DON PaoloScquizzato, OMELIA 11a Domenica Tempo Ordinario. Anno B
«Diceva [Gesù] “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.
30Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.
33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa». (Mc 4, 26-34)
“Bonum est diffusivum sui”, il bene si diffonde da sé, dice Tommaso d’Aquino.
Diamo solitamente poco credito al bene. Non crediamo in fondo che sia l’unica soluzione dinanzi al male e alla violenza. Occorre crescere nella fiducia che la vittoria, il compimento, il frutto non spetta a noi, ma alla potenza insita nell’atto di bene che compiamo.
L’unica cosa che viene chiesta all’uomo è fare il bene, e poi attendere credendo fino in fondo che alla fine il frutto si compirà, coi suoi tempi e non i nostri. Infatti il bene – dentro e fuori di noi – necessita di tempi molto lunghi per affermarsi. Solo il male ha tempi rapidissimi per compiersi.
Se una cosa è vera poi, cresce da sé. La menzogna ha invece necessità di essere proclamata a squarciagola, altrimenti nessuno gli credere.
Il contadino sa che il lavoro fatto in autunno porterà frutto solo dopo un inverno rigido e buio, e nel frattempo sa anche di non dovere far niente, perché a volte il non fare è l’opera più grande e produttiva che si possa compiere. Nell’arte, come nella vita spirituale, quanto meno si opera maggiormente si crea. Charles Dickens scriveva ‘È una vita che cerco di spiegare a mia moglie che se guardo fuori dalla finestra è perché sto lavorando!’. E Lao Tse: «Il saggio tanto meno opera più crea».
Chi non nutre fiducia nel fatto che il seme porti in sé la possibilità del compimento, che operare il bene sia già promesso di un futuro di compimento, si darà sempre da fare per indottrinare, aggiungere parole a parole, usare violenza.
Il bene invece ha un altro modo di essere fecondo: laddove a noi pare vi sia la morte, la sconfitta, il silenzio, il bene comincia ad agire apportandovi vita, vittoria, presenza. «Dorma… di notte…» (v. 27), è il richiamo alla morte di Gesù. È lui il seme che è stato gettato nel campo del mondo.
Se cerchiamo di affermare il regno di Dio attraverso il potere, l’organizzazione, il successo, la strategia del mondo insomma, non contribuiremo a far altro che aumentare la presenza del male nel mondo stesso.
Pietro, Giuda, i romani, la religione del suo tempo rifiutarono Gesù, il bene fatto carne, perché non poterono accettare la rivelazione di un Dio debole, piccolo e fragile. Quando fu annunziata ai pastori la nascita di Gesù, il segno fu questo: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Mt 2, 12).
Questo è Dio, il bene incarnato.
Questa è l’unica via per la salvezza: il bene vissuto.
Fonte:www.paoloscquizzato.it
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