P. Marko Ivan Rupnik, “E si radunarono intorno”

XXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
Mc 7,1-8.14-15.21-23
Congregatio pro Clericis

Il vangelo di Marco che riprendiamo a leggere questa domenica si pone in forte continuità con il discorso di Cristo nel vangelo di Giovanni.

Nel testo greco leggiamo - “E si radunarono intorno” - (Mc 7,1), la “e” che manca nella nostra traduzione è essenziale per collegare questo episodio all’episodio immediatamente precedente che è la moltiplicazione dei pani (Mc 6,34-44) e la delusione dei discepoli davanti a Cristo che non accetta di essere re e se ne va.

Da Gerusalemme, epicentro dell’autorità religiosa vengono scribi e farisei, gli osservanti, i puri perché perfetti, a interrogarlo. Anzi a screditarlo. Non può essere il Messia atteso, non può essere quello che restaurerà il regno di Davide perché Lui non corrisponde alla pratica della loro religione. Questo è il moto che attraversa tutti e quattro i vangeli.

Si rifanno alla tradizione degli antichi che nella Bibbia è praticamente un termine tecnico che non indica semplicemente la tradizione dei Padri o delle generazioni precedenti ma la rivelazione divina data a Mosè, che non è solo quella che poi sotto il suo nome rimane scritta, ma è anche quella trasmessa oralmente. Ed è esattamente questa che finisce per prevalere su ciò che è scritto, diventando più importante. Ma la tradizione orale facilmente si presta a manipolazioni e non è difficile che uno si ritrovi non corrispondente a qualcuna di quelle 613 prescrizioni cui è arrivata questa cosiddetta tradizione degli antichi.

Trattandosi soprattutto di aspetti liturgici e di purificazione che loro osservavano in modo intransigente, si capisce bene come possano essere disturbati vedendo che i discepoli di Gesù “prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate” (Mc 7,2) e certamente a nulla vale aver dato pane a cinquemila persone, dato che certamente neanche quelli hanno prima fatto il lavacro.

Questo è il vicolo cieco dove ti porta la legge sganciata dalla vita e dalla fede, emerge la spaccatura di fondo, tanto è vero che Cristo li chiama ipocriti che in greco significa attori di teatro, uomini con la maschera che recitano una parte che non corrisponde alla vita. Questa è la religione e questo sta smascherando Cristo, lo sdoppiamento per cui il mio cuore non corrisponde a ciò che io faccio nel mio corpo. Il mio corpo con i suoi gesti di culto e la mente che proclama certe verità religiose restano a livello superficiale ed esteriore e non corrispondono al contenuto del cuore, cioè all’io, l’io è un altro. La pratica religiosa non può unire e vincere questo abisso, perché la religione non potrà far altro che insistere sulle azioni esterne e ripetere certe verità che sono religiosamente insegnate, ma il contenuto della vita dell’io, cioè il cuore, la presa di coscienza di ciò che io sono, non corrisponderà mai a quello.  Il modo con cui l’io si relaziona con la sua natura umana è ciò che fa differenza tra la fede e la religione. La fede è accoglienza della vita che poi si esprime nella natura umana e in forza di questa accoglienza la trasfigura. La religione proprio questo non può perché non si realizza nell’accoglienza ma nella conquista tramite l’impegno dell’individuo (su questo punto una lettura di Aleksander Schmemann sarebbe di grande aiuto nell’approfondimento). Questa è la tragedia da cui Cristo ci libera, tocca imparare cosa vuol dire “Misericordia io voglio e non sacrifici” (cf Mt 9,13; Mt 12,7). In Cristo Dio e l’uomo si sono uniti in una sola persona, non può più esistere una religione dove si possa onorare Dio senza amare l’uomo, non può esistere una cerimonia rivolta solo a Dio senza che coinvolga tutta la persona umana. Ed è immediatamente chiaro che l’uomo da solo questo non può farlo, è un dono, è la vita ricevuta in Cristo in cui ci innesta lo Spirito Santo. Cristo con una sola battuta elimina una marea di prescrizioni. La questione dell’impurità non è il cibo. L’impurità è quell’io mortale vulnerabile, offeso, che cerca di salvare sé stesso ad ogni costo e gioca dietro questa maschera religiosa. “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro” (Mc 7,15). Lo spirito che proviene dal di dentro, quando è guasto coinvolge il corpo nel male, la carne segue la perversione dello spirito. Ma se lo Spirito comincia a penetrare la nostra corporeità, la nostra mentalità, ci lava e ci impiega in qualcosa che è veramente vita che rimane.

Ma è difficile capire (cf Mc 7,18) che Cristo non vuole sacrifici ma misericordia, è difficile accogliere la gratuità della salvezza. A Cristo non serve un cuore vuoto, indurito, senza pietà, senza amore, esaurito dalle prescrizioni da adempiere che dovrebbero rassicurare l’io che è salvato, ma lasciandolo così come è.  “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35).

Continua il discorso eucaristico delle ultime domeniche ed è molto forte: non è che bisogna purificarsi per poter mangiare, è il mangiare che purifica, è il mangiare che redime. “Colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57) perché “il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1Gv 2,17).



P. Marko Ivan Rupnik

Fonte:www.clerus.va

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