere gli altri, uno che mangia con gli altri ma non gioisce del cibo quanto del volto di quello che sta seduto di fronte.
Questa è la comunione, questa è la vita di Dio, cui ci apre lo Spirito, come dono del Padre che ci fa figli nel Figlio.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
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