padre Raniero Cantalamessa, "LI MANDO' DUE A DUE"
Commento al Vangelo di Domenica 15 luglio 2018, XV del TO anno B
Amos 7, 12-15; Efesini 1, 3-14; Marco 6, 7-13
Il Vangelo di questa Domenica inizia così:
“In quel tempo, Gesù chiamò i dodici, ed incominciò a mandarli a due a due”.
Già in queste parole è contenuta una notizia importante. “Cominciò a mandarli”. È l’inizio dell’invio degli apostoli. Finora era stato solo lui, Gesù, a predicare il Regno. I discepoli lo seguivano, ascoltavano, imparavano, facevano per così dire apprendistato. Ora essi sono mandati. Se finora il verbo che Gesù usava più spesso, nei confronti dei discepoli, era: “Venite”, ora è “Andate!”. Dalla chiamata si passa all’invio. È un preludio del futuro solenne invio degli apostoli, al momento di lasciare questo mondo, quando dirà loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16, 15).
C’è una cosa che dobbiamo chiarire subito, a questo proposito, per non perpetuare un tristissimo equivoco tra i cristiani. A chi è rivolto questo invito di Gesù “Andate!”? Si pensa di solito: agli apostoli e, oggi, ai loro successori: il papa, i vescovi, i preti. La cosa riguarda loro, non noi poveri laici, pensano molti. Ma è proprio questo il fatale errore. È verissimo che, in primo luogo, con un compito di testimoni ufficiali e autorizzati, egli manda gli apostoli. Ma non da soli. Essi devono essere le guide, gli animatori degli altri, nella comune missione. Pensare diversamente, sarebbe come dire che si può fare una guerra solo con i generali e i capitani, senza soldati; o che si può mettere in piedi una squadra di calcio, solo con un allenatore e un arbitro.
Dopo questo invio degli apostoli, Gesù, “designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (Luca 10, 1). Ora questi settantadue discepoli erano probabilmente tutti quelli che egli aveva raccolto fino a quel momento, o almeno tutti quelli che erano disposti a impegnarsi seriamente per lui. Gesù dunque invia tutti i suoi discepoli. Ha bisogno di tutti. Meglio, a tutti fa l’onore di diventare suoi ambasciatori, suoi “precursori”, cioè persone che lo precedono e gli preparano la strada, nei luoghi dove egli sta per recarsi.
Mi sembra di vedere le reazioni della gente al sentirsi dire che devono diventare evangelizzatori e testimoni di Gesù. “Ma come, non è già abbastanza che diamo del nostro tempo per ascoltare il Vangelo o andare qualche volta in chiesa, che ci si chiede anche di farci noi stessi annunciatori? Ma lo sapete, voi preti, cosa significa avere famiglia, e il lavoro e la lotta per la vita…?”. Ma diventare evangelizzatori, non è un peso in più nella vita; è una gioia, un aiuto che fa dimenticare tutti i pesi o aiuta a portarli meglio. Non dimentichiamo che Gesù ha promesso il centuplo già quaggiù a chi si mette a sua completa disposizione per il Regno.
I laici sono l’energia nucleare del cristianesimo. L’energia nucleare è quella che si sprigiona dalla “fissione” dell’atomo. Detto in parole semplici, consiste in questo. Un atomo di uranio viene bombardato e “spezzato” in due dall’urto di una particella chiamata neutrone, liberando, in questo processo, dell’energia. Inizia da ciò una reazione a catena. I due nuovi elementi “fissano”, cioè rompono, a loro volta, altri due atomi, questi altri quattro e così via per miliardi di atomi, sicché l’energia “liberata”, alla fine, risulta immensa. E non necessariamente energia distruttiva, perché l’energia nucleare può essere usata anche per scopi pacifici, a favore dell’uomo.
Qualcosa del genere avviene anche sul piano spirituale. Un laico raggiunto dal Vangelo, convertito, vivendo accanto ad altri, può “contagiare” altri due, questi altri quattro, e siccome i laici cristiani non sono solo alcune decine di migliaia come il clero, ma centinaia di milioni, ecco che essi possono davvero svolgere un ruolo decisivo nel diffondere nel mondo la luce benefica del vangelo.
C’è un laico negli Stati Uniti, padre di famiglia, che, accanto alla sua professione, svolge anche un intensa evangelizzazione. È un tipo pieno di humour ed evangelizza a suono di fragorose risate, quali solo gli americani sanno fare. Quando va in un nuovo posto, comincia dicendo molto serio: “Duemila e cinquecento vescovi, riuniti in Vaticano, mi hanno chiesto di venire ad annunciarvi il vangelo”. La gente naturalmente è incuriosita. Lui allora spiega che i duemila cinquecento vescovi sono quelli che presero parte al concilio Vaticano II e scrissero il decreto sull’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem), in cui si esorta ogni laico cristiano a partecipare alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Aveva perfettamente ragione di dire “mi hanno chiesto”. Quelle parole non sono dette al vento, a tutti e a nessuno; sono indirizzate personalmente a ogni laico cattolico.
Adesso però è ora che diciamo una parola anche su come evangelizzare. Il Vangelo spende una sola parola per dire “che cosa” gli apostoli, mandati da Gesù, predicavano alla gente (“che si convertisse”), mentre descrive a lungo “come” dovevano predicare. Non insiste tanto sul cosa si deve dire, quanto su “come si deve essere”, per annunciare Cristo. A questo proposito, un insegnamento importante è contenuto nel fatto stesso che Gesù li manda sempre a due a due. Perché li manda a due a due? Anche i carabinieri vanno sempre a due a due, e il motivo, secondo una battuta scherzosa, è che uno sa solo leggere e l’altro solo scrivere! No, non è per lo stesso motivo. Li manda a due a due – spiegava san Gregorio Magno – per inculcare la carità, perché meno che tra due persone non ci può essere carità. La prima testimonianza da rendere a Gesù è quella dell’amore reciproco:
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13, 35).
Immaginiamo due cristiani che operano insieme nella politica, nel lavoro e nelle più diverse situazioni della vita. Non possono nemmeno nominare Cristo e il Vangelo. Se però si rispettano, si appoggiano, si amano tra loro e “fanno unità”, come dicono i nostri amici Focolarini, è già una testimonianza formidabile che essi dànno a Cristo. Al tempo delle persecuzioni antiche, i cristiani non potevano predicare Cristo apertamente, ma uno scrittore del tempo ci dice che i pagani rimanevano colpiti dall’amore che i cristiani avevano uno per l’altro e dicevano tra sé, pieni di stupore: “Guardate come si amano!”.
Questo vale anzitutto per due genitori. Se essi non possono fare più nulla per aiutare nella fede i loro figli, farebbero già molto se questi, guardandoli, potessero dire tra loro: “Guardate come si amano papà e mamma”. “L’amore è da Dio”, dice la Scrittura (1 Giovanni 4, 7) e questo spiega perché dovunque c’è un po’ di amore vero, lì è sempre annunciato Dio.
Quell’americano di cui vi ho parlato prima, aveva grosse difficoltà nel rapporto con uno dei figli. Per sei anni, lui e la moglie si imposero di pregare per lui e amarlo, se possibile, più ancora degli altri. Finalmente un anno, per la festa del papà, ricevette in regalo dai figli una nuova Bibbia. Aprendola, trovò sulla prima pagina una frase di quel figlio ormai ventitreenne che diceva: “Grazie, papà, perché con il tuo amore hai fatto scoprire anche a me il Regno”. (Che bello se altri genitori che hanno problemi analoghi con i figli potessero sentirsi dire un giorno le stesse parole!).
Quando è possibile, a questa testimonianza silenziosa dell’amore, si deve aggiungere quella esplicita della parola. San Pietro, scrivendo ai primi cristiani, diceva:
“Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto” (1 Pietro 3, 15).
La prima e più comune forma di evangelizzazione consiste proprio in questo: spiegare, a chiunque ce lo chiede, o è disposto ad ascoltare, perché speriamo in Cristo, chi è Gesù per noi, come mai ci siamo “convertiti” alla fede. Le parole “con dolcezza e rispetto” escludono l’insistenza eccessiva, la petulanza, la mancanza di rispetto delle convinzioni religiose che la persona già possiede (tutte cose che dànno così fastidio nei membri di certe sètte che vanno di casa in casa o fermano le persone per strada); non escludono però il coraggio e l’inventiva.
Abbiamo spiegato fin qui chi deve evangelizzare (tutti, non solo i preti) e come evangelizzare (con l’amore e quando è possibile anche con la parola). Diciamo, per finire, anche una parola su dove evangelizzare: quali sono oggi, per i laici, “i villaggi e i luoghi” nei quali Gesù li manda. Per alcuni, questi villaggi possono essere villaggi esterni, lontani; per la maggioranza “il villaggio” e il “luogo” è molto vicino. È il posto di lavoro, le amicizie, la loro stessa cerchia famigliare.
Colpisce una cosa leggendo il Vangelo. A un giovane che gli chiedeva cosa doveva fare per essere salvo, Gesù un giorno rispose: “Va’, vendi quello che hai e dàllo ai poveri…, poi vieni e seguimi” (Marco 10, 21). Al contrario, a un altro giovane che voleva lasciare tutto e seguirlo, non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha usato con te” (Marco 5, 19).
Queste parole mi hanno fatto tornare in mente un canto negro spiritual, intitolato “C’è un balsamo in Ghilead” (There is a balm in Gilead). L’ultima strofa di questo canto dice qualcosa che può servire da conclusione a tutto il nostro discorso: “Se non sai predicare come Pietro; se non sai predicare come Paolo, va’ a casa tua e di’ ai tuoi vicini: Gesù è morto per salvarci tutti!”.
Fonte:http://www.cantalamessa.org
Amos 7, 12-15; Efesini 1, 3-14; Marco 6, 7-13
Il Vangelo di questa Domenica inizia così:
“In quel tempo, Gesù chiamò i dodici, ed incominciò a mandarli a due a due”.
Già in queste parole è contenuta una notizia importante. “Cominciò a mandarli”. È l’inizio dell’invio degli apostoli. Finora era stato solo lui, Gesù, a predicare il Regno. I discepoli lo seguivano, ascoltavano, imparavano, facevano per così dire apprendistato. Ora essi sono mandati. Se finora il verbo che Gesù usava più spesso, nei confronti dei discepoli, era: “Venite”, ora è “Andate!”. Dalla chiamata si passa all’invio. È un preludio del futuro solenne invio degli apostoli, al momento di lasciare questo mondo, quando dirà loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16, 15).
C’è una cosa che dobbiamo chiarire subito, a questo proposito, per non perpetuare un tristissimo equivoco tra i cristiani. A chi è rivolto questo invito di Gesù “Andate!”? Si pensa di solito: agli apostoli e, oggi, ai loro successori: il papa, i vescovi, i preti. La cosa riguarda loro, non noi poveri laici, pensano molti. Ma è proprio questo il fatale errore. È verissimo che, in primo luogo, con un compito di testimoni ufficiali e autorizzati, egli manda gli apostoli. Ma non da soli. Essi devono essere le guide, gli animatori degli altri, nella comune missione. Pensare diversamente, sarebbe come dire che si può fare una guerra solo con i generali e i capitani, senza soldati; o che si può mettere in piedi una squadra di calcio, solo con un allenatore e un arbitro.
Dopo questo invio degli apostoli, Gesù, “designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (Luca 10, 1). Ora questi settantadue discepoli erano probabilmente tutti quelli che egli aveva raccolto fino a quel momento, o almeno tutti quelli che erano disposti a impegnarsi seriamente per lui. Gesù dunque invia tutti i suoi discepoli. Ha bisogno di tutti. Meglio, a tutti fa l’onore di diventare suoi ambasciatori, suoi “precursori”, cioè persone che lo precedono e gli preparano la strada, nei luoghi dove egli sta per recarsi.
Mi sembra di vedere le reazioni della gente al sentirsi dire che devono diventare evangelizzatori e testimoni di Gesù. “Ma come, non è già abbastanza che diamo del nostro tempo per ascoltare il Vangelo o andare qualche volta in chiesa, che ci si chiede anche di farci noi stessi annunciatori? Ma lo sapete, voi preti, cosa significa avere famiglia, e il lavoro e la lotta per la vita…?”. Ma diventare evangelizzatori, non è un peso in più nella vita; è una gioia, un aiuto che fa dimenticare tutti i pesi o aiuta a portarli meglio. Non dimentichiamo che Gesù ha promesso il centuplo già quaggiù a chi si mette a sua completa disposizione per il Regno.
I laici sono l’energia nucleare del cristianesimo. L’energia nucleare è quella che si sprigiona dalla “fissione” dell’atomo. Detto in parole semplici, consiste in questo. Un atomo di uranio viene bombardato e “spezzato” in due dall’urto di una particella chiamata neutrone, liberando, in questo processo, dell’energia. Inizia da ciò una reazione a catena. I due nuovi elementi “fissano”, cioè rompono, a loro volta, altri due atomi, questi altri quattro e così via per miliardi di atomi, sicché l’energia “liberata”, alla fine, risulta immensa. E non necessariamente energia distruttiva, perché l’energia nucleare può essere usata anche per scopi pacifici, a favore dell’uomo.
Qualcosa del genere avviene anche sul piano spirituale. Un laico raggiunto dal Vangelo, convertito, vivendo accanto ad altri, può “contagiare” altri due, questi altri quattro, e siccome i laici cristiani non sono solo alcune decine di migliaia come il clero, ma centinaia di milioni, ecco che essi possono davvero svolgere un ruolo decisivo nel diffondere nel mondo la luce benefica del vangelo.
C’è un laico negli Stati Uniti, padre di famiglia, che, accanto alla sua professione, svolge anche un intensa evangelizzazione. È un tipo pieno di humour ed evangelizza a suono di fragorose risate, quali solo gli americani sanno fare. Quando va in un nuovo posto, comincia dicendo molto serio: “Duemila e cinquecento vescovi, riuniti in Vaticano, mi hanno chiesto di venire ad annunciarvi il vangelo”. La gente naturalmente è incuriosita. Lui allora spiega che i duemila cinquecento vescovi sono quelli che presero parte al concilio Vaticano II e scrissero il decreto sull’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem), in cui si esorta ogni laico cristiano a partecipare alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Aveva perfettamente ragione di dire “mi hanno chiesto”. Quelle parole non sono dette al vento, a tutti e a nessuno; sono indirizzate personalmente a ogni laico cattolico.
Adesso però è ora che diciamo una parola anche su come evangelizzare. Il Vangelo spende una sola parola per dire “che cosa” gli apostoli, mandati da Gesù, predicavano alla gente (“che si convertisse”), mentre descrive a lungo “come” dovevano predicare. Non insiste tanto sul cosa si deve dire, quanto su “come si deve essere”, per annunciare Cristo. A questo proposito, un insegnamento importante è contenuto nel fatto stesso che Gesù li manda sempre a due a due. Perché li manda a due a due? Anche i carabinieri vanno sempre a due a due, e il motivo, secondo una battuta scherzosa, è che uno sa solo leggere e l’altro solo scrivere! No, non è per lo stesso motivo. Li manda a due a due – spiegava san Gregorio Magno – per inculcare la carità, perché meno che tra due persone non ci può essere carità. La prima testimonianza da rendere a Gesù è quella dell’amore reciproco:
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13, 35).
Immaginiamo due cristiani che operano insieme nella politica, nel lavoro e nelle più diverse situazioni della vita. Non possono nemmeno nominare Cristo e il Vangelo. Se però si rispettano, si appoggiano, si amano tra loro e “fanno unità”, come dicono i nostri amici Focolarini, è già una testimonianza formidabile che essi dànno a Cristo. Al tempo delle persecuzioni antiche, i cristiani non potevano predicare Cristo apertamente, ma uno scrittore del tempo ci dice che i pagani rimanevano colpiti dall’amore che i cristiani avevano uno per l’altro e dicevano tra sé, pieni di stupore: “Guardate come si amano!”.
Questo vale anzitutto per due genitori. Se essi non possono fare più nulla per aiutare nella fede i loro figli, farebbero già molto se questi, guardandoli, potessero dire tra loro: “Guardate come si amano papà e mamma”. “L’amore è da Dio”, dice la Scrittura (1 Giovanni 4, 7) e questo spiega perché dovunque c’è un po’ di amore vero, lì è sempre annunciato Dio.
Quell’americano di cui vi ho parlato prima, aveva grosse difficoltà nel rapporto con uno dei figli. Per sei anni, lui e la moglie si imposero di pregare per lui e amarlo, se possibile, più ancora degli altri. Finalmente un anno, per la festa del papà, ricevette in regalo dai figli una nuova Bibbia. Aprendola, trovò sulla prima pagina una frase di quel figlio ormai ventitreenne che diceva: “Grazie, papà, perché con il tuo amore hai fatto scoprire anche a me il Regno”. (Che bello se altri genitori che hanno problemi analoghi con i figli potessero sentirsi dire un giorno le stesse parole!).
Quando è possibile, a questa testimonianza silenziosa dell’amore, si deve aggiungere quella esplicita della parola. San Pietro, scrivendo ai primi cristiani, diceva:
“Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto” (1 Pietro 3, 15).
La prima e più comune forma di evangelizzazione consiste proprio in questo: spiegare, a chiunque ce lo chiede, o è disposto ad ascoltare, perché speriamo in Cristo, chi è Gesù per noi, come mai ci siamo “convertiti” alla fede. Le parole “con dolcezza e rispetto” escludono l’insistenza eccessiva, la petulanza, la mancanza di rispetto delle convinzioni religiose che la persona già possiede (tutte cose che dànno così fastidio nei membri di certe sètte che vanno di casa in casa o fermano le persone per strada); non escludono però il coraggio e l’inventiva.
Abbiamo spiegato fin qui chi deve evangelizzare (tutti, non solo i preti) e come evangelizzare (con l’amore e quando è possibile anche con la parola). Diciamo, per finire, anche una parola su dove evangelizzare: quali sono oggi, per i laici, “i villaggi e i luoghi” nei quali Gesù li manda. Per alcuni, questi villaggi possono essere villaggi esterni, lontani; per la maggioranza “il villaggio” e il “luogo” è molto vicino. È il posto di lavoro, le amicizie, la loro stessa cerchia famigliare.
Colpisce una cosa leggendo il Vangelo. A un giovane che gli chiedeva cosa doveva fare per essere salvo, Gesù un giorno rispose: “Va’, vendi quello che hai e dàllo ai poveri…, poi vieni e seguimi” (Marco 10, 21). Al contrario, a un altro giovane che voleva lasciare tutto e seguirlo, non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha usato con te” (Marco 5, 19).
Queste parole mi hanno fatto tornare in mente un canto negro spiritual, intitolato “C’è un balsamo in Ghilead” (There is a balm in Gilead). L’ultima strofa di questo canto dice qualcosa che può servire da conclusione a tutto il nostro discorso: “Se non sai predicare come Pietro; se non sai predicare come Paolo, va’ a casa tua e di’ ai tuoi vicini: Gesù è morto per salvarci tutti!”.
Fonte:http://www.cantalamessa.org