Paolo Curtaz, "L’aurora luminosa"

Commento al Vangelo di domenica 24 Giugno 2018 - Paolo Curtaz
L’aurora luminosa

Gesù e Giovanni, lo sposo e l’amico, il pieno giorno preceduto dall’aurora, il Verbo e la voce che lo indica, il Maestro e il servo. In questa domenica celebriamo con Solennità la nascita del più grande tra i figli di donna, il più grande tra i profeti, il più grande uomo della Storia, secondo quanto dice Gesù stesso.

Giovanni è l’unico santo di cui ricordiamo sia la nascita che la morte, oltre a Maria, la madre di Dio.

Per fare memoria della presenza della profezia in mezzo a noi.



Una nascita prodigiosa
Come spesso accade, nella Bibbia, la nascita del Battista è segnata da prodigi.

I suoi genitori, brava gente, sono sterili: condizione vissuta come una catastrofe in un tempo in cui avere figli era l’unico modo per lasciare una traccia nella storia. Peggio: l’infertilità, sempre attribuita alla donna, veniva considerata come una punizione divina.

Sono sempre rimasto turbato e affascinato dalla nascita del Battista.

L’annuncio a Zaccaria, lo conoscete, avviene durante il servizio liturgico al Tempio. Lo sbalordimento di Zaccaria che riceve la visita dell’angelo mentre offre l’incenso e un leggero tentennamento nella risposta (come biasimarlo: si trova di fronte ad un angelo!) fanno sì che, per nove mesi, resterà muto. Che bello!

In questi tempi caotici e agitati mi piace la proposta di vivere l’evento di una nascita come se fosse un ritiro spirituale, nel silenzio che feconda il cuore, dopo avere fecondato il grembo.

Troppe parole avvelenano le nostre giornate, le riempiono, le sfiniscono.

Anche a noi servirebbe del silenzio.



Circoncisione

Zaccaria riflette e medita e, nel giorno della circoncisione, riacquista la parola.

Lo fa dopo avere accettato la proposta dell’angelo riguardo al nome del nascituro.

Era tradizione chiamare i figli col nome dei genitori o dei nonni.

Giovanni sarà altro, diverso, consacrato al mondo, capostipite di una nuova famiglia. L’impronta maschilista, del clan su questo bambino, viene tolta dalla fiera ostinazione della madre e dall’accondiscendenza di un padre che, finalmente, accetta di mettersi in discussione.

Zaccaria accetta sin dall’inizio di donare questo figlio tanto atteso, di perderlo, di non possederlo.

E gli si scioglie la lingua.

Che mistero questa nascita! (Ogni nascita, ovvio, è mistero.)

Cosa deve avere pensato Elisabetta mentre cullava il suo bambino e sentiva il marito, come un fiume in piena, spiegare a gesti l’apparizione e le parole dell’angelo? Cosa avrà pensato quando Zaccaria riportava, inquieto, scrivendole, le parole di Gabriele: «Egli è qui per la salvezza e la rovina di molti in Israele»?

Giovanni sarebbe diventato un profeta. Il profeta.

E la mente di Elisabetta correva indietro agli ultimi profeti, vissuti molti secoli prima, ai grandi Isaia o Ezechiele o Daniele o… Dio non voglia… Geremia.

Geremia: il figlio dell’inquietudine, l’uomo che divenne un muro di bronzo per il popolo. O Isaia ed Ezechiele che accompagnarono il popolo in esilio. O Daniele, che vide l’invisibile e la venuta del Messia in mezzo alla guerra e alla violenza.

Elisabetta stringeva a sé il bambino ignaro. Una fitta le attraversava il cuore.

(Un’altra fitta avrebbe trafitto un altro cuore di madre, quello di Maria la bella)



Perché?

Perché, onnipotente Creatore dell’universo, l’uomo ha bisogno di profeti?

Perché non li riconosce mai al momento giusto e li uccide? O li applaude per smorzare la forza delle loro parole che frustano e giudicano? Perché, Signore, hai bisogno di uomini che scavino come un solco il popolo per potere seminare la tua Parola? Perché?

Israele è stato attraversato da decine di profeti e la profezia è corsa a fiumi in certi momenti.

I profeti hanno sempre aiutato il popolo a leggere la presenza di Dio nella vita di Israele.

Hanno scosso, gridato, condiviso, minacciato, pianto il dolore di Dio e la sua gelosia.

Hanno vissuto, desiderato, sussurrato, manifestato il suo amore senza misura.

Da secoli, ormai, nessuno sa più profetare.

Giovanni, ora, sarà l’ultimo profeta. Il definitivo. Qualche settimana prima Elisabetta aveva visto la piccola Maria. E i due, bimbi nel grembo, l’aurora e il sole, si erano salutati.



Immenso

Immenso Giovanni consumato dal vento del deserto.

Immenso profeta aspro e rabbioso, col volto scavato da lunghi solchi, divorato dalla propria missione, svuotato dai lunghi digiuni e dalla penitenza!

Quando sei uscito di casa per seguire quella voce interiore? Quando hai sentito la derisione dei tuoi compagni che ti prendevano per pazzo? Quanto silenzio assordante hai dovuto sopportare prima di scoprire che tu eri voce? Quante volte hai scrutato i volti tra la folla che giungeva a fiumi e si gettava in ginocchio davanti a te per vedere se – infine – egli fosse giunto?

Quanto ti è costato dire che tu non eri nulla e che scomparivi davanti a lui, e che lui avrebbe acceso il fuoco che tu stavi preparando? Quanta verità in te, immenso Giovanni, che non hai cavalcato l’entusiasmo, che non hai giocato a fare il Messia o il guru ma sei stato al tuo posto rifiutando ogni corona e ogni gloria?

Cosa hai provato vedendolo in mezzo ai penitenti – l’immacolato, il senza colpa, il puro – venire a chiederti il battesimo?

E quanta solitudine e sconcerto hai provato – ultima prova, definitiva prova – quando nel buio di una cella ti sei chiesto se fosse davvero lui il Messia o se ti eri preso un abbaglio?

Grande Giovanni, grande profeta che hai suscitato l’ammirazione di Dio.



Scovateli!

I profeti esistono ancora, sono presenti in mezzo a noi.

Sono uomini e donne che vivono il Vangelo con tale coinvolgente semplicità e convinzione da diventare un segno di conversione per noi tutti, senza saperlo essi stessi.

Quella coppia che allarga la propria casa per prendere in affido un bimbo ferito dentro, quel giovane che dedica il pomeriggio a tenere i ragazzi e ad educarli alla vita, quel consacrato che consuma giorni e salute a dare speranza ai disperati... siamo circondati da silenziosi testimoni, da migliaia di profeti che danno testimonianza al Rabbì!

Siamo chiamati, come comunità di discepoli, a riscoprire il nostro ruolo profetico.

Non basta inanellare la consueta litania di Messa-sacramenti-devozione per diventare testimoni: è urgente e vitale riappropriarsi del ruolo profetico (scomodo) della Chiesa nel mondo d’oggi.

Guai ad una Chiesa che è sempre dalla parte del forte! Guai alla Chiesa che si lamenta senza vedere le grandi opere che Dio ancora compie! Guai alla Chiesa che accetta gli applausi e i primi posti nei conviti! Dobbiamo riscoprire la grazia di camminare con i poveri, di denunciare le ingiustizie, per proporre evangelicamente cammini di conversione a partire da noi stessi.
Ciascuno di noi è chiamato a diventare profeta, a diventare segno là dove vive, ad essere, almeno un poco, trasparenza di Dio.

Facciamo nostro, oggi, l’auspicio di Mosè che, commentando il fatto che alcuni profetizzavano senza suo permesso, sognava: “Fossero tutti profeti i figli di Israele!”.


Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/


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