Don Paolo Zamengo"Alzati e mangia "
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (12/08/2018)
Alzati e mangia Gv 6, 41-51
È sabato. Nella sinagoga di Cafarnao Gesù parla di se stesso. “Io sono il pane disceso dal cielo”. Apriti cielo. Subito scoppiano polemiche e contestazioni. Come al tempo di Mosè nel deserto. Allora il popolo mugugnava per la mancanza di cibo. E Dio rispose con il dono della manna.
Ora i Farisei mettono sotto accusa Gesù e, senza troppi giri di parole, ecco la sentenza: “Come può dire costui: sono il pane disceso dal cielo?”. Gesù non ha un passato illustre, non è di famiglia nobile. Tutti conoscono i suoi genitori e sanno perfino il loro nome. Non è possibile pensare che egli abbia origini dall’alto.
Gesù viene inchiodato, prima ancora che sulla croce, sul suo insignificante albero genealogico. Proprio la sua presunta incarnazione che segna il suo radicamento nell’umano gli viene restituita come un boomerang. Il cielo non parla mediante la terra. Gesù non deve permettersi di parlare “da Dio”.
Lamentarsi, contestare….non è marginale nella vita dell’uomo. Stanco e scoraggiato Elia vuole morire. La sua vicenda è molto simile all’itinerario spirituale di tanti di noi. Quante volte, presi da sconforto, abbiamo detto: “A che serve essere buoni? Vale la pena di vivere il vangelo?”. Il deserto ci pare immenso e smisurato il dolore.
Elia viene salvato da un angelo che non gli nasconde la fatica del viaggio ma gli offre un po’ di pane e un po’ d’acqua. Pane e acqua, semplici cose ma vitali, che dicono lo stile di Dio. Dio interviene con la forza e l’umiltà delle cose essenziali: il pane, l’acqua, l’aria, la luce, un amico. Dio viene come respiro e come coraggio. Dio non cancella il deserto. Dio non è un anestetico ma invita a riprendere il cammino e a ricominciare.
Per la fatica quotidiana tante cose sono importanti, una è necessaria: avere un angelo accanto. Sentire la sua dolcezza che tocca e parla al cuore, che veglia e che libera dalla solitudine del deserto. Ogni credente è chiamato a farsi angelo custode di fratelli stanchi, presenza amica, luce per i lenti passi del nostro andare.
La vita ha le sue durezze e tanti momenti di sconforto. Anche la vita con Dio ha le sue prove. Gesù dice che solo un cibo celeste può nutrire e dare forza per rialzarsi. Gesù dice: “Io sono il pane disceso dal cielo”. Il punto è credergli. Lasciarsi nutrire da lui, accogliere il dono dell’eucarestia.
L’eucarestia non è un atto intimistico che si consuma in un gesto. L’eucarestia è risposta a una strategia di vita: “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. Mangiare per vivere in eterno. Non basta fare la comunione, bisogna vivere di comunione. Gesù viene per essere e rimanere in comunione, per alimentare la fede. Per darci la sua Vita.
Ognuno di noi riceve l’invito di Elia: “Àlzati, mangia”. Nel percorso accidentato della nostra vita abbiamo estremo bisogno di questo cibo. Accettarlo significa vivere. O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma una sola tua parola mi renderà beato.
Alzati e mangia Gv 6, 41-51
È sabato. Nella sinagoga di Cafarnao Gesù parla di se stesso. “Io sono il pane disceso dal cielo”. Apriti cielo. Subito scoppiano polemiche e contestazioni. Come al tempo di Mosè nel deserto. Allora il popolo mugugnava per la mancanza di cibo. E Dio rispose con il dono della manna.
Ora i Farisei mettono sotto accusa Gesù e, senza troppi giri di parole, ecco la sentenza: “Come può dire costui: sono il pane disceso dal cielo?”. Gesù non ha un passato illustre, non è di famiglia nobile. Tutti conoscono i suoi genitori e sanno perfino il loro nome. Non è possibile pensare che egli abbia origini dall’alto.
Gesù viene inchiodato, prima ancora che sulla croce, sul suo insignificante albero genealogico. Proprio la sua presunta incarnazione che segna il suo radicamento nell’umano gli viene restituita come un boomerang. Il cielo non parla mediante la terra. Gesù non deve permettersi di parlare “da Dio”.
Lamentarsi, contestare….non è marginale nella vita dell’uomo. Stanco e scoraggiato Elia vuole morire. La sua vicenda è molto simile all’itinerario spirituale di tanti di noi. Quante volte, presi da sconforto, abbiamo detto: “A che serve essere buoni? Vale la pena di vivere il vangelo?”. Il deserto ci pare immenso e smisurato il dolore.
Elia viene salvato da un angelo che non gli nasconde la fatica del viaggio ma gli offre un po’ di pane e un po’ d’acqua. Pane e acqua, semplici cose ma vitali, che dicono lo stile di Dio. Dio interviene con la forza e l’umiltà delle cose essenziali: il pane, l’acqua, l’aria, la luce, un amico. Dio viene come respiro e come coraggio. Dio non cancella il deserto. Dio non è un anestetico ma invita a riprendere il cammino e a ricominciare.
Per la fatica quotidiana tante cose sono importanti, una è necessaria: avere un angelo accanto. Sentire la sua dolcezza che tocca e parla al cuore, che veglia e che libera dalla solitudine del deserto. Ogni credente è chiamato a farsi angelo custode di fratelli stanchi, presenza amica, luce per i lenti passi del nostro andare.
La vita ha le sue durezze e tanti momenti di sconforto. Anche la vita con Dio ha le sue prove. Gesù dice che solo un cibo celeste può nutrire e dare forza per rialzarsi. Gesù dice: “Io sono il pane disceso dal cielo”. Il punto è credergli. Lasciarsi nutrire da lui, accogliere il dono dell’eucarestia.
L’eucarestia non è un atto intimistico che si consuma in un gesto. L’eucarestia è risposta a una strategia di vita: “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. Mangiare per vivere in eterno. Non basta fare la comunione, bisogna vivere di comunione. Gesù viene per essere e rimanere in comunione, per alimentare la fede. Per darci la sua Vita.
Ognuno di noi riceve l’invito di Elia: “Àlzati, mangia”. Nel percorso accidentato della nostra vita abbiamo estremo bisogno di questo cibo. Accettarlo significa vivere. O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma una sola tua parola mi renderà beato.