padre Gian Franco Scarpitta "Credere e mangiare"
Credere e mangiare
padre Gian Franco Scarpitta
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (26/08/2018)
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Dall'esposizione alla decisione. Dopo il discorso prolisso di Gesù intorno al pane vivo disceso dal Cielo, preceduto da un segno miracoloso eloquente e accompagnato da varie argomentazioni affascinanti e persuasive, adesso Gesù chiama ciascuno a rapporto con se stesso perché possa prendere posizione o decidersi. Di fronte alla gratuità del dono del pane vivo che è Gesù Cristo stesso, non si può infatti restare inerti e passivi. Da una parte occorre non rispondere con assoluto fideismo o acriticità, dall'altra abbandonare esasperata razionalità vana e a volte perniciosa: occorre insomma credere e accogliere senza riserve, non senza tuttavia assimilare il mistero con appropriate valutazioni e immedesimazioni in esso.
Come dice la Dei Verbum che si radica sull'insegnamento di Paolo, “A Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo si abbandona tutto intero e liberamente a lui, prestandogli l'ossequio dell'intelletto e della volontà”; particolarmente il messaggio su Cristo pane di vita vuole esattamente questa prerogativa: la fede, cioè l'apertura libera e incondizionata. In un caso particolare come questo però la fede ci viene preclusa dall'incompatibilità dei contenuti con il procedimento puramente logico: è possibile che in una forma di pane si racchiuda il Figlio Dio Verbo Incarnato, vero Dio e vero Uomo, lo stesso che operò in Galilea? Possibile accettare una proposizione come questa, del tutto distante dal comune criterio della ragione umana? Rispondiamo che è possibile nella misura in cui ci si dispone all'accoglienza libera e spontanea del dono che Gesù ci fa di se stesso, se si apre il cuore e se ci si eleva al fascino del mistero che ci viene rappresentato. In una parola se si dice con semplicità Io credo. Il credere è l'affidarsi sono infatti le vie più facilmente percorribili. Cionondimeno la fede non si oppone alla razionalità ed è anzi essa stessa, nel suo esercizio, un atto conforme pienamente alla ragione: il credere non mai determinato da atteggiamenti acritici e superficiali, non è mai un passivo orientamento succube e sottomesso, ma è sempre supportato dalla speculazione e dal raziocinio, in forza del quale non è contro ragione concludere che un Dio onnipotente possa davvero farsi nostro alimento concreto in quanto Eucarestia, oltre che Verbo Incarnato e Salvatore. Il ricorso alla scienza e alla filosofia è stato tante volte utile a suffragare anche il presente argomento della presenza del Signore in una piccola forma di pane.
Proprio la ragione dovrebbe concepire possibile che talvolta occorre prescindere da parametri propriamente umani di valutazione, mutare la prospettiva pera assumere quella di Dio: a lui non è impossibile.
La fede però è pur sempre un atto di coraggio e di disinvoltura decisionale, perché comporta in ogni caso un affidarsi fiducioso e disinvolto che potrebbe essere paragonato a un salto nel vuoto, tipico di un ragno che costruisce la sua compagine di fili. Se non si lancia da un punto verso l'altro, non può realizzare la ragnatela con il materiale di cui dispone. Lanciarsi per Dio vuol dire decidersi, ben consapevoli che il credere non comporta poggiare su qualcosa di empirico o di provato, insomma su dati scientifici o su certezze matematiche o empiriche. Credere comporta accettare e aver fiducia su ciò che non ci è dato vedere, ma che tuttavia ci è dato sperare. Il materiale con cui tessere il reticolato però lo possediamo: è la stessa rivelazione di Dio che interpella i nostri cuori, il dono medesimo che Lui ci fa di se stesso, l'amore incondizionato che ci ha usato semplicemente manifestandosi a noi. Ancora di più, è il materiale costituito dal pane vivo del quale siamo invitati a nutrirci.
Occorre fare questo passo, lanciarci con fiducia, oltretutto il paracadute ci è garantito.
Forse questa è la fortezza decisionale di cui mancano i numerosi discepoli del Signore che si allontanano da lui dopo aver inteso dalle sue labbra un discorso “troppo duro”, impossibile a concepirsi per una mentalità chiusa e asettica, irta di pregiudizi da parte di chi condanna a priori l'antropofagia.
Sarebbe stato meglio per loro credere e affidarsi, nella misura in cui Dio in Cristo ha creduto nell'uomo e a lui si è “affidato” nell'incarnazione, convinti comunque che tutto questo non è irrazionale.
Parecchi discepoli recalcitrano e fuggono e solamente gli apostoli si fanno forti di una fede solida e radicata certamente anche a motivo dell'esperienza diretta della sequela del loro Signore: “Tu solo hai parole di vita eterna, da chi andremo?” Chiunque altro non sarebbe capace di dimostrare in se stesso, nelle sue parole e nelle sue opere di essere la Verità.
Decidersi consapevolmente è l'esemplarità esternata invece da parte di anziani, scribi e intero popolo convocato alla presenza di Giosuè, il quale invita gli astanti a prendere una decisione definitiva che può tradursi sotto questi termini: “Volete seguire gli dei ai quali si affidarono i vostri padri, che non richiedono particolari virtù né tantomeno eroismo nel credere e nell'agire? Volete asservirsi agli idoli, che vi daranno l'illusione di farvi perseguire obiettivi immediati e tangibili, regalandovi attimi di estasi e di appagamento subdolo e momentaneo? Niente di più facile credere in quello che si vuol credere. Ma è sempre esaltante accettare e vivere di buon grado un Dio misterioso, ineffabile, impegnativo ma per certo vero e fautore di prodigi: il vero Dio onnipotente e infinito. Questa seconda scelta è la più difficile, ma la più esaltante. Scegliamo il Signore e avremo la vita. Mangiamo senza riserve Cristo pane e vivremo la sia vita.
Nell'aspettativa di Cristo pane di vita il credere si associa al mangiare spontaneo e libero, affinché il cibo di cui ci nutriamo possa condurci alla Verità, essendo egli stesso la Verità che conduce al Padre per mezzo dello Spirito. Credere e cibarsi in questo alimento si associano come necessità che essi ci si siamo e che noi ne disponiamo.
padre Gian Franco Scarpitta
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (26/08/2018)
Visualizza Gv 6,60-69
Dall'esposizione alla decisione. Dopo il discorso prolisso di Gesù intorno al pane vivo disceso dal Cielo, preceduto da un segno miracoloso eloquente e accompagnato da varie argomentazioni affascinanti e persuasive, adesso Gesù chiama ciascuno a rapporto con se stesso perché possa prendere posizione o decidersi. Di fronte alla gratuità del dono del pane vivo che è Gesù Cristo stesso, non si può infatti restare inerti e passivi. Da una parte occorre non rispondere con assoluto fideismo o acriticità, dall'altra abbandonare esasperata razionalità vana e a volte perniciosa: occorre insomma credere e accogliere senza riserve, non senza tuttavia assimilare il mistero con appropriate valutazioni e immedesimazioni in esso.
Come dice la Dei Verbum che si radica sull'insegnamento di Paolo, “A Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo si abbandona tutto intero e liberamente a lui, prestandogli l'ossequio dell'intelletto e della volontà”; particolarmente il messaggio su Cristo pane di vita vuole esattamente questa prerogativa: la fede, cioè l'apertura libera e incondizionata. In un caso particolare come questo però la fede ci viene preclusa dall'incompatibilità dei contenuti con il procedimento puramente logico: è possibile che in una forma di pane si racchiuda il Figlio Dio Verbo Incarnato, vero Dio e vero Uomo, lo stesso che operò in Galilea? Possibile accettare una proposizione come questa, del tutto distante dal comune criterio della ragione umana? Rispondiamo che è possibile nella misura in cui ci si dispone all'accoglienza libera e spontanea del dono che Gesù ci fa di se stesso, se si apre il cuore e se ci si eleva al fascino del mistero che ci viene rappresentato. In una parola se si dice con semplicità Io credo. Il credere è l'affidarsi sono infatti le vie più facilmente percorribili. Cionondimeno la fede non si oppone alla razionalità ed è anzi essa stessa, nel suo esercizio, un atto conforme pienamente alla ragione: il credere non mai determinato da atteggiamenti acritici e superficiali, non è mai un passivo orientamento succube e sottomesso, ma è sempre supportato dalla speculazione e dal raziocinio, in forza del quale non è contro ragione concludere che un Dio onnipotente possa davvero farsi nostro alimento concreto in quanto Eucarestia, oltre che Verbo Incarnato e Salvatore. Il ricorso alla scienza e alla filosofia è stato tante volte utile a suffragare anche il presente argomento della presenza del Signore in una piccola forma di pane.
Proprio la ragione dovrebbe concepire possibile che talvolta occorre prescindere da parametri propriamente umani di valutazione, mutare la prospettiva pera assumere quella di Dio: a lui non è impossibile.
La fede però è pur sempre un atto di coraggio e di disinvoltura decisionale, perché comporta in ogni caso un affidarsi fiducioso e disinvolto che potrebbe essere paragonato a un salto nel vuoto, tipico di un ragno che costruisce la sua compagine di fili. Se non si lancia da un punto verso l'altro, non può realizzare la ragnatela con il materiale di cui dispone. Lanciarsi per Dio vuol dire decidersi, ben consapevoli che il credere non comporta poggiare su qualcosa di empirico o di provato, insomma su dati scientifici o su certezze matematiche o empiriche. Credere comporta accettare e aver fiducia su ciò che non ci è dato vedere, ma che tuttavia ci è dato sperare. Il materiale con cui tessere il reticolato però lo possediamo: è la stessa rivelazione di Dio che interpella i nostri cuori, il dono medesimo che Lui ci fa di se stesso, l'amore incondizionato che ci ha usato semplicemente manifestandosi a noi. Ancora di più, è il materiale costituito dal pane vivo del quale siamo invitati a nutrirci.
Occorre fare questo passo, lanciarci con fiducia, oltretutto il paracadute ci è garantito.
Forse questa è la fortezza decisionale di cui mancano i numerosi discepoli del Signore che si allontanano da lui dopo aver inteso dalle sue labbra un discorso “troppo duro”, impossibile a concepirsi per una mentalità chiusa e asettica, irta di pregiudizi da parte di chi condanna a priori l'antropofagia.
Sarebbe stato meglio per loro credere e affidarsi, nella misura in cui Dio in Cristo ha creduto nell'uomo e a lui si è “affidato” nell'incarnazione, convinti comunque che tutto questo non è irrazionale.
Parecchi discepoli recalcitrano e fuggono e solamente gli apostoli si fanno forti di una fede solida e radicata certamente anche a motivo dell'esperienza diretta della sequela del loro Signore: “Tu solo hai parole di vita eterna, da chi andremo?” Chiunque altro non sarebbe capace di dimostrare in se stesso, nelle sue parole e nelle sue opere di essere la Verità.
Decidersi consapevolmente è l'esemplarità esternata invece da parte di anziani, scribi e intero popolo convocato alla presenza di Giosuè, il quale invita gli astanti a prendere una decisione definitiva che può tradursi sotto questi termini: “Volete seguire gli dei ai quali si affidarono i vostri padri, che non richiedono particolari virtù né tantomeno eroismo nel credere e nell'agire? Volete asservirsi agli idoli, che vi daranno l'illusione di farvi perseguire obiettivi immediati e tangibili, regalandovi attimi di estasi e di appagamento subdolo e momentaneo? Niente di più facile credere in quello che si vuol credere. Ma è sempre esaltante accettare e vivere di buon grado un Dio misterioso, ineffabile, impegnativo ma per certo vero e fautore di prodigi: il vero Dio onnipotente e infinito. Questa seconda scelta è la più difficile, ma la più esaltante. Scegliamo il Signore e avremo la vita. Mangiamo senza riserve Cristo pane e vivremo la sia vita.
Nell'aspettativa di Cristo pane di vita il credere si associa al mangiare spontaneo e libero, affinché il cibo di cui ci nutriamo possa condurci alla Verità, essendo egli stesso la Verità che conduce al Padre per mezzo dello Spirito. Credere e cibarsi in questo alimento si associano come necessità che essi ci si siamo e che noi ne disponiamo.