padre Raniero Cantalamessa, " Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’"

Commento al Vangelo di Domenica 22 luglio 2018, XVI
Geremia 23, 1-6; Efesini 2, 13-18; Marco 6, 30-34

Nel Vangelo di oggi leggiamo:

“Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte”.

Come al solito, non potendo soffermarci su tutto, raccogliamo il tema o la parola che emerge sulle altre. Questa volta tale tema è il riposo. Gesù invita i suoi discepoli a staccarsi dalla folla, dal loro lavoro, e ritirarsi con lui in un “luogo solitario”. Insegna loro a fare quello che faceva lui: ad equilibrare azione e contemplazione, a passare dal contatto con la gente al dialogo segreto e rigenerante con se stessi e con Dio.
Il tema enunciato è di grande importanza e attualità. Se mi seguite, questa volta facciamo l’elogio…della lentezza. Il ritmo della vita ha preso una velocità che supera le nostre capacità di adattamento. “Affrettati lentamente”, festina lente, dicevano i latini. Oggi si è cancellato l’avverbio, lentamente, e si ubbidisce solo al verbo: affrettati, corri, sbrigati. Il correre è diventato spesso una frenesia e una malattia. Si dice: “Chi si ferma è perduto”, ma perduto è anche chi non si ferma mai. È perduto dietro parole, immagini, informazioni, emozioni che ruotano vorticosamente e si consumano rapidamente, senza che si abbia la possibilità di avvicinarle con pacatezza e di ospitarle dentro i propri spazi conoscitivi e affettivi. Succede che invece di integrare le cose dentro di sé, sono le persone a consegnarsi alle cose. Si diventa come ingranaggi di una macchina che non si ferma mai. Ricordate la scena di Charlot alle prese con la catena di montaggio in Tempi moderni? È l’immagine esatta di questa situazione.
Si perde, in questo modo, la capacità di distacco critico che permette di esercitare un dominio sul fluire, spesso caotico e scomposto, delle vicende e delle esperienze quotidiane. La vita, allora, non è più un viaggio, ma un semplice trasferimento. Non si ha tempo di capire e di gioire di ciò che la vita offre giorno per giorno. È come viaggiare su un’autostrada con la sola preoccupazione di superare la distanza nel minor tempo possibile, senza nulla godere del paesaggio che si attraversa. Uno può trovarsi dall’altro capo dell’esistenza, senza neppure accorgersi di avere vissuto.
Gesù, nel Vangelo, non da mai l’impressione di essere agitato dalla fretta. A volte addirittura perde del tempo: tutti lo cercano ed egli non si fa trovare, assorto com’è in preghiera. A volte, come nel nostro brano evangelico, invita anche i suoi discepoli a perdere tempo con lui: “Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po”. Raccomanda spesso di non affannarsi. Anche il nostro fisico, quanto beneficio riceve dalla “lentezza”!
Se la lentezza ha delle connotazioni evangeliche, è importante valorizzare tutte quelle occasioni di sosta o d’indugio che sono disseminate lungo la successione dei giorni. La domenica, le feste, se utilizzate bene, danno la possibilità di spezzare il ritmo di vita troppo concitato e di stabilire un rapporto più armonico con le cose, le persone e, soprattutto, con se stessi e con Dio.
Una di queste occasioni di sosta sono proprio le ferie estive in atto. Esse sono per la maggioranza delle persone, l’unica occasione per riposarsi un po’, per dialogare in modo disteso con il proprio coniuge, giocare con i figli, leggere qualche buon libro o contemplare in silenzio la natura; insomma, per rilassarsi. Fare, delle vacanze, un tempo più frenetico del resto dell’anno, significa rovinarle. A “Ricordati di santificare le feste”, bisognerebbe aggiungere: “Ricordati di santificare le ferie”. Tra l’altro la parola “feria”, all’origine e anche nell’uso attuale della liturgia, significa proprio “giorno dedicato al culto”. Per non parlare di holiday, il termine inglese, che significa, alla lettera, “giorni santi”.
In queste occasioni di sosta, bisogna dimenticare di essere una persona importante, di avere cose importanti da fare. Perdere tempo è, a volte, il modo migliore per ritrovarlo. Il vero tempo perduto è quello che spendo fuori di me, nell’agitazione, senza mai pormi le domande essenziali: “Chi sono? Cosa voglio? Dove vado?”; senza mai pensare che c’è un Dio e che io, proprio io, esisto davanti a questo Dio. “Fermatevi (alla lettera: vacate, prendetevi una vacanza!) e sappiate che io sono Dio”, dice Dio in un salmo. Passare un periodo di riposo e di raccoglimento è anch’esso (per dirla con M. Proust) un andare “alla ricerca del tempo perduto”.
Questa esigenza di tempi di solitudine e di ascolto si pone in modo speciale per gli annunciatori del Vangelo e gli animatori della comunità cristiana che devono tenersi costantemente in contatto con la sorgente della vita e della Parola che devono trasmettere ai fratelli. I laici dovrebbero rallegrarsi, non sentirsi trascurati, ogni volta che il proprio sacerdote si assenta per un tempo di ricarica intellettuale e spirituale. Il discorso però, in modo diverso, vale per tutti. Anche un professionista, un uomo politico, un lavoratore, un padre e una madre di famiglia, un giovane, hanno bisogno di staccarsi di tanto in tanto dal proprio lavoro, per riscoprirne il senso e le motivazioni.
Leggiamo però adesso il resto del brano evangelico di oggi perché ha anch’esso qualcosa da dirci sulla solitudine:

“Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”.

La vacanza di Gesù con gli apostoli è stata di breve durata. Giusto una pausa di respiro, il tempo di attraversare il lago in barca e fermarsi, forse, di tanto in tanto a pescare qualcosa. Gesù non si irrita con la gente che non gli da tregua, ma “si commuove”, vedendoli abbandonati a se stessi, “come pecore senza pastore”.
Questo ci dice che bisogna essere pronti a interrompere anche il meritato riposo, di fronte a una situazione di grave necessità del prossimo. Non si può, per esempio, abbandonare a se stessi, o parcheggiare in un ospedale, un anziano a proprio carico, per godersi indisturbati le ferie. Non possiamo dimenticare le tante persone che la solitudine non l’hanno scelta, ma la subiscono, e non per qualche settimana o mese, ma per anni, forse per tutta la vita.
L’ascolto del Vangelo dovrebbe, anche in questo caso, portare a una risoluzione pratica. Ad alcuni suggerisco questa: guardarsi intorno e vedere se c’è qualcuno da aiutare a sentirsi meno solo nella vita, con una visita, una telefonata, un invito a raggiungerli per un giorno nel luogo di vacanza: quello, insomma, che il cuore e le circostanze suggeriscono. Ad altri, se non l’hanno mai fatto nella vita, suggerisco di provare a entrare in chiesa o in una cappella di montagna (se si è in montagna), in un’ora in cui è deserta, e lì trascorrere un po’ di tempo “in disparte”, soli con se stessi, davanti a Dio. Non importa se sembra di non avere niente da dire. Un giorno il grande poeta Paul Claudel che era stato anche ambasciatore di Francia in Giappone, entrò in una chiesa a mezzogiorno in piena estate e sentite la preghiera che fece alla Vergine; vi può aiutare:

“È mezzogiorno. Vedo la chiesa aperta. Bisogna entrare.
Madre di Gesù Cristo, non vengo per pregare.
Non ho niente da offrire e niente da domandare.
Vengo solamente, o Madre, per guardarvi…
Non dire niente, guardare il vostro viso,
E lasciare il cuore cantare nel suo proprio linguaggio”.

Lasciare il cuore “cantare”… o piangere, a seconda dei casi.

Fonte:http://www.cantalamessa.org

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