don Enzo Pacini, "Incontrare Gesù nel pane"
Incontrare Gesù nel pane
Domenica 12 agosto - XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo»
09/08/2018 di Enzo Pacini Cappellano del carcere di Prato
In questa celebrazione domenicale la liturgia della Parola ci conduce in una riflessione che sviluppa quella della domenica precedente, il rapporto con il proprio passato, sia quello comune ma anche quello personale. Se solitamente si tende a idealizzare il passato, qui Gesù Cristo (Gv 6,41-51) affonda ancora di più il dito nella piaga: i nostri padri sono tutti morti, il gran dono del pane del cielo in realtà non ha giovato loro più di tanto, li ha salvati dalla morte in quel momento ma solo per spostare un po’ più avanti il limite della vita. Quindi c’è poco da idealizzare, anche perché, sempre nel passato, i padri non hanno prodotto molto di cui essere fieri: «quante volte si ribellarono a lui nel deserto...» (Sal 77,40); l’idea di vedere se stessi come prosecutori della linea dei padri, l’essere i «bravi ragazzi» di cui i genitori possono andare fieri, non mette in realtà in sintonia con il disegno di Dio, non aiuta a capirlo, anzi ancora una volta Cristo è giudicato alieno, disconosciuto nella sua pretesa di essere portatore di una parola divina, per essere schiacciato su ciò che è risaputo: non è egli semplicemente il figlio di Giuseppe? Essere quel figlio, in quella precisa discendenza è il massimo a cui può aspirare, secondo loro, niente di più.
Senza voler fare della psicanalisi a buon mercato, Gesù si apre invece a una relazione diversa, ad un’altra paternità che è quella di Dio, che non è replicabile, né imitabile ponendosi nel semplice solco della tradizione: è qualcosa che chiama fuori da sé, che attira altrove, un Padre da scoprire già presente in sé e contemporaneamente sconosciuto perché nessuno lo ha mai visto. E allora come fare ad essere attirati da qualcuno che non si conosce? Sta proprio qui la tipicità dell’esperienza cristiana, andare incontro a qualcuno che già parla al nostro cuore in molteplici modi, un padre che sta al di fuori del sacco amniotico della creazione nel quale siamo immersi ma che possiamo udire nel profondo, intuendo quasi in trasparenza che c’è qualcosa, qualcuno oltre il semplice presente.
In fondo è la stessa dinamica dell’eucarestia, che sotto il segno del pane apre alla comunione con Dio, all’incontro con la sua presenza. È un dialogo, una «ruminazione» che si estende per tutta la vita e ci chiede soltanto di aprirsi a quanto potrà sbocciare. Anche Elia (1Re 19,4-8; 1a lettura) ha dovuto riconoscere la vacuità del cercare di ripercorrere le vie dei padri, ancor meno di migliorarle data la sua incapacità, per intraprendere un cammino diverso verso l’incontro con Dio sul santo monte che ribalterà nuovamente la sua esistenza e la aprirà a un rapporto più autentico con Lui.
Fonte:www.toscanaoggi.it/
Domenica 12 agosto - XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo»
09/08/2018 di Enzo Pacini Cappellano del carcere di Prato
In questa celebrazione domenicale la liturgia della Parola ci conduce in una riflessione che sviluppa quella della domenica precedente, il rapporto con il proprio passato, sia quello comune ma anche quello personale. Se solitamente si tende a idealizzare il passato, qui Gesù Cristo (Gv 6,41-51) affonda ancora di più il dito nella piaga: i nostri padri sono tutti morti, il gran dono del pane del cielo in realtà non ha giovato loro più di tanto, li ha salvati dalla morte in quel momento ma solo per spostare un po’ più avanti il limite della vita. Quindi c’è poco da idealizzare, anche perché, sempre nel passato, i padri non hanno prodotto molto di cui essere fieri: «quante volte si ribellarono a lui nel deserto...» (Sal 77,40); l’idea di vedere se stessi come prosecutori della linea dei padri, l’essere i «bravi ragazzi» di cui i genitori possono andare fieri, non mette in realtà in sintonia con il disegno di Dio, non aiuta a capirlo, anzi ancora una volta Cristo è giudicato alieno, disconosciuto nella sua pretesa di essere portatore di una parola divina, per essere schiacciato su ciò che è risaputo: non è egli semplicemente il figlio di Giuseppe? Essere quel figlio, in quella precisa discendenza è il massimo a cui può aspirare, secondo loro, niente di più.
Senza voler fare della psicanalisi a buon mercato, Gesù si apre invece a una relazione diversa, ad un’altra paternità che è quella di Dio, che non è replicabile, né imitabile ponendosi nel semplice solco della tradizione: è qualcosa che chiama fuori da sé, che attira altrove, un Padre da scoprire già presente in sé e contemporaneamente sconosciuto perché nessuno lo ha mai visto. E allora come fare ad essere attirati da qualcuno che non si conosce? Sta proprio qui la tipicità dell’esperienza cristiana, andare incontro a qualcuno che già parla al nostro cuore in molteplici modi, un padre che sta al di fuori del sacco amniotico della creazione nel quale siamo immersi ma che possiamo udire nel profondo, intuendo quasi in trasparenza che c’è qualcosa, qualcuno oltre il semplice presente.
In fondo è la stessa dinamica dell’eucarestia, che sotto il segno del pane apre alla comunione con Dio, all’incontro con la sua presenza. È un dialogo, una «ruminazione» che si estende per tutta la vita e ci chiede soltanto di aprirsi a quanto potrà sbocciare. Anche Elia (1Re 19,4-8; 1a lettura) ha dovuto riconoscere la vacuità del cercare di ripercorrere le vie dei padri, ancor meno di migliorarle data la sua incapacità, per intraprendere un cammino diverso verso l’incontro con Dio sul santo monte che ribalterà nuovamente la sua esistenza e la aprirà a un rapporto più autentico con Lui.
Fonte:www.toscanaoggi.it/