MONASTERO DI RUVIANO,COMMENTO VENTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio: Cena in Emmaus (Milano, Accademia di Brera)

VENTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Pr 9, 1-6; Sal 33; Ef 5, 15-20; Gv 6, 51-58


Nel testo del Libro dei Proverbi, che oggi costituisce la Prima lettura, c’è un invito che apre questa liturgia della Parola per darci accesso ad una maggiore comprensione del mistero del Pane di vita che è al centro del grande discorso del capitolo sei dell’Evangelo di Giovanni che in queste  domeniche sta scorrendo; è la Sapienza che parla ed invita chi è inesperto a mangiare al suo banchetto, a mangiare del suo pane e bere del suo vino. Poi aggiunge: Abbandonate le puerilità e vivrete.

Abbandonare le puerilità, le fanciullaggini, nel senso deteriore del termine, è diventare adulti, maturi nella fede. Il Pane della vita è per la nostra pienezza! Per la nostra maturità di uomini e di credenti! Comprendiamo allora una cosa: Mangiare la carne del Figlio dell’uomo e bere il suo sangue è atto di responsabilità e di assunzione piena di una via che quella di Gesù Cristo!

Mangiare la sua carne e bere il suo sangue crea un’unità straordinaria tra Gesù ed il credente: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui.

Dimora! Il dimorare è del credente maturo! Per il Quarto Evangelo è chiaro che ogni sequela di Cristo è chiamata ad uscire dalle “fanciullaggini”, dagli entusiasmi passeggeri, dalle logiche di “stagioni della vita”, per entrare in una stabilità, in un dimorare da cui non ci può essere più ritorno, in un rimanere che è proprio del credente adulto. Un dimorare in cui si sancisce un’alleanza tra me che dimoro in Cristo e Cristo stesso che dimora in me! Il dimorare non “gioca” con i sì di Dio; se Lui dice il suo sì e rimane in me, io non posso diventare banderuola esposta ai venti del sentimentalismo, del passeggero, dell’instabile!

Uscire dalla puerilità è assumere la responsabilità di quel pane “costoso” che è la carne del Figlio dell’uomo. “Costoso” perché se c’è una carne ed un sangue questo sangue è stato versato, quella carne immolata!

L’Eucaristia è sacramento dolcissimo di amore e di unità, ma è tale perché ci ripresenta l’amore fino all’estremo (cfr Gv 13,1) che vuole fare dei dispersi unità in Dio per il mondo (Cfr Gv 11, 52), amore fino all’estremo che è quello del chicco di grano che cade in terra per morire (cfr Gv 12, 24).

Sedersi alla mensa della Sapienza, e Gesù è la Sapienza di Dio (cfr 1Cor 1,24), è sedere alla mensa in cui, condividendo il banchetto del suo Corpo e del suo Sangue, si fa comunione con il suo sacrificio d’amore per il mondo e si dichiara di essere pronti a dare il proprio corpo ed il proprio sangue come Lui e con la sua forza.

Questa è maturità cristiana, assunzione di responsabilità, uscita da ogni atteggiamento religioso rassicurante e deresposabilizzante. L’ Eucaristia, infatti, consegnando alla Chiesa il Corpo ed il Sangue di Cristo, consegna ai cristiani la possibilità di trasformare il mondo con le sue stesse “armi”, quelle paradossali di un amore controcorrente, di una pacifica opposizione alle vie del mondo, una pacifica opposizione che crea persecuzione ed incomprensione ma che è pure quella che annunzia la novità dell’Evangelo di Gesù che non è mai innocua!

Chi si dice cristiano ed è puerilmente allineato con il mondo per paura del mondo, mostra la sua immaturità e la sua stolta “fanciullaggine”… così diversa da quell’essere come bambini che Gesù chiede ai suoi (cfr Mt 18, 3). Quello che chiede Gesù è quell’essere colmi di una fiducia piena e grande, quella che fa diventare “folli” sfidando anche il mondo perché si è completamente abbandonati nelle mani di Dio di cui mi fido e di cui riconosco la gratuità per cui non accampo “meriti”, la “fanciullaggine” da cui bisogna guardarsi è quella puerilità che è immaturità umana e di fede per cui, come bambini capricciosi ed egocentrici, ci si cura di sé nel disinteresse per tutto quello che è fuori di sé; questa “fanciullaggine” è atteggiamento di continua delega ad altri delle proprie responsabilità.

L’atto di mangiare la carne del Figlio dell’uomo è espresso da Giovanni con un verbo brutale, molto materiale: “trógo”, cioè “masticare”. Giovanni così ci rimanda alla corposità storica di quella presenza, di quel dono che deve e vuole invadere la nostra corposità concreta. Il masticare è distruggere per trasformare ed assimilare. Cristo così ci racconta Dio, un Dio pronto a farsi assimilare ad ogni costo dagli uomini … l’atto di masticare ci conduce irresistibilmente a quel chicco di grano macerato nella terra, a quel corpo sceso nel sepolcro esposto alla decomposizione della morte … il masticare ci richiama poi alla nostra concretissima umanità che da quell’assunzione inizia a vivere “per mezzo” (“diá”) di Gesù, come Gesù vive “per mezzo”  (“diá”) del Padre. L’offerta di quella carne e di quel sangue mirano a farci essere credenti responsabili nel mondo, nella storia, senza fughe in spiritualismi disincarnati!

L’Eucaristia è critica radicale ad ogni cristianesimo disincarnato, ad ogni distanza “spiritualizzante” da Cristo presente ancora nella storia con il suo Pane!

Certo, come scrive recentemente Luciano Manicardi in un suo libro (“Per una fede matura” ed. Elledici), l’ impalpabile ostia che usiamo per l’Eucaristia, invece del concreto, usuale e manducabile pane, non aiuta la Comunità credente a cogliere tutta la forza di quel segno, di quella manducazione, di quella assimilazione “costosa” con cui Cristo ci unisce a Lui.

Chi assume la corposità della storia nell’incontro compromettente con Cristo Gesù e la sua carne ed il suo sangue diventa, come scrive l’autore della Lettera ai cristiani di Efeso nella Seconda lettura di oggi, capace di approfittare del tempo presente, di cogliere il tempo propizio (il “kairós”) in cui Dio passa nella storia e fa le domande dinanzi alle quali non è concessa alcuna evasione o “ubriacatura” che rende inconsiderati, incapaci di responsabilità autenticamente umana nella compagni degli uomini.

Il dono di Cristo è capace di innervare la nostra umanità della vita di Dio e ci slancia nella storia come portatori di vita nuova, di “vita eterna” cioè, come già dicevamo la scorsa domenica, portatori della vita di Dio nello scorrere della vita degli uomini!

E’ la grande richiesta che ci fa la carne ed il sangue del Figlio dell’uomo!



Padre Fabrizio Cristarella Orestano

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