Abbazia Santa Maria di Pulsano,LECTIO DOMENICA «II DEL DISCORSO EUCARISTICO»

DOMENICA «II DEL DISCORSO EUCARISTICO»
XIX del Tempo per l’Anno B

Giovanni 6,41-51 (leggere 6,36-51); 1 Re 19,4-8; Salmo 33; Efesini 4,30-5,2

«Io sono il pane disceso dal cielo». Questa frase enigmatica suscita il mormorio scandalizzato della folla e ancora oggi non manca di provocare un moto di protesta da parte dello scettico che si nasconde in ciascuno di noi: «Io non sono migliore dei miei padri» (1 Re 19,4).
Tra Gesù e i suoi ascoltatori si è creato un tragico malinteso. Prima di indicare se stesso come il pane della vita, Gesù ha voluto condividere il pane degli uomini. Trent'anni di intensa preparazione, in cui ha partecipato ai pasti quotidiani, ai pranzi di festa e ai pranzi di lutto. Trent'anni per cercare di far sentire agli uomini la loro fame essenziale e di far intuire loro il cibo che egli avrebbe offerto. Trent'anni per arrivare a questo punto: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Come può dire: Sono disceso dal cielo?».
Il nocciolo dell'incredulità di questa gente, e forse anche della nostra, consiste nel vedere in Gesù soltanto colui che ha condiviso il pane degli uomini, non accogliendolo come colui che ci vuol donare, col pane, anche la propria vita.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Noi siamo sempre tentati di ridurre l'esperienza religiosa all'iniziativa dell'uomo che, a un certo punto, decide di occuparsi di Dio. Nella religione di Gesù, invece, è il Padre che ci attira al Figlio, che ci viene incontro attraverso il Figlio, parola e pane discesi dal cielo, e ci offre di condividere la sua vita, prima di qualsiasi iniziativa da parte nostra. Per mezzo del Figlio, che ha mangiato per trent'anni il pane degli uomini, Dio stesso ci insegna la differenza tra il nostro pane, che non può sottrarci alla morte, e il suo, che ci dona la vita eterna. Sapremo lasciarci attirare e istruire da Dio, che attraverso l'incarnazione del suo figlio e il dono dell'eucaristia, pane del nostro pellegrinaggio terreno, vuole condurci all'immortalità?
Seguiamo il filo tracciato dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 73,20a.l9b.22a.23a
Sii fedele, Signore, alla tua alleanza,
non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri.
Sorgi, Signore, difendi la tua causa,
non dimenticare le suppliche di coloro che ti invocano.

Nell’antifona d’ingresso, tratta dal Sal 73,20a.l9b.22a.23a SC (Supplica Comunitaria) un lamento nazionale composto forse dopo la distruzione di Gerusalemme (587 a.C.) dove il popolo, una volta “gregge del Signore”, ora sconfitto, disperso e senza guida, non sente più attraverso i profeti la Parola di Dio, ma sperimenta solo il silenzio di Dio come conseguenza della propria idolatria. Nell’angoscia il popolo rivolge al Signore la supplica affinché tenga presente sempre la sua alleanza fedele, per la quale Egli si è impegnato in eterno a favore del popolo suo (105,45; Lev 26,44-43), come promise una volta per sempre ad Abramo (Gen 17,7.8; vedi anche 12,1-3) e confermò per bocca dei suoi santi Profeti (Gen 33,21) (v. 20a).
Per questo si chiede ancora che non abbandoni mai le anime dei poveri "suoi", stretti a Lui dal vincolo dell’alleanza fedele (v. 19b; 9,17; 67,11). L’Orante si fa perfino più ardito nelle immagini. È come se il Signore dormisse e perciò gli chiede di alzarsi, per pronunciare finalmente il verdetto nel tremendo giudizio instaurato dai nemici contro i suoi fedeli. L’Orante ricorda al Signore che in fondo questo processo contro i suoi fedeli in realtà è intentato contro di Lui, l’Alleato principale che forma una stretta comunità di vita con essi (v. 22a). Così non deve lasciar cadere nel vuoto e nella dimenticanza successiva la voce di quanti sinceramente e con ansia Lo cercano, e cercano solo Lui (v. 23a).
Noi oggi abbiamo la stessa angoscia, anche se l’attribuiamo “stoltamente” alle vicissitudini della nostra povera vita e per questo nella liturgia la Chiesa ci invita a pregare il Signore e ad ascoltare… il suo silenzio che ci istruisce e ci consola.

Canto all’Evangelo   Gv 6,51
Alleluia, alleluia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
Alleluia.

La rivelazione autentica del Signore, di essere il Pane Vivente disceso dal cielo e di donare la partecipazione alla Vita eterna a chi se ne nutre è un testo nodale del «discorso eucaristico» e orienta la proclamazione dell’Evangelo di oggi.
Prosegue dunque il "discorso eucaristico" (Gv 6,22-59). Come si è detto per la Domenica precedente, esso si compone in realtà di un discorso sulla Parola divina discesa dal cielo sotto forma di Pane (vv. 22-40, o forse 22-46) e un discorso sul Pane e sulla Carne del Signore (vv. 41-58, o forse 47-58).
Tutto il "discorso'" nei due blocchi o "discorsi" è così è sforbiciato al punto che:
1. la pericope della Domenica XVIII (6,24-35) omette del primo discorso proprio i versetti in cui il Pane viene dal "cielo", è infatti dono del Padre (vv. 36-40). Una conseguenza è che questi versetti non si leggono più nelle Domeniche, con grave perdita per il popolo di Dio. Si leggono è vero nel Lezionario feriale, ma (dura e dolorosa costatazione) nelle nostre parrocchie è un tempo del tutto secondario e spesso privato;
2. la pericope di oggi (6,41-51) è invece un segmento tagliato male dal blocco formato dai vv. 41-58, che è il vero discorso eucaristico, per rimandarlo alla Domenica seguente (con il doppione alla solennità del Corpo e Sangue di Cristo).
Quanto detto riguardo al taglio dei due discorsi è motivato dal fatto che i vv. 41-46 fanno da cerniera tra il primo e il secondo discorso. Infatti dopo il primo argomentare di Gesù, che termina al v. 40, si ha una reazione problematica degli Ebrei presenti, ma a quelle parole ascoltate e non a quanto segue, che si presenterà ancora più sorprendente (cf v. 52: «Allora i Giudei si misero a discutere aspramente (in gr. máchomai e in lat. Litigabant) fra loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?»).

I lettura: 1 Re 19,4-8
Per la sua predicazione ardita e senza reticenze, il profeta Elia è restato solo a difendere i diritti del Signore, e perciò è minacciato di morte da Gezabele, la sposa del re Acab, la regina pagana e idololatrica d'Israele, il regno settentrionale (vv. 1-3), e decide di fuggire senza meta, finché giunge con il suo servo a Bersabea di Giuda, luogo della storia di Abramo (Gen 21,31), al limite del deserto, dove vuole restare solo (1 Re 19,3). Allora prosegue per il deserto, il luogo dove nessuna ricerca poliziesca lo raggiungerà mai, inoltrandosi per una giornata di cammino. Spossato si riposa sotto un ginepro, pianta robusta che attecchisce anche in terre aride, e senza speranza per la sua vita chiede al Signore di morire: «Basta, Signore, riprenditi la mia anima (= vita), che io non sono migliore dei padri miei» (v. 4). Infatti anche i padri avevano chiesto il medesimo. In condizioni ancora più disperate, quando il Signore per il fatto del vitello d'oro voleva distruggere Israele, Mose, restato anche lui da solo a difendere i diritti del Signore, gli aveva chiesto nell'angoscia: «Cancellami, Signore, dal libro che scrivesti!», ossia dal destino dei viventi (Es 32,32), e glielo aveva chiesto di nuovo quando le mormorazioni del popolo recalcitrante gli avevano reso impossibile l'esistenza (Num 22,15). Anche Giobbe aveva chiesta la morte (Giob 7,15-16), e così Tobia, perseguitato e ormai cieco (Tob 3,9).
Elia allora si abbandona al sonno all'ombra così scarsa del ginepro. Ma l'Angelo del Signore lo scuote, lo sveglia e gli ordina di alzarsi e di mangiare (v. 5), e gli fa trovare una focaccia e un vaso d'acqua. Elia mangia e beve, e si riaddormenta (v. 6). L'Angelo ripete il gesto di prima, e lo avverte che deve compiere un lungo tragitto (v. 7). Adesso il profeta comprende, mangia e beve e si mette in cammino rifocillato e irrobustito da quel cibo almeno insolito, offertogli da un Angelo del Signore, e va per 40 giorni e 40 notti per il deserto; 40 è il numero simbolico dell'attesa e della tensione (come per Israele nel deserto, Es 24,18; 34,28; Dt 8,1-3; 9,9.18).
La meta è il Monte di Dio, il Horeb o Sinai (v. 8). Dove il Signore si era rivelato per la prima volta a Mose (Es 3,1-14), poi a Israele (Es 19), Elia, restato solo a proclamare i diritti del suo Signore, riceverà la rivelazione di quanto gli resta da compiere per Lui (vv. 9-18).

Il Salmo responsoriale: 33,2-3.4-5.6-7.8-9, AGI
Questa è una celebre Azione di grazie, che è distribuita (ma come sminuzzata) anche nelle Domeniche IV di Quaresima, Ciclo C (vv. 2-6), XX di questo Ciclo B (vv. 2-3.10-15); XXI di questo Ciclo B (vv. 2-3.16-23); XXX del Ciclo C (vv. 2-3.17-19.23).
Il Versetto responsorio: «Gustate e vedete com'è buono il Signore» (v. 9a), chiama al convito della soavità del Signore.
L'Orante esordisce esprimendo la volontà di rendere grazie al Signore con la tipica preghiera, la benedizione, in ogni momento (Sal 43,9; 1 Tess 5,17; Ef 5,20), proponendosi di avere sempre sulla bocca la lode di Lui (v. 2). La sua anima troverà la sua lode nel Signore (Is 45,26; 1 Ger 9,23; Cor 1,21), e il Salmista lo comunica ai mansueti, i poveri del popolo santo, affinché si allietino con Lui (v. 3). Così egli li invita a magnificare il Signore insieme a lui (Sal 34,27; e Lc 1,46), a esaltare in celebrazione corale il Nome divino (v. 4). Di fatto, è proprio dell'azione di grazie al Signore che essa deve essere una proclamazione comunitaria, affinché tutti vengano a prendervi parte.
Il motivo è che i benefici che l'Orante ha ricevuto fanno parte del tesoro comune di cui deve godere l'intera comunità. Perciò viene la narrazione della vicenda, che da una situazione avversa il Signore ha trasformato nella gioia del riscatto. L'Orante cercò il Signore e il Signore lo ascoltò e lo esaudì nelle sue preghiere, e lo trasse via dalle sue tribolazioni (v. 5). Allora il Salmista invita a venire al Signore per ricevere da Lui la sua luce, in modo da non restare più confusi (v. 6) e prosegue a descrivere la sua vicenda. Era stato reso povero (vv. 16.18.20; Sir 21,6), e allora gridò il suo dolore al Signore, e fu esaudito e scampato da ogni tribolazione (v. 7). Infatti il Signore gli pone intorno la protezione inviolabile del suo Angelo (Sal 90,22, per il pio e giusto; Gen 32,1-2, per Giacobbe; Es 23,20, per tutto il popolo; vedi per il N. T., At 12,15, per Pietro; Ebr 1,14, per tutti gli eredi della divina salvezza), e da allora lo protegge e lo libera da ogni pericolo (v. 8).
Ed ecco l'appello al centro vitale della celebrazione comunitaria. L'Orante chiama tutti i fratelli a partecipare al sacrificio di rendimento di grazie, dove nel segno del convito si gusta (Ebr 6,5; 1 Pt 2,3) e si sperimenta che il Signore è soave sempre (Sal 99,4). E allora si deve proclamare beato chiunque spera sempre e solo nel Signore (Sal 33,9; 2,13; 39,5; 83,13; Ger 17,7; Sir 34,14.19). Questo v. 9 è celebre come canto alla comunione, anche nei Riti orientali.

Esaminiamo il brano

v. 41 - «mormoravano»: Giovanni annota il brutto verbo gongýzō "mormoravano" (tornerà ancora al v. 62), che rimanda alle mormorazioni contro Mose e contro il Signore durante l'esodo nel deserto (vedi Profezia della Domenica precedente). Il motivo è che non possono capire come quest'uomo che vedono, anche se compie prodigi insoliti, possa affermare di se stesso di essere "il Pane disceso dal cielo", una specie di manna in veste umana.
v. 42 - «Costui non è Gesù»: Egli, in fondo, chi è, uno dei tanti loshua, "Gesù" (nome sempre molto comune in ogni epoca d'Israele, sotto le varianti Giosuè, Isaia, che in greco è tradotto proprio Iēsoûs, Osea, Eliseo, Giosia), del quale si conosce la nascita da un padre (come credono; Mt 13,55; Lc 3,23) e da una madre ben noti (7,27-28), e adesso si mette a dire che è «disceso dal cielo»
v. 43 - «Non mormorate»: l’imperativo presente negativo, ricorda l’invito più volte rivolto nel passato a Israele. Gesù adesso prepara gli ascoltatori al resto della rivelazione, e anzitutto li esorta a non mormorare in gruppetti. E riprende come raccordo quanto aveva detto sotto altra forma nei vv. 37-40 (purtroppo posti fuori lettura liturgica), che la sua discesa dal cielo è l'opera del Padre.
v. 44 - «lo attira il Padre»: Gesù precisa il Mistero insondabile del Padre suo. Il Padre ha inviato il Figlio, e insieme determina in modo imperscrutabile i discepoli del Figlio, in quanto li attira Lui (v. 65; 12,32, e 4,23; Ger 31,3; Os 11,4) e li dirige verso il Figlio (v. 44a; e v. 66). E così si comprende la rivelazione solo del Padre a Giovanni Battista sul Figlio di Dio come l'Agnello dì Dio, il Servo sofferente, sul quale lo Spirito Santo discende e fa dimora (Gv 1,29-34). E si comprende la rivelazione del "Cristo, il Figlio del Dio Vivente" (Mt 16,16), di cui non la "carne e il sangue", ossia un uomo concreto, in questo caso neppure Cristo stesso, bensì solo il Padre gratifica Pietro (Mt 16,17).
«io lo resusciterò»: Questo Figlio quanti il Padre attira e dirige a Lui, li accoglie e promette il dono supremo, che li resusciterà nel giorno ultimo. Questo aveva già assicurato poco prima per due volte, e sempre come esplicita volontà del Padre, a proposito dell'accoglienza nella fede di Lui quale Pane della Parola disceso dal cielo (vv. 40 e 41, purtroppo espunti). A Marta poi espliciterà di essere Egli stesso la Resurrezione e la Vita, e chi vive e crede in Lui non morirà in eterno (Gv 11,25-26).
v. 45 - «Sta scritto nei profeti»: Appare uno scarto dalla linea discorsiva l'affermazione che segue. Gesù cita "i Profeti": "Allora saranno tutti istruiti da Dio" (v. 45a), che rinvia in via diretta a Is 54,13, ma in via obliqua all'origine, Ger 31,34 (testo citato poi da Ebr 8,10-11; 1 Gv 2,27). Il segno ultimo della realtà dell'"alleanza nuova", ossia "ultima" (Ger 31,31-34), per Geremia (il cui ministero dura circa per gli anni 612-586 a. C) è che allora nessuno istruirà un altro su Dio e sulla sua realtà, bensì il Signore stesso sarà l'unico divino Maestro (Ger 31,31). Isaia (il "Secondo Isaia", verso gli anni 550 a. C.) annuncia la Gerusalemme nuova dopo l'esilio (Is 54,1-17), e i suoi costruttori saranno istruiti dal Signore stesso (Is 53,14). Il tratto è ripreso più volte da Paolo, nel rispetto della fede dei suoi fedeli (1 Tess 4,9, i discepoli sono theodídaktoí; 1 Cor 2,11-13, mediante lo Spirito Santo), e poi da Giovanni stesso (1 Gv 2,20.27, mediante lo Spirito Santo).
«Chiunque ha udito il Padre»: Gesù ora spiega che viene a Lui solo chi ascolta il Padre (v. 37). Si ha qui quella specie di circolo trinitario rivelatorio che è il N. T.:
1) secondo Rom 1,3-4 (testo arcaico della Comunità aramaica, la Chiesa Madre di Gerusalemme, forse intorno all'anno 35), il Padre presenta al mondo ad opera dello Spirito Santo il Figlio suo come Dio eterno a partire dalla sua Resurrezione;
2) secondo la riflessione ulteriore del N. T., si delinea che:
(a) lo Spirito Santo, donato dal Padre sempre a partire dall'Umanità risorta del Figlio (At 2,32-33), rivela il Figlio Dio,
(b)  il Figlio di Dio, a partire dalla sua Umanità, rivela il Padre Invisibile; e
(c) donando lo Spirito Santo riporta tutti al Padre.
v. 46 - «Non che alcuno abbia visto il Padre»: Gesù seguita a spiegare. Il Padre che si fa Maestro unico, tuttavia, resta per definizione l'Invisibile (Gv 1,18; Col 1,15) ad ogni sostanza creata. Lo contempla in eterno solo Colui che sussiste dal Padre e nel Padre (10,30), che con Lui è la "Realtà unica" (10,38), e che vive per Lui (v. 46; 7,25,29; 10,15; Mt 11,27; Lc 10,22).
v. 47 - «Amen, amen»: Per questo Gesù con la solennità singolare dell'"amen amen" ribadisce che chi ha fede in Lui possiede già la Vita eterna (v. 47; già al v. 40, e in 3,15-16).
v. 48 - «Io sono»: Adesso comincia la parte "eucaristica propria". Prima la rivelazione solenne, come già sul Sinai (Es 3,6) nell'episodio del roveto incombusto.
«il pane della vita»: Fa da raccordo con il discorso sulla Parola che deve essere accettata nella fede l'espressione chiave "il Pane della Vita", usata quindi nei due aspetti della Parole e dell'eucarestia, nel significato di Pane che è la Vita, e che dona la Vita (v. 48, e vv. 35 e 51),
v. 49 - «I vostri Padri...»: Gesù comincia con la memoria dei padri antichi nel deserto, che mangiarono la manna, certo dono dal cielo, bensì solo per la vita biologica, e quindi morirono (v. 49; vv. 31.59; Es 16,15; Num 11,7.9; 1 Cor 10,l-5;e vedi I Lettura, Evangelo e Salmo della Domenica precedente).
v. 50 - «questo è il pane...»: Invece qui si presenta il Pane che proviene dal Padre (il "cielo"; vv. 32-33), che è tale da procurare la vita immortale a chi ne mangia.
v. 51 - «Io sono il pane vivo»: Viene ora improvvisa, come un'esplosione nuova, l'affermazione inaudita che è Egli stesso il Pane Vivente che discende dal Padre (cf vv. 3.13).
«è la mia carne»: in greco sárx è con l'articolo che la sottolinea tale per eccellenza. Questa ulteriore e sconvolgente affermazione è anche il ricordo della formula eucaristica aramaica, dove è possibile «carne» e non «corpo»; quella usata forse nella comunità giovannea. Si ha una conferma dell'uso di «carne» in senso sacramentale in Ignazio Antiocheno. In questa formula risuona, assieme al tema sacramentale, anche quello della incarnazione (Gv 1,14) e addirittura quello della Passione nella preposizione «per» (hypér) che ha carattere sacrificale ed è molto arcaica.
«per la vita del mondo»: si noti ancora una volta l'universalismo della salvezza annunciata: "per la vita del mondo".

Le preghiere eucologiche di questa Domenica seguono il filo di una continua supplica al Signore Dio e Padre nostro affinché meritiamo di entrare nell’eredità promessa:

Antifona d'Ingresso Sal 73,20.19,22.23
Sii fedele, Signore, alla tua alleanza,
non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri.
Sorgi, Signore, difendi la tua causa,
non dimenticare le suppliche di coloro che ti invocano.

Supplica epicletica al Signore affinché tenga sempre presente la Sua alleanza fedele per la quale si è impegnato in eterno a favore del popolo suo e non faccia cadere nel vuoto la voce di quanti sinceramente e con ansia Lo cercano.

Sulle Offerte
Accogli con bontà, Signore, questi doni
che tu stesso hai posto nelle mani della tua Chiesa,
e con la tua potenza trasformali per noi
in sacramento di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.

Altra supplica affinché il Signore accetti l’Offerta che Egli stesso per Divina Misericordia donò affinchè gli sia riofferta e faccia che il Mistero segni la salvezza.

Antifona alla Comunione Sal 147,12.14
Gerusalemme, loda il Signore,
egli ti sazia con fiore di frumento.

La Sposa del Signore qui oggi radunata come comunità orante è esortata a lodare il Signore per tutti i suoi divini prodigi che sono tutti come sintetizzati e sigillati da quello finale e più grande, «egli ti sazia con fiore di frumento», il divino Pane della Vita dopo il Pane della Parola.

Dopo la Comunione
La partecipazione a questi sacramenti
salvi il tuo popolo, Signore,
e lo confermi nella luce della tua verità.
Per Cristo nostro Signore.
La preghiera ancora con supplica chiede al Signore che la partecipazione al Mistero porti la salvezza e lo confermi nella luce della sua Verità.

La II Colletta invoca Dio, chiamandolo Padre e con epiclesi chiede che la Sua Chiesa, sostenuta dalla forza del cibo che non perisce, perseveri nella fede di Cristo per giungere alla contemplazione del Suo volto:

Guida, o Padre, la tua Chiesa pellegrina nel mondo,
sostienila con la forza del cibo che non perisce,
perché perseverando nella fede di Cristo
giunga a contemplare la luce del tuo volto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...





Lunedì 6 agosto 2018
Abbazia Santa Maria di Pulsano

Fonte:http://www.abbaziadipulsano.org

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