Paolo Curtaz, "Spina nel fianco"
Commento al Vangelo di domenica 8 Luglio 2018 - Paolo Curtaz
Spina nel fianco
Ascoltino o non ascoltino sapranno almeno che c’è un profeta in mezzo a loro!
Perché i profeti ancora ci sono in mezzo a noi, anche se a volte irritano, destabilizzano, inquietano.
Eppure ci sono.
Magari non vestono peli di cammello e non mangiano locuste, ma agiscono, sono un segno per la nostra vita. Con la loro vita.
Ma poiché quasi tutti preferiamo restare nel nostro mondo, giustificando ogni nostra azione, placidamente adagiati nelle nostre scelte, piuttosto che metterci in discussione ci tappiamo le orecchie.
O, peggio, stravolgiamo il Vangelo.
O, come abbiamo ascoltato nelle letture di oggi, rendiamo inoffensivo il messaggio sottolineando l’inadeguatezza di chi ce lo propone.
Ma sempre e tutto con un’unica finalità: io ho ragione.
Ovvio.
Una spina
Mi sembra che l’idea della coerenza, della totale corrispondenza fra ciò che diciamo e ciò che viviamo, ce la portiamo piantata nell’anima, pare.
È impossibile essere creduti se non si è credibili.
Capiamoci: siamo reduci da anni terribili e oscuri in cui alcuni cristiani, e preti, l’assoluta minoranza, ma ci sono stati, hanno contraddetto il Vangelo con comportamenti ignobili. Perciò chiedere una soglia minima di coerenza ci sta. Così nell’uso dei denari, così nel rapporto con i più piccoli, così nel condividere le gioie e i dolori dell’umanità, senza nascondersi dietro un paravento di incenso.
Ciò detto e ribadito, però, dobbiamo stare attenti a non dare una connotazione tutta mondana alla coerenza.
Nel mondo dei puri e degli onesti in cui si esige e si pretende dagli altri ogni perfezione mentre si è piuttosto clementi verso le proprie debolezze, non c’è spazio per il Vangelo che, se da una parte propone ideali elevati, obiettivi altissimi, dall’altra tempera ogni richiesta con la logica della misericordia e del perdono.
Dio chiede la perfezione, sì, ma come la intende lui.
Quella che è attenta allo sforzo, non al risultato.
Che guarda il cuore, non le regole.
Che legge l’anima, non l’apparenza.
Paolo, san Paolo!, confida in una sua lettera di avere inutilmente chiesto a Dio nella preghiera di essere liberato da una spina nel fianco, probabilmente un difetto, un aspetto del suo carattere che percepisce come invalidante. E che il Signore gli ha risposto che va bene così, perché nella sua e nella nostra debolezza si manifesta pienamente la sua grandezza.
È così, è esattamente così.
Quando la Parola che proclamo giudica e interroga anche me, sono sulla strada giusta.
Stupori
L’evangelista Marco affronta in poche battute un episodio che deve avere profondamente impressionato la prima comunità.
Abbiamo letto qualche giorno fa l’incursione del clan di Gesù precipitatosi a Cafarnao per portarlo a casa, dopo avere appreso la notizia che da Gerusalemme era stato giudicato un indemoniato, senza riuscirci.
Ora è lui, sconsiderato, a salire a Nazareth.
Il clima non gli è affatto favorevole: Marco, da abile scrittore, sottolinea un incrocio di meraviglia, di stupore.
Ma in negativo: i concittadini di Gesù si stupiscono (letteralmente sono feriti) dalla sua predicazione.
Gesù è scosso dalla loro incredulità.
Scuse risibili
Perché tanta incredulità?
I parenti di Gesù si fermano alle sue umili origini, alla sua mancanza di titoli, alla sua modesta provenienza. Secondo alcuni biblisti il mestiere di Gesù era il ripiego di chi non aveva dei terreni e che, quindi, diventava il tuttofare della comunità.
Non solo: i profeti del passato avevano tutti origini misteriose, o nobili. E la loro missione era accompagnata da prodigi inconfutabili.
Gesù, invece, non soddisfa queste attese. Anzi, è accusato di essere poco religioso e, addirittura, un pazzo o un indemoniato. Uno poco devoto, poco religioso, affatto mortificato.
Un mangione e un beone.
I nazaretani non ascoltano le sue parole, non accolgono la sua prospettiva, non vedono i frutti della sua predicazione… Pensano di sapere, credono di credere, già sanno.
Da parte di chi osserva, di chi giudica, rimane la scelta: o fermarsi al dito o guardare la luna che il dito indica…
I cristiani (secondo Gesù)
I cristiani non sono perfetti e forse neanche più buoni degli altri e forse nemmeno tanto coerenti. Ma questo non basta a fermare la Parola, non basta a fermare il Cristo, non sgambetta il contagioso annuncio della Parola.
Nel vangelo gli apostoli, ben lontani dal nostro modello asettico e idealista di uomo di fede, vivono la loro pesantezza con realismo e tragicità. Ma Gesù li ha scelti, perché sappiano comprendere le miserie degli altri, accettando anzitutto le proprie.
La Chiesa non è la comunità dei perfetti, dei giusti, dei puri, ma dei riconciliati, dei figli.
Fatichiamo ad accettarlo, rischiamo di voler correggere il Vangelo perché noi, in fondo in fondo, pensiamo di essere un po’ meglio della gente che critichiamo.
Sogno il sogno di Dio: una comunità di persone che si accolgono per ciò che sono, che hanno il coraggio del proprio limite, che non hanno bisogno di umiliare l’altro per sentirsi migliori.
Rifiuti
Gesù è rifiutato, e con lui viene rifiutato il vangelo e la presenza di Dio: troppo umano questo Messia, troppo pesante il suo passo, banale il suo vivere, troppo povero, troppo fragile.
Talora anche noi siamo talmente attenti a sottolineare l’incoerenza dei discepoli da non accogliere il vangelo, talmente scandalizzati dai presunti difetti degli altri da non voler entrare a un altro livello di autenticità e vedere che l’essenziale non è la coerenza costi quel che costi, ma la misericordia.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
Spina nel fianco
Ascoltino o non ascoltino sapranno almeno che c’è un profeta in mezzo a loro!
Perché i profeti ancora ci sono in mezzo a noi, anche se a volte irritano, destabilizzano, inquietano.
Eppure ci sono.
Magari non vestono peli di cammello e non mangiano locuste, ma agiscono, sono un segno per la nostra vita. Con la loro vita.
Ma poiché quasi tutti preferiamo restare nel nostro mondo, giustificando ogni nostra azione, placidamente adagiati nelle nostre scelte, piuttosto che metterci in discussione ci tappiamo le orecchie.
O, peggio, stravolgiamo il Vangelo.
O, come abbiamo ascoltato nelle letture di oggi, rendiamo inoffensivo il messaggio sottolineando l’inadeguatezza di chi ce lo propone.
Ma sempre e tutto con un’unica finalità: io ho ragione.
Ovvio.
Una spina
Mi sembra che l’idea della coerenza, della totale corrispondenza fra ciò che diciamo e ciò che viviamo, ce la portiamo piantata nell’anima, pare.
È impossibile essere creduti se non si è credibili.
Capiamoci: siamo reduci da anni terribili e oscuri in cui alcuni cristiani, e preti, l’assoluta minoranza, ma ci sono stati, hanno contraddetto il Vangelo con comportamenti ignobili. Perciò chiedere una soglia minima di coerenza ci sta. Così nell’uso dei denari, così nel rapporto con i più piccoli, così nel condividere le gioie e i dolori dell’umanità, senza nascondersi dietro un paravento di incenso.
Ciò detto e ribadito, però, dobbiamo stare attenti a non dare una connotazione tutta mondana alla coerenza.
Nel mondo dei puri e degli onesti in cui si esige e si pretende dagli altri ogni perfezione mentre si è piuttosto clementi verso le proprie debolezze, non c’è spazio per il Vangelo che, se da una parte propone ideali elevati, obiettivi altissimi, dall’altra tempera ogni richiesta con la logica della misericordia e del perdono.
Dio chiede la perfezione, sì, ma come la intende lui.
Quella che è attenta allo sforzo, non al risultato.
Che guarda il cuore, non le regole.
Che legge l’anima, non l’apparenza.
Paolo, san Paolo!, confida in una sua lettera di avere inutilmente chiesto a Dio nella preghiera di essere liberato da una spina nel fianco, probabilmente un difetto, un aspetto del suo carattere che percepisce come invalidante. E che il Signore gli ha risposto che va bene così, perché nella sua e nella nostra debolezza si manifesta pienamente la sua grandezza.
È così, è esattamente così.
Quando la Parola che proclamo giudica e interroga anche me, sono sulla strada giusta.
Stupori
L’evangelista Marco affronta in poche battute un episodio che deve avere profondamente impressionato la prima comunità.
Abbiamo letto qualche giorno fa l’incursione del clan di Gesù precipitatosi a Cafarnao per portarlo a casa, dopo avere appreso la notizia che da Gerusalemme era stato giudicato un indemoniato, senza riuscirci.
Ora è lui, sconsiderato, a salire a Nazareth.
Il clima non gli è affatto favorevole: Marco, da abile scrittore, sottolinea un incrocio di meraviglia, di stupore.
Ma in negativo: i concittadini di Gesù si stupiscono (letteralmente sono feriti) dalla sua predicazione.
Gesù è scosso dalla loro incredulità.
Scuse risibili
Perché tanta incredulità?
I parenti di Gesù si fermano alle sue umili origini, alla sua mancanza di titoli, alla sua modesta provenienza. Secondo alcuni biblisti il mestiere di Gesù era il ripiego di chi non aveva dei terreni e che, quindi, diventava il tuttofare della comunità.
Non solo: i profeti del passato avevano tutti origini misteriose, o nobili. E la loro missione era accompagnata da prodigi inconfutabili.
Gesù, invece, non soddisfa queste attese. Anzi, è accusato di essere poco religioso e, addirittura, un pazzo o un indemoniato. Uno poco devoto, poco religioso, affatto mortificato.
Un mangione e un beone.
I nazaretani non ascoltano le sue parole, non accolgono la sua prospettiva, non vedono i frutti della sua predicazione… Pensano di sapere, credono di credere, già sanno.
Da parte di chi osserva, di chi giudica, rimane la scelta: o fermarsi al dito o guardare la luna che il dito indica…
I cristiani (secondo Gesù)
I cristiani non sono perfetti e forse neanche più buoni degli altri e forse nemmeno tanto coerenti. Ma questo non basta a fermare la Parola, non basta a fermare il Cristo, non sgambetta il contagioso annuncio della Parola.
Nel vangelo gli apostoli, ben lontani dal nostro modello asettico e idealista di uomo di fede, vivono la loro pesantezza con realismo e tragicità. Ma Gesù li ha scelti, perché sappiano comprendere le miserie degli altri, accettando anzitutto le proprie.
La Chiesa non è la comunità dei perfetti, dei giusti, dei puri, ma dei riconciliati, dei figli.
Fatichiamo ad accettarlo, rischiamo di voler correggere il Vangelo perché noi, in fondo in fondo, pensiamo di essere un po’ meglio della gente che critichiamo.
Sogno il sogno di Dio: una comunità di persone che si accolgono per ciò che sono, che hanno il coraggio del proprio limite, che non hanno bisogno di umiliare l’altro per sentirsi migliori.
Rifiuti
Gesù è rifiutato, e con lui viene rifiutato il vangelo e la presenza di Dio: troppo umano questo Messia, troppo pesante il suo passo, banale il suo vivere, troppo povero, troppo fragile.
Talora anche noi siamo talmente attenti a sottolineare l’incoerenza dei discepoli da non accogliere il vangelo, talmente scandalizzati dai presunti difetti degli altri da non voler entrare a un altro livello di autenticità e vedere che l’essenziale non è la coerenza costi quel che costi, ma la misericordia.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
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