padre Raniero Cantalamessa, “Raccogliete i pezzi avanzati”
2 Re 4, 42-44; Efesini 4, 1-6; Giovanni 6, 1-15
Da oggi, per cinque domeniche, il Vangelo è costituito da un brano del lungo discorso sul pane di vita tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao e riferito dall’evangelista Giovanni. È l’occasione per fare una riflessione prolungata sul mistero dell’Eucaristia, mettendone in luce ogni volta un aspetto particolare.
Entriamo subito nel vivo del messaggio odierno. Si tratta dell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci che fa da introduzione al discorso eucaristico. Richiamiamolo brevemente alla memoria.
Un giorno, vedendo la folla riunita intorno a sé, prima ancora che qualcuno glielo faccia notare, Gesù capisce che bisogna pensare anzitutto a darle da mangiare. Lo dice ai suoi apostoli. Questi si spaventano. Due-cento denari di pane, fa notare uno di essi, non sarebbero sufficienti a darne un pezzettino a ciascuno, ammesso che ci sia in giro pane da comprare e che si trovino i soldi necessari per comprarlo. Si scopre che c’è un ragazzo che ha con sé cinque pani d’orzo e due pesci (merito probabilmente di una mamma previdente); Gesù se li fa portare, li benedice, fa sedere la gente perché sia un momento di riposo e di allegria per tutti; poi fa distribuire i pani e i pesci e tutti mangiarono quanto vollero. Per molti sarà stata la prima volta nella vita che mangiavano davvero a volontà.
Non è casuale che la presentazione dell’Eucaristia cominci, nel Vangelo di Giovanni, con il racconto della moltiplicazione dei pani. Con ciò si viene a dire che non si può separare, nell’uomo, la dimensione religiosa da quella materiale; non si può provvedere ai suoi bisogni spirituali ed eterni, senza nello stesso tempo, preoc-cuparsi dei suoi bisogni terreni e materiali.
Fu proprio questa, per un momento, la tentazione degli apostoli. In un altro passo del Vangelo, si legge che essi suggerirono a Gesù di congedare la folla, perché andasse nei villaggi vicini a procurarsi da mangiare. Ma Gesù rispose: “Date loro voi stessi da mangiare!” (cfr. Matteo 14, 16). Gesù, con ciò, non chiede ai suoi discepoli di fare miracoli. Chiede di fare quello che possono. Di mettere in comune e di condividere quello che ognuno ha. In aritmetica, moltiplicazione e divisione sono due operazioni opposte, ma in questo caso sono la stessa cosa. Non c’è “moltiplicazione” senza “divisione” (o condivisione)!
Solo adesso possiamo parlare del “di più” che il Vangelo propone all’uomo nella Eucaristia. Il confronto tra il brano evangelico e la prima lettura permette di cogliere in che consiste questo di più. Anche la prima lettura narra di una moltiplicazione miracolosa. Si svolge nell’Antico Testamento e ha per protagonista il profeta Eliseo. Rievochiamola.
“Da Baal-Salisa venne un individuo, che offrì primizie all’uomo di Dio, venti pani d’orzo e farro che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: Dallo da mangiare alla gente. Ma colui che serviva disse: Come posso mettere questo davanti a cento persone?. Quegli replicò: Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: Ne mangeranno e ne avanzerà anche. Lo pose davanti a quelli, che mangiarono, e ne avanzò, secondo la parola del Signore”.
È evidente l’affinità tra le due storie, ma anche la sostanziale differenza. La storia di Eliseo termina qui. Il pane d’orzo qui è tutto. Nel Vangelo la moltiplicazione dei cinque pani è un “segno”: prepara la moltiplicazione di un altro pane, del quale sentiremo parlare nelle prossime domeniche. La lezione è chiara. Non si può scavalcare il problema del pane materiale e parlare subito alla gente del pane spirituale che è Cristo; ma non ci si può neppure fermare ad esso. “Non di solo pane vive l’uomo…”. L’uomo non ha solo un ventre da sfamare; ha anche una mente assetata di verità da saziare, un cuore assetato d’amore da riempire, un anelito di vita eterna da soddisfare. E a questo risponde appunto l’Eucaristia, il pane disceso dal cielo.
Ma l’Eucaristia non è solo un “di più”, di cui beneficiano solo i credenti; non è un “superamento” della preoccupazione sociale, che ne fa dimenticare l’urgenza. Al contrario, proprio essa diventa un motivo in più che spinge a preoccuparsi del pane materiale della gente. Questo legame tra il pane materiale e quello spirituale era visibile nel modo in cui veniva celebrata l’Eucaristia nei primi tempi della Chiesa. La cena del Signore, chiamata allora agape, avveniva nel quadro di un pasto fraterno, in cui si condivideva sia il pane comune sia quello eucaristico. Questo faceva sentire come scandalose e intollerabili le differenze tra chi aveva tutto e chi non aveva niente. Ai Corinzi che avevano tralignato su questo punto, san Paolo scriveva:
“Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente?” (1 Corinzi 11, 20-22).
Siamo davanti a un’accusa gravissima: la vostra non è più un’Eucaristia! Oggi l’Eucaristia non si celebra più nel contesto del pasto comune, ma il contrasto tra chi ha il superfluo e chi non ha il necessario non è dimi¬nuito, anzi ha assunto dimensioni planetarie. Su questo punto ha qualcosa da dirci anche il finale del racconto della moltiplicazione dei pani che non è meno importante del miracolo stesso. Quando tutti hanno mangiato Gesù ordina:
“Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”.
Questa parola ci deve far riflettere. Noi viviamo in una società dove lo spreco è di casa. Siamo passati, in cinquant’anni, da una situazione in cui si andava a scuola o alla Messa domenicale tenendo, fin sulla soglia, le scarpe in mano per non consumarle, a una situazione in cui si buttano via scarpe quasi nuove per adeguarsi alla moda che cambia. Per non parlare dello spreco nell’alimentazione. Gesù non disse quel giorno: “Distruggete i pezzi avanzati perché il prezzo del pane e del pesce, non diminuisca sul mercato”. Disse ben altro!
Una ricerca condotta dal ministero dell’agricoltura americano ha dato dei risultati impressionanti. Su centosessantuno miliardi di chilogrammi di alimentari prodotti, quarantatre miliardi, cioè circa un quarto, finiscono nella spazzatura. Di questo cibo buttato via, si potrebbero facilmente recuperare, volendo, circa due miliardi di chilogrammi, una quantità sufficiente a sfamare per un anno quattro milioni di persone. Da noi il fenomeno non raggiunge queste cifre da capogiro, anche perché veniamo da una situazione in cui il risparmio, oltre che una necessità, era anche una cultura. Ma lo spreco coinvolge anche noi.
Sotto l’effetto di una pubblicità martellante, consumare, non risparmiare, è oggi la parola d’ordine in economia. Certo, non basta risparmiare. Anche Paperon de’ Paperoni era un grande risparmiatore, ma non è certo questo l’ideale a cui il Vangelo ci spinge. Il risparmio deve consentire agli individui e alle società dei paesi ricchi di essere più generosi nell’aiutare i paesi poveri. Se no, è avarizia, più che risparmio.
Perché non insegnare ai nostri bambini a rinunciare a qualcosa, fosse pure un gelato, per poter dare un’offerta per quei loro coetanei che vedono ogni tanto alla televisione, tanto magri perché non hanno nulla da mangiare? Tra l’altro, per i bambini questo diventa anche un gioco, se sono loro stessi poi a portare le mille lire al poveretto o a metterle nella cassetta delle elemosine. Non ci accontentiamo però di insegnarlo a fare ai nostri bambini; facciamolo anche noi e non avremo ascoltato invano il Vangelo di questa domenica.
Fonte:http://www.cantalamessa.org